CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 maggio 2018, n. 11164
Pubblico impiego – Passaggio nei ruoli Inail dei dipendenti ex Ipsema – Passaggio al livello economico superiore dell’area di inquadramento – Ammissione alle procedure selettive
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Trieste ha respinto l’appello dell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro avverso la sentenza del locale Tribunale che, in accoglimento del ricorso proposto da F.F., C.F. e P.R., aveva dichiarato il diritto delle ricorrenti ad essere ammesse alle procedure selettive, bandite in data 30/12/2010, per il passaggio al livello economico superiore dell’area di inquadramento ed aveva conseguentemente revocato il provvedimento di esclusione adottato dall’Istituto.
2. La Corte territoriale ha premesso che le appellate, dipendenti dell’IPSEMA – Istituto Previdenziale per il Settore Marittimo, a partire dal giugno 2010 erano transitate nei ruoli dell’INAIL per effetto del d.l. n. 78/2010, convertito con legge n. 122/2010, che aveva soppresso l’ente di provenienza. Ha evidenziato, inoltre, che le stesse erano state escluse dalle procedure di progressione orizzontale perché queste ultime richiedevano quale requisito di ammissione l’essere in servizio alla data del 31/12/2009.
3. Il giudice di appello ha ritenuto applicabile alla fattispecie, assimilabile ad una incorporazione di società, l’art. 2112 cod. civ. perché le attività ed i compiti curati dall’IPSEMA erano stati trasferiti all’INAIL. Ha aggiunto che la disposizione normativa garantisce al lavoratore la continuità del rapporto e la conservazione dei diritti acquisiti, ivi compreso il mantenimento dell’anzianità maturata alle dipendenze del cedente. Le appellate, pertanto, dovevano ritenersi in possesso del requisito richiesto dal bando, perché il rapporto di lavoro con l’IPSEMA era già costituito nel dicembre del 2009 e perché la lex specialis della procedura comparativa non escludeva espressamente il personale proveniente dall’ente soppresso dal novero dei destinatari della procedura stessa.
4. La Corte territoriale ha ritenuto irrilevante che le originarie ricorrenti avessero già usufruito della progressione prevista dal contratto per il personale del comparto enti pubblici non economici, avendo l’IPSEMA indetto le procedure più tempestivamente rispetto all’INAIL.
Ha evidenziato al riguardo che gli effetti economici dei precedenti passaggi erano stati posti a carico del fondo integrativo dell’ente soppresso ed inoltre che la progressione professionale persegue la finalità di garantire un avanzamento nella carriera ai più meritevoli, indipendentemente da ogni altra considerazione.
5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’INAIL sulla base di quattro motivi, illustrati da memorie ex art. 378 cod. proc. civ., ai quali hanno resistito con tempestivo controricorso F.F., C.F. e P.R..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., l’INAIL denuncia «violazione dell’art. 7 del d.l. 78/2010, convertito con modificazioni in legge 122/2010; violazione dell’art. 3 del Decreto 27 luglio 2012 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione». Sostiene, in sintesi, il ricorrente che alla data di indizione delle procedure i dipendenti dell’ente soppresso non erano stati ancora inseriti nella dotazione organica dell’INAIL e, quindi, non rientravano fra i naturali destinatari delle procedure stesse. Il legislatore, infatti, aveva subordinato il trasferimento delle risorse umane nonché di quelle strumentali e finanziarie all’adozione di un decreto interministeriale, nella specie sottoscritto solo il 27 luglio 2012 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 286 del 7/12/2012. Aggiunge il ricorrente che le procedure erano state indette considerando l’organico esistente alla data del 31 dicembre 2009 e, quindi, non potevano riferirsi anche ai dipendenti dell’IPSEMA che a detta data risultavano inseriti in altra pianta organica.
