CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 dicembre 2019, n. 32072
Procedura di mobilità – Licenziamento – Guardie giurate – Violazione dei criteri di scelta – Reintegra – Indennità risarcitoria
Fatti di causa
1. Con nota del 12.10.2015, ricevuta il 19.10.2015, la S. spa intimava a B. M., C. G., F. A., L. F. M., M. S. e S. L. il licenziamento all’esito della procedura di mobilità ex lege n. 223/1991 che aveva coinvolto le 14 guardie giurate della filiale Rende – Cosenza.
2. Impugnato il recesso con il rito di cui alla legge n. 92 del 2012 il Tribunale di Cosenza, in sede sommaria, annullava i licenziamenti rilevando una violazione dei criteri di scelta di cui all’art. 5 co. 1 della legge n. 223 del 1991; applicava la tutela prevista dall’art. 18 co. 4 della legge n. 300 del 1970 e ordinava la reintegra nel posto di lavoro dei dipendenti con condanna della datrice di lavoro al pagamento, in favore di ciascuno di essi, di una indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto goduta, oltre alla regolarizzazione dei contributi assistenziali e previdenziali.
3. Con la sentenza n. 2061/2017 il medesimo Tribunale, respingendo l’opposizione proposta dalla società, si pronunciava in senso conforme all’ordinanza della fase sommaria, precisando che: nella comunicazione di avvio della procedura del 16.7.2015 difettava ogni elemento che consentiva di ricondurre la crisi aziendale all’unità produttiva di Rende – Cosenza; che l’accordo sindacale dell’8.9.2015 non conteneva alcun riferimento ad eventuali e possibili vizi della comunicazione né alcuna volontà di sanarli; che rispetto ai lavoratori C. e L. F. la violazione dei criteri di scelta atteneva anche all’ulteriore profilo denunciato, trattandosi di dipendenti che all’atto del licenziamento svolgevano mansioni di operatore di centrale, sicché scorrettamente erano stati individuati sulla base della qualifica formale rivestita di guardia giurata, mentre avrebbero dovuto essere esclusi dalla procedura di licenziamento collettivo.
4. La Corte di appello di Catanzaro, con la decisione n. 952/2018, rigettava il reclamo proposto dalla datrice di lavoro confermando le argomentazioni del giudice di prime cure.
5. Avverso la sentenza della Corte di merito proponeva ricorso per cassazione la S. spa affidato a due motivi, cui resistevano con controricorso i lavoratori sopra indicati.
6. Sono state depositate memorie dalle parti.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., con riferimento agli artt. 112 e 113 c.p.c. nonché la violazione ed errata applicazione della legge n. 223/1991, come sostituito dall’art. 1 co. 46 della legge n. 92 del 2012 e la violazione degli artt. 4 commi 9 e 12, 5 comma 3 della legge n. 223 del 1991. Sostiene che erroneamente la Corte territoriale aveva escluso l’efficacia sanante dell’Accordo sindacale dell’8.9.2015 dal quale si evinceva che le parti avevano esaminato la questione della crisi del mercato cosentino e della impossibilità di mantenere a regime nella filiale di Cosenza la forza di lavoro aziendale, sanando eventuali carenze informative riscontrate nella fase iniziale della procedura di mobilità.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., con riferimento agli artt. 112 e 113 c.p.c.; la violazione dell’art. 12 delle preleggi, nonché la violazione ed errata applicazione degli artt. 4 e 5 co. 3 legge n. 223 del 1991, come sostituito dall’art. 1 co. 46 della legge n. 92 del 2012 e l’errata applicazione dell’art. 18 co. 5 della legge n. 300 del 1970, come novellato dalla legge n. 92 del 2012. Si deduce che la Corte di merito aveva erroneamente applicato la tutela reale quale sanzione relativa ad un riscontrato vizio procedurale connotante il licenziamento collettivo impugnato e consistito in una asserita carenza di comunicazione preventiva in relazione alla quale si sarebbe dovuto applicare la tutela risarcitoria; si rappresenta, infine, che era errata anche la ricollegabilità alla problematica della violazione dei criteri di scelta, rispetto ai lavoratori L. F. e C., perché doveva considerarsi assorbita dal rilevato vizio riguardante la carenza della predetta comunicazione che precludeva, secondo la sequenza prevista in tema di esame delle eventuali cause di illegittimità del licenziamento, la valutazione su ulteriori ipotetici vizi.
