CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 maggio 2018, n. 11165
Categorie e qualifiche dei prestatori di lavoro – Concorsi interni – Procedura concorsuale illegittima – Diritto al risarcimento del danno da “perdita di chance” – Prova del nesso causale – Criterio della probabilità quantitativa – Insufficienza – Fattispecie
Fatti di causa
1. C.P., dipendente della Regione Liguria inquadrata nella VII qualifica funzionale, prese parte nel 1998 al concorso interno per la copertura di 41 posti di Vili qualifica funzionale. Alla selezione parteciparono 74 candidati, ma solo 41 risultarono vincitori. Il T.A.R., con sentenza poi divenuta definitiva, nell’anno 2007 annullò il concorso per profili di illegittimità afferenti ai parametri di valutazione predisposti dalla commissione di valutazione, in quanto basati sull’attribuzione di voti per i quali non erano stabiliti criteri, oltre che su di una “impressione complessiva ricavabile dall’interrogazione”, criterio che aveva carattere soggettivo e non era neppure completato da alcun riferimento agli aspetti cui fare riferimento, sicché era attribuito nel complesso all’arbitrio della commissione stessa la scelta dei candidati da promuovere o meno. In conseguenza di tale annullamento era poi accaduto che fosse stata emessa, nell’anno 2008, una legge regionale (Legge Regione Liguria 1 luglio 2008, n. 20) che aveva fatto salva la posizione economica dei vincitori del concorso di passaggio dalla VII all’VIII qualifica di dipendenti regionali (in sostituzione di altra legge regionale, sempre del 2008, che aveva fatto salva anche la posizione giuridica), ovverosia per un’ipotesi esattamente corrispondente alla fattispecie oggetto di causa; infine presso la Direzione del Lavoro di Savona erano stati conclusi accordi con i 41 ex vincitori, in esito al quale i medesimi avevano conservato la posizione economica e giuridica ed ogni altro vantaggio accessorio riconnesso alla qualifica già ottenuta.
2. La ricorrente aveva quindi adito il Tribunale di Genova per ottenere il risarcimento dei danni conseguiti in ragione dell’annullamento della graduatoria e dei successivi comportamenti regionali, con domanda che era stata però respinta.
3. La pronuncia del Tribunale è stata poi confermata dalla Corte d’Appello di Genova la quale, con sentenza n. 589/2013, ha condiviso gli assunti del Tribunale in ordine al fatto che, per un verso, anche l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della legge regionale, così come ogni provvedimento amministrativo di rimozione degli effetti del concorso annullato, avrebbero avuto l’effetto di determinare la perdita dei vantaggi attribuiti ai vincitori, ma non quello di far attribuire i medesimi vantaggi alla ricorrente; mentre, per altro verso, mancava anche l’allegazione di elementi idonei a provare che il concorso avrebbe avuto, con elevata probabilità, esito positivo per la ricorrente, non ritenendosi idoneo, per un profilo attinente ancora all’an piuttosto che al quantum del danno, l’adozione richiesta di parametri puramente statistici, tra cui quello della proporzione tra i partecipanti al concorso e i posti disponibili.
4. La C. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello, affidandosi a due motivi, di cui il primo articolato in più profili. Regione Liguria ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno illustrato le rispettive difese con memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 97 della Costituzione, nonché degli articoli 1175, 1218, 1226, 1227, 1229, 1375 e 2697 c.c. e degli articoli 115, 116, 210, 213 e 421 c.p.c., per non avere la Corte territoriale riconosciuto la sussistenza delle illegittimità denunciate nei comportamenti datoriali, nonché per avere disconosciuto l’esistenza di una prova, almeno su base statistica, della perdita di chance cagionata da tali comportamenti, in ragione dei danni corrispondenti alle differenze retributive tra la qualifica perseguita e quella di effettivo inquadramento ed ai ritardi nelle conseguenti progressioni di carriera.
2. Sul punto si osserva che la Corte territoriale non ha in realtà mai negato che i comportamenti datoriali fossero illegittimi e del resto l’annullamento con sentenza del T.A.R. passata in giudicato del concorso interno è dato inconfutabile. Non appare dunque pertinente la censura rispetto all’asserita mancata considerazione, nella sentenza impugnata, delle norme sostanziali che starebbero a fondamento di tali illegittimità.
La Corte d’Appello ha invece ritenuto che mancasse prova dei danni che, sul piano lavoristico, sarebbero da riconnettere alle illegittimità addotte.