2. La seconda censura, egualmente formulata ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., addebita alla sentenza impugnata «falsa applicazione dell’art. 2112 c.c.; falsa applicazione Direttiva 77/187/CEE datata 14 febbraio 1977, come modificata dalla Direttiva 98/50/CE del 20/6/1998, successivamente abrogata e sostituita dalla Direttiva del Consiglio 2001/23/CE datata 12 marzo 2001; violazione dell’art. 7, comma 1, d.l. 78/2010 convertito con modificazioni in legge 122/2010». L’INAIL evidenzia che all’atto del trasferimento sono stati riconosciuti ai dipendenti dell’IPSEMA l’inquadramento e l’anzianità posseduti presso l’ente soppresso, sicché la fattispecie non è assimilabile a quella relativa al trasferimento del personale ATA, sia perché non vengono in rilievo diritti di natura pecuniaria legati alla anzianità, sia in quanto le ricorrenti non hanno mai allegato un peggioramento retributivo. I principi affermati dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza 6 settembre 2011 in causa c- 108/2010 non valgono, pertanto, ad avallare le conclusioni alle quali i giudici di merito sono pervenuti ma anzi le smentiscono, perché nella decisione citata la stessa Corte evidenzia che l’anzianità non costituisce di per sé un diritto da far valere nei confronti del cessionario e rileva solo qualora dalla stessa derivino benefici pecuniari che, in quanto tali, devono essere salvaguardati. Aggiunge il ricorrente che lo svolgimento di un’attività previdenziale non può essere assimilata all’attività di impresa ai sensi della normativa comunitaria e che nella specie non si è verificato un trasferimento di azienda bensì solo una riorganizzazione di funzioni amministrative, attuata mediante il conferimento ad altro ente delle funzioni originariamente svolte da quello soppresso, riorganizzazione che lo stesso legislatore eurounitario esclude dall’ambito di applicazione della direttiva (art.1, n. 1 punto c).
3. Con il terzo motivo si denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la «violazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ. in relazione all’art. 2, comma 1 dei bandi di selezione approvati con determinazione INAIL – D.C.R.U. n. 307/2010; violazione degli art. 12 e 13 del CCNL 1.10.2007 (quadriennio 2006-2009) e degli artt. 7-8-9-11 del CCIE del 30/3/2010 (quadriennio 2006-2009); falsa applicazione degli artt. 10 CCNL EPNE 2002/2005 e 15 CCNL EPNE 1998/2001». L’Istituto ricorrente ribadisce che la contrattazione collettiva, nazionale ed integrativa, prevede che il passaggio da un livello economico a quello immediatamente successivo deve avvenire con decorrenza fissata dal 1 gennaio di ciascun anno e deve tener conto del livello di esperienza maturato e delle competenze professionali acquisite dai lavoratori. Sulla base di dette disposizioni l’ente ha individuato i posti disponibili per ciascun livello economico in relazione al personale in servizio alla data del 31 dicembre 2009, al quale, quindi, era riservata la partecipazione alle procedure. La Corte territoriale, pertanto, nell’interpretare l’art.2 del bando di selezione, secondo cui alla procedura potevano partecipare i dipendenti dell’istituto inquadrati, a prescindere dall’anzianità maturata e dal titolo di studio posseduto, alla data del 31 dicembre 2009 nell’area C livello economico 3 ( o livello economico 4 per l’accesso al 5), doveva tener conto del contenuto della determinazione dirigenziale che richiamava espressamente le norme contrattuali di riferimento.
4. La quarta critica denuncia, sotto altro profilo, la violazione delle disposizioni del CCNL e del CCIE richiamate nel terzo motivo e censura la sentenza impugnata nella parte in cui ritiene che la esclusione dei dipendenti già in servizio presso l’IPSEMA non potesse essere fondata sulla circostanza che gli stessi avevano già conseguito presso l’ente di provenienza gli avanzamenti economici previsti dal contratto collettivo per il personale del comparto degli enti pubblici non economici. Evidenzia il ricorrente che l’intera disciplina dettata dalle parti collettive considera la cadenza triennale delle procedure e valorizza l’esperienza maturata e le competenze professionali acquisite in detto arco temporale, sicché per ciò solo non poteva essere consentita la partecipazione al personale dell’IPSEMA che aveva ottenuto il livello economico nell’anno 2009.
