CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 luglio 2019, n. 18367
Tributi locali – ICI – Accertamento – Agevolazione abitazione principale – Presupposti – Effettivo utilizzo dell’unità immobiliare quale dimora abituale del nucleo familiare – Prova a capo al contribuente
Rilevato che
Con la sentenza n. 1454/22/14 del 03 luglio 2014 la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in accoglimento dell’appello del Comune di Borea di Cadore ed in riforma della sentenza n. 11.02. 2013 della CTP di Padova del 21.02.2013, confermava l’avviso di accertamento ICI 2006 del predetto Comune a carico di V.M..
La CTR accoglieva l’appello del Comune di Borea di Cadore reputando insussistenti i presupposti per riconoscere alla Vettore l’agevolazione ICI a norma dell’art. 8 secondo comma D.P.R. n. 504 del 30.12.1992, non avendo la contribuente dimostrato di utilizzare l’abitazione sita in Borea di Cadore come abitazione principale qualifica che spetta solo all’abitazione, goduta a titolo di proprietà o altro diritto reale, utilizzata dai componenti il nucleo familiare come dimora abituale, posto che il nucleo familiare della contribuente, costituito solo dal marito, risiedeva nel comune di B.T. e la Vettore non aveva provato che l’intero nucleo familiare abitualmente dimorava in Borea di Cadore.
Considerato che
Con il ricorso per cassazione la contribuente deduce due motivi di ricorso:
1) Violazione e /o falsa applicazione dell’art. 8 comma 2, del D.Lgs n. 504/1992 e 360 n. 3 c.p.c.. Lamenta la ricorrente che si sia data per scontata l’irrilevanza della separazione di fatto dei coniugi, in assenza di separazione legale, avendo ella dichiarato, al fine della dimostrazione del nucleo familiare residente, di essere separata di fatto dal coniuge e di aver fissato, in solitudine, la propria residenza in Borea di Cadore.
2) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 comma 2, del D.Lgs n. 504/1992, dell’art. 144 cod.civ. e dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ..
Lamenta la ricorrente che il giudice di appello abbia dato, immotivatamente, per scontato che la residenza della famiglia sia quella anagrafica del marito e; non quella anagrafica della moglie. A tal proposito prospetta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 comma 2, del D.Lgs n. 504/1992 che non può essere applicato al caso di coniugi separati di fatto, con abitazioni poste in luoghi diversi. Ciò comporta violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione attesa la palese disparità di trattamento di medesime capacità contributive.
La ricorrente ha ribadito i contenuti del ricorso con tempestiva memoria Il Comune non si è costituito.
Il P.G. ha concluso come da intestazione.
Il due motivi possono essere esaminati congiuntamente essendo connessi e vertendo entrambi sulla interpretazione dei concetti di abitazione principale e di dimora abituale anche in presenza di una separazione di fatto dei coniugi.
Premesso che l’art. 8, comma 2, D. Igs. 504/92 prescrive che: <<Dalla imposta dovuta per l’unità immobiliare direttamente adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si detraggono, fino alla concorrenza del suo ammontare, lire 180.000 rapportate al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione; se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica. Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente>> e che l’art. 1, comma 173, lett. b), della l. n. 296 del 2006, con decorrenza dall’1 gennaio 2007 ha previsto che << dopo le parole: “adibita ad abitazione principale del soggetto passivo” sono inserite le seguenti: “intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica,”>>,tenuto conto di tali imprescindibili parametri normativi,questa Corte ha già deciso che <<In tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), ai fini della spettanza della detrazione prevista, per le abitazioni principali (per tale intendendosi, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica), dall’art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992 (come modificato dall’art. 1, comma 173, lett. b), della l. n. 296 del 2006, con decorrenza dall’1 gennaio 2007), occorre che il contribuente provi che l’abitazione costituisce dimora abituale non solo propria, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione ove tale requisito sia riscontrabile solo per il medesimo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la detrazione sulla base dell’accertamento che l’immobile “de quo” costituisse dimora abituale del solo ricorrente e non della di lui moglie). >> Cass. n. 15444 del 21/06/2017). Peraltro la giurisprudenza di questa Corte, sul punto, è consolidata (n. 13062/2017; n. 14389 del 15/06/2010).
Le doglianze della ricorrente, che prospetta una separazione di fatto coniugale e rivendica il proprio diritto di fissare in autonomia la dimora abituale, valevole anche per ottenere l’agevolazione richiesta, sono formulate in termini meramente assertivi e privi di un valido supporto probatorio.
Le censure denotano ,pertanto, rilevanti profili di inammissibilità essendo basate su rilievi fattuali (quale la separazione di fatto dal coniuge) che non solo non è stata adeguatamente provata ma che non è stata neanche dedotta nel precedente grado ,e che pertanto non può essere valutata, in sede di legittimità. Non è,infatti, consentita, in sede di legittimità, la proposizione di nuove questioni di diritto quando esse presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto, di regola preclusi alla Corte di cassazione, salvo che nelle particolari ipotesi di cui all’art. 372 cod. proc. civ.: l’esame va coordinato con il principio della domanda, così che non può trovare applicazione per la prima volta in cassazione con riferimento ad un fatto mai dedotto in precedenza, implicante un diverso tema di indagine e di decisione.
Anche l’eccezione di incostituzionalità è formulata in termini generici e non giuridicamente circostanziati con riferimento agli articoli denunciati ed al relativo quesito.
Da tanto consegue che il ricorso della contribuente va rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese che si liquidano secondo dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in € 450,00 oltre rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
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