E’ dunque su questo punto che deve portarsi l’attenzione.
2.1 In proposito la ricorrente, pur ribadendo i propri assunti in merito alle violazioni commesse dalla Regione Liguria a favore dei colleghi già vincitori del concorso interno poi annullato, non delinea alcuna concreta critica rispetto a quanto spiegato dalla Corte d’Appello, in linea con le originarie motivazioni addotte del Tribunale, ovverosia che, pur a voler considerare tali illegittimità, essenzialmente da ravvisare nel mantenimento dei vantaggi giuridici ed economici in capo ai vincitori del concorso annullato, ogni rimedio cui l’Amministrazione avrebbe potuto essere considerata tenuta, in ipotesi anche in esito ad un’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della legge regionale emanata per consolidare gli effetti del concorso annullato, sarebbe stato tale da poter al limite comportare la rimozione dei vantaggi ottenuti dai vincitori, ma non l’attribuzione, diretta o in via risarcitoria, di tali vantaggi alla ricorrente o agli altri colleghi non vincitori del concorso. Dovendosi tra l’altro tenere conto non solo che i passaggi interni, secondo la contrattazione collettiva susseguita quasi immediatamente, non avverrebbero più su base concorsuale, ma anche della circostanza, ripetuta dalla Corte d’Appello e non raggiunta da reali censure in questa sede, secondo cui l’amministrazione non era comunque tenuta a rinnovare in forma specifica il procedimento concorsuale annullato in sede giudiziale, potendo provvedere altrimenti alle proprie esigenze.
2.2 A parte ciò, la ricorrente fa discendere ogni conseguenza lesiva a proprio danno dagli esiti non favorevoli del concorso illegittimo e quindi dalla perdita delle corrispondenti chances.
Da questo punto di vista la C. sostiene che la dimostrazione probabilistica, in cui pacificamente consiste la valutazione sulla perdita di chances, avrebbe dovuto essere tratta dai giudici di merito considerando che, a fronte di una procedura concorsuale illegittima, in mancanza di concrete risultanze circa il possibile esito della selezione, solo l’esclusione con adeguata sicurezza della possibilità del lavoratore di ottenere un esito positivo avrebbe potuto impedire il risarcimento, potendosi semmai ricorrere, per stabilire il nesso causale tra illegittimità e danno, al criterio residuale del rapporto tra il numero dei soggetti da selezionare ed il numero di quelli che avevano concorso alla selezione. Criterio, quest’ultimo che avrebbe determinato una percentuale di esito positivo pari al 55 % e quindi superiore alla metà. E dovendosi ancora considerare, sempre secondo la ricorrente, che la selezione consisteva in una prova orale, sicché non vi era possibilità di fornire concrete allegazioni di comparazione tra i vari concorrenti.
2.2.1 Seguendo l’ordine logico delle questioni così sollevate, va intanto affermata l’infondatezza dell’assunto secondo cui la prova di un’illegittimità nei comportamenti concorsuali datoriali comporterebbe di per sé il diritto al risarcimento del danno, a meno che il datore di lavoro dimostri l’insussistenza di concrete possibilità di vittoria in capo al lavoratore interessato.
Tale assunto, in qualche misura desunto da Cass. 5 marzo 2012, n. 3415, risulta superato da Cass., S.U., 23 settembre 2013, n. 21678, secondo cui “in tema di risarcimento del danno per perdita di chance di promozione, incombe sul singolo dipendente l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo, il nesso di causalità tra l’inadempimento datoriale e il danno, ossia la concreta sussistenza della probabilità di ottenere la qualifica superiore”. Con soluzione, quest’ultima, che va qui condivisa, confermando essa, in sostanza, la distinzione tra prova dell’inadempimento, che consente di presumere in ambito contrattuale la colpa (Cass. S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533), e prova del danno, che pone a carico del danneggiato l’onere di dimostrare, per quanto se del caso anche solo mediante presunzioni, la ricorrenza del nesso causale rispetto al predetto inadempimento.
2.2.2 Ciò posto e venendo quindi alla valutazione della Corte territoriale in ordine alla prova del predetto nesso causale, non appare censurabile il fatto che sia stato ritenuto inidoneo un criterio meramente statistico basato sul rapporto tra partecipanti e posti disponibili e sulla verifica, propugnata da parte ricorrente, che tale rapporto supererebbe il 50 % (55,41 %) e quindi, in sostanza, l’evento favorevole sarebbe da ritenere “più probabile che non”.