5. Il primo motivo è infondato.
L’art. 7 del d.l. n. 78/2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 122/2010, fa decorrere gli effetti della soppressione dell’IPSEMA dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto legge e non sottopone a termine o a condizione la successione dell’INAIL nella titolarità dei rapporti attivi e passivi riferibili all’ente soppresso.
I decreti di natura non regolamentare previsti dal quarto comma dello stesso articolo hanno, quindi, natura meramente ricognitiva, essendo finalizzati solo alla individuazione, da effettuarsi in relazione ai «bilanci di chiusura delle relative gestioni alla data di entrata in vigore del decreto», delle risorse strumentali, umane e finanziarie esistenti al momento della soppressione.
Non a caso il decreto del 27 luglio 2012, invocato dalla difesa dell’INAIL, fissa al 31 maggio 2010 la decorrenza degli effetti del trasferimento delle funzioni, delle risorse e del personale, sicché è a detta data che occorre fare riferimento anche per l’incremento della dotazione organica dell’INAIL, prevista dal comma 5 dell’art. 7 del d.l. e richiamata dall’art. 3, comma 3, dell’atto ricognitivo.
6. Le ulteriori censure, da trattarsi unitariamente per la loro stretta connessione logicogiuridica, sono fondate, seppure per ragioni non totalmente coincidenti con quelle illustrate dalla difesa dell’istituto.
Occorre premettere che il legislatore, nel disporre la soppressione dell’IPSEMA e la contestuale attribuzione all’INAIL delle competenze dell’ente previdenziale soppresso, si è limitato a prevedere la successione dell’ente subentrante nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo al soggetto estinto, sicché, in assenza di una normativa speciale e derogatoria, gli effetti del trasferimento sui rapporti di lavoro in essere alla data di entrata in vigore del decreto legge, trovano la loro disciplina nell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001, a norma del quale «fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applica l’art. 2112 del codice civile…».
Questa Corte ha già affermato, e va qui ribadito, che «i due termini utilizzati dal richiamato art. 31, cioè quelli di trasferimento o di conferimento di attività, esprimono, attraverso la loro ampia valenza semantica, la volontà del legislatore di comprendere nello spettro applicativo della disposizione ogni vicenda traslativa riguardante un’attività svolta dal soggetto pubblico, per cui non è richiesta o presupposta alcuna cessione d’azienda, bastando il più semplice trasferimento di un’attività svolta fino a quel determinato momento da un soggetto pubblico, indipendentemente dal tipo di strumento tecnico adoperato nella vicenda amministrativa di trasferimento o conferimento, il tutto nell’ottica di una tutela giuslavoristica dei dipendenti pubblici addetti all’attività trasferita» (Cass. 12.8.2014 n. 17894; negli stessi termini Cass. 25.11.2014 n. 25021, Cass. 31.1.2013 n. 2281, Cass. 11.7.2012 n. 11660).
Nella fattispecie, pertanto, il trasferimento delle competenze dall’IPSEMA all’INAIL, disposto con atto normativo, rende applicabile, per effetto del rinvio contenuto nell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001, l’art. 2112 cod. civ., a prescindere da ogni accertamento sull’assimilabilità della vicenda traslativa ad una cessione di azienda in senso proprio.
6.1 Ciò premesso, rileva il Collegio che dall’applicabilità dell’art. 2112 cod. civ., affermata dalla Corte territoriale sulla base di un diverso percorso argomentativo, non discendono, in relazione al tema che qui viene in rilievo, le conseguenze che i giudici di merito hanno ritenuto di doverne trarre.