4. Il primo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.
5. In punto di diritto, le argomentazioni della Corte territoriale sono conformi al principio di legittimità (cfr. Cass. 29.3.2018 n. 7837), cui si intende dare seguito, secondo il quale, in tema di licenziamento collettivo, la sufficienza e la adeguatezza della comunicazione di avvio della procedura vanno valutate in relazione alla finalità della corretta informazione delle organizzazioni sindacali, che può ritenersi in concreto raggiunta nel caso venga successivamente stipulato l’accordo di cui all’art. 4 comma 5 della legge n. 223 del 1991; quest’ultimo, tuttavia, non costituisce una sanatoria dei vizi della procedura, restando per il giudice l’obbligo della verifica in sede di merito circa l’effettiva completezza della comunicazione.
6. Nel caso in esame, con accertamento congruamente e correttamente motivato, la Corte di merito ha evidenziato che, nell’accordo sindacale intervenuto in data 8.9.2015, le OO.SS. non erano state poste in grado di partecipare alla trattativa con piena consapevolezza a causa delle insufficienze della iniziale comunicazione, specificando altresì che il deficit informativo della comunicazione iniziale, quanto agli effettivi dati fattuali attinenti alla filiale di Rende e alle altre unità produttive, si era riverberato sulla validità dell’accordo, di talché esso si era limitato ad essere una presa d’atto della decisione datoriale senza alcun efficace confronto tra le parti sociali.
7. Come detto, trattasi di ricostruzione relativa al merito della vicenda, non viziata sotto il profilo motivazionale e giuridicamente esatta, che non può, pertanto, essere sindacata in sede di legittimità.
8. Il secondo motivo è inammissibile.
9. Esso, infatti, da un lato, non è pertinente alla ratio decidendi in quanto la Corte di merito ha dato atto che la statuizione sulla tutela applicata dal primo giudice, in relazione al riscontrato vizio della violazione dei criteri di scelta, non era stato oggetto di censura. Dall’altro, deve evidenziarsi che la censura difetta di specificità perché il mero richiamo (punto 4 pag. 22) dell’atto di reclamo, al fine di sostenere la tesi che il provvedimento di prime cure era stato impugnato in relazione al riconoscimento della tutela reintegratola, senza riportarne il testo o le parti salienti, contrasta con il principio di responsabilità della redazione dell’atto giuridico, che fa carico esclusivamente al ricorrente, ed il difetto di ottemperanza allo stesso non può e non deve essere supplito dal giudice per evitare il rischio di un soggettivismo interpretativo da parte dello stesso nell’individuazione di quali parti di atti siano rilevanti in relazione alla formulazione della censura (Cass. n. 86 del 2012; Cass. n. 8450 del 2014).
10. Alla stregua di quanto sopra esposto il ricorso deve essere rigettato.
11. L’infondatezza del ricorso rende superflua l’esame dell’eccezione sulla regolarità della notifica del ricorso per cassazione ai controricorrenti – che comunque si sono costituiti e difesi nel merito- avvenuta presso il procuratore costituito in primo grado anziché presso il difensore nel domicilio eletto nel giudizio di appello.
12. Come già statuito a riguardo da questa S.C. (cfr. Cass. n. 15106/13; cfr. altresì, Cass. n. 6826/2010; Cass. n. 2723/2010; Cass. n. 18410/2009), il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio e delle garanzie di difesa e dal diritto a partecipare al processo in condizioni di parità.
13. Ne deriva che, acclarata l’infondatezza del ricorso in oggetto alla stregua delle considerazioni sopra svolte, sarebbe comunque vano disporre la fissazione di un termine per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei tempi di definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio in termini di garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti che, nel caso in esame, hanno peraltro svolto regolarmente tutte le attività processuali di loro pertinenza, senza alcuna lesione dei propri diritti.
14. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore del Difensore dei controricorrenti.
15. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie della misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore dei controricorrenti. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.