Parte ricorrente muove dal presupposto, a suo dire pacifico, che i concorrenti si trovassero in condizioni tra loro assolutamente paritarie quanto a titoli e che quindi, tutto vertendo su una prova orale, sarebbe impossibile un apprezzamento probabilistico basato su elementi valutativi concreti (c.d. probabilità logica) e tutto andrebbe risolto sul piano puramente statistico (c.d. probabilità quantitativa).
Anche a voler ritenere che tale sia la situazione fattuale del caso di specie e pur ad ipotizzare che il solo criterio della probabilità quantitativa costituisca in tali casi un idoneo mezzo di apprezzamento del nesso causale (in questo senso, v. la citata Cass. 5 marzo 2012, n. 3415), non coglie tuttavia nel segno l’ipotesi di una conclusione favorevole basata sul superamento del 50 % (55,41%) nel rapporto tra posti disponibili e partecipanti al concorso.
Infatti, rispetto alla prova del nesso causale tra comportamento illegittimo e danno risarcibile per perdita di chance, la giurisprudenza di questa Corte è attestata su parametri valutativi che richiedono l’apprezzamento del probabile trasformarsi della chance in reale conseguimento del beneficio in termini di “elevata probabilità, prossima alla certezza” (così, Cass. 12 maggio 2017, n. 11906; Cass. 30 settembre 2016, n. 19604; Cass. 11 maggio 2010, n. 11353; Cass. 19 febbraio 2009, n. 4052; v. anche Cass. 1 marzo 2016, n. 4014, ove il danno è stato riconosciuto sul presupposto che fosse stimabile un novanta per cento di probabilità di promozione).
Tale impostazione va ribadita, in quanto è chiaro che una cosa è la determinazione di un nesso causale tra un comportamento ed un danno certo (nel quale caso in ambito civilistico vale appunto la c.d. regola del “più probabile che non”: Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 576) ed altro è stabilire i criteri di valutazione della rilevanza di un pregiudizio che, pur essendo cagionato anch’esso dal comportamento altrui, è addirittura incerto nella sua reale verificazione in senso giuridico (ovverosia quale perdita di un’utilità che si avesse diritto ad avere), quale è il danno da perdita di chance.
E’ in definitiva razionale che, proprio per l’incertezza rispetto alla spettanza dell’utilità in ipotesi menomata, la probabilità di verificazione di cui è necessaria la prova si collochi, come da giurisprudenza citata, verso i range più elevati della scala probabilistica.
Se anche quindi l’unico elemento valutativo fosse nel caso di specie quello statistico, il livello di probabilità che deriva dal rapporto tra partecipanti e posti disponibili risulta tale (il predetto 55,41 %, di cui è menzione anche nella sentenza impugnata) da restare ampiamente al di sotto della soglia richiesta per la sufficiente dimostrazione di un danno risarcibile per perdita di chance.
3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1, 2, 3, 4, 35 e 97 della Costituzione, degli artt. 1175, 1218, 1226, 1227, 1229, 1375 e 2697 c.c. e degli artt. 115, 116, 210, 213 e 421 c.p.c., sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe respinto la domanda volta al risarcimento del danno non patrimoniale patito “sul rilievo che, in relazione allo stesso, sarebbero mancati i motivi di appello e, comunque, ogni elemento atto a circostanziare e dimostrare le sofferenze e i disagi denunciati in primo grado”.
3.1 Quanto affermato con il motivo non è coerente rispetto al contenuto della sentenza di secondo grado, che in realtà non affronta proprio il tema del danno non patrimoniale e nulla dice in proposito.
3.2 In ogni caso, come precisa la stessa ricorrente, il Tribunale espressamente argomentò nel senso che “le sofferenze e i disagi rappresentati in ricorso (se mai esistenti) sono giuridicamente rilevanti, in quanto siano collegati alle illegittimità concorsuali e alle successive condotte della Regione da un nesso causale giuridicamente rilevante, che nella fattispecie non è affatto provato”.
Ne deriva che, a maggior ragione per il fatto che la Corte territoriale sul danno non patrimoniale nulla ha argomentato, la formulazione di un ammissibile motivo di ricorso per cassazione avrebbe imposto di individuare in modo specifico le deduzioni critiche sollevate con l’appello rispetto alle conclusioni del Tribunale sul punto. Solo in tal modo si sarebbe potuto infatti delineare un motivo che adducesse