Invero le disposizioni normative che, nel disciplinare il passaggio di lavoratori ad una diversa organizzazione, garantiscono il mantenimento del trattamento economico e normativo acquisito, non implicano la totale parificazione ad ogni effetto con i dipendenti già in servizio presso il datore di lavoro di destinazione. La prosecuzione giuridica del rapporto, infatti, se da un lato rende operante il divieto di reformatio in peius, dall’altro non fa venir meno la diversità fra le due fasi di svolgimento del rapporto medesimo, diversità che può essere valorizzata dal nuovo datore di lavoro, sempre che il trattamento differenziato non implichi la mortificazione di un diritto già acquisito dal lavoratore.
Muovendo da detta premessa questa Corte (Cass. n. 18220/2015; Cass. n. 25021/2014; Cass. n. 22745/2011; Cass. n. 10933/2011; Cass. S.U. n. 22800/2010; Cass. n. 17081/2007) ha evidenziato che l’anzianità di servizio, che di per sé non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in modo assoluto solo nei casi in cui alla stessa si correlino benefici economici ed il mancato riconoscimento della pregressa anzianità comporterebbe un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito. L’anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere da quest’ultimo per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario (Cass. S.U. n. 22800/2010 e Cass. n. 25021/2014 cit.), né può essere opposta al nuovo datore per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti, non delle aspettative, già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto.
Il nuovo datore, pertanto, ben può ai fini della progressione di carriera valorizzare l’esperienza professionale specifica maturata alle proprie dipendenze, differenziandola da quella riferibile alla pregressa fase del rapporto (Cass. n. 17081/2007; Cass. S.U. n. 22800/2010; Cass. n. 22745/2011 citate e, in relazione all’impiego privato, Cass. n. 7202/2009).
6.2. Le conclusioni alle quali questa Corte è pervenuta trovano conforto nella giurisprudenza della Corte di Lussemburgo che, a prescindere dalla applicabilità o meno al trasferimento di attività che qui viene in rilievo della direttiva 2001/23/CE, deve orientare nell’interpretazione della norma interna con la quale il legislatore ha adeguato il diritto nazionale a quello dell’Unione (l’art. 2112 cod. civ. è stato modificato dal d.lgs. n. 18/2001 in attuazione della direttiva 98/50/CE, poi sostituita dalla direttiva 2001/23/CE).
La Corte di Giustizia con la recente pronuncia del 6 aprile 2017 in causa C – 336/15, ha ribadito che lo scopo della direttiva è solo quello di assicurare il mantenimento dei diritti già acquisiti dai lavoratori trasferiti e che l’anzianità maturata presso il cedente non costituisce di per sé «un diritto di cui i lavoratori possano avvalersi nei confronti del cessionario, ciò nondimeno essa serve, se del caso, a determinare taluni diritti pecuniari dei lavoratori, che pertanto devono essere salvaguardati, in linea di principio dal cessionario allo stesso modo del cedente» (punti 21 e 22 nei quali la Corte richiama le sentenze 6.9.2011, Scattolon, C- 108/10 e 14.9.2000, Collino e Chiappero, C-343/98).
6.3. I principi sintetizzati nei punti che precedono devono orientare nella decisione della presente controversia, che la Corte territoriale ha risolto muovendo da presupposti erronei, perché, come si è detto, l’art. 2112 cod. civ. non legittima la assoluta parificazione dei dipendenti trasferiti a quelli già in servizio presso il cessionario, né fa venir meno la diversità fra le due fasi dell’unitario rapporto.
Ha errato, quindi, il giudice di appello nel sostenere che fra i destinatari della procedura selettiva, pacificamente riservata ai «dipendenti dell’Istituto che….alla data del 31.12.2009 erano in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato», dovessero essere ricompresi anche quelli dell’ente soppresso in virtù del principio della continuità, previsto dal richiamato art. 2112 cod. civ.. Al contrario la lex specialis della procedura, adottata in epoca successiva al trasferimento di attività, è chiara nel limitare la platea dei legittimati ai soli dipendenti già in servizio presso l’INAIL alla data sopra indicata.
6.4. Parimenti erronea è la sentenza gravata nella parte in cui ritiene priva di rilievo l’avvenuta partecipazione delle attuali controricorrenti alle procedure finalizzate alla progressione economica all’interno dell’area, già espletate dall’IPSEMA nel rispetto delle previsioni contenute nel CCNL per il comparto degli enti pubblici non economici quadriennio 2006/2009.
L’art. 12 del CCNL stabilisce che «alla maggiore flessibilità del sistema di classificazione del personale, deve corrispondere, all’interno delle singole aree, un articolato sistema di sviluppo economico correlato al maggior grado di capacità professionale progressivamente acquisito dai dipendenti nello svolgimento delle funzioni proprie dell’area e del profilo di appartenenza.». Il successivo art. 13, dopo aver previsto al comma 3 che ai fini del passaggio occorre tener conto del livello di esperienza maturato e delle competenze acquisite, dei titoli culturali e professionali posseduti, nonché dei percorsi formativi eventualmente organizzati dal datore, precisa che detti criteri devono essere «tra loro combinati e ponderati in modo da evitare l’identificazione della esperienza professionale con il solo tempo di permanenza nei livelli economici, nonché la prevalenza dell’uno sull’altro e in modo da garantire una effettiva selettività dei criteri di scelta del personale cui riconoscere lo sviluppo economico.».
Da dette disposizioni, che vanno interpretate le une per mezzo delle altre, emerge che ai fini dello sviluppo professionale deve attribuirsi rilievo anche alla permanenza nel livello è economico di provenienza, trattandosi di un criterio che, sebbene privo di rilievo esclusivo o preponderante, deve comunque essere «combinato» con gli altri, in quanto sintomatico della progressiva acquisizione di una maggiore professionalità.
La pretesa delle originarie ricorrenti di beneficiare della progressione economica all’interno dell’area subito dopo l’espletamento delle analoghe procedure bandite dall’ente di provenienza, contrasta con la ratio delle disposizioni dettate dalle parti collettive in tema di sviluppo della carriera; sminuisce del tutto la valenza del primo dei criteri indicati dal richiamato art. 13; si risolve nella violazione del terzo comma dello stesso articolo che impone di combinare fra loro i criteri stessi, in modo che nessuno di essi assuma rilievo preponderante o esclusivo.
6.5. Infine evidenzia il Collegio che il vizio della sentenza impugnata discende dalla errata interpretazione dell’art. 2112 cod. civ., dalla quale la Corte territoriale ha desunto che le ricorrenti dovevano essere considerate in servizio presso l’Istituto già alla data del 31.12.2009.
L’errore non attiene né all’esegesi del bando, il cui tenore letterale risulta essere privo di qualsiasi profilo di equivocità, né alla valutazione delle risultanze di causa, essendo pacifico che la data sopra indicata si colloca in epoca antecedente alla legge di soppressione e, quindi, al trasferimento delle attuali controricorrenti dall’IPSEMA all’INAIL.
Non si è, pertanto, in presenza di un accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità ( se non nei limiti di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. e, quanto alla interpretazione del bando, per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale) perché l’errore commesso dalla Corte territoriale configura un vizio di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, vizio che con riferimento alle procedure selettive si verifica qualora, a fronte di presupposti fattuali incontestati, il giudice ritiene sussistente o non sussistente il requisito di ammissione alla procedura sulla base di principi giuridici errati.
6.6. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa deve essere decisa nel merito, ex art. 384 comma 2 cod. proc. civ., con il rigetto dell’originaria domanda.
La complessità della questione giuridica e l’assenza di pronunce di questa Corte in relazione alle procedure selettive che qui vengono in rilievo giustificano l’integrale compensazione fra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito. Vanno, però, poste a carico delle controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
La fondatezza del ricorso rende inapplicabile l’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda. Compensa fra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito e condanna i controricorrenti a rifondere all’INAIL le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 5.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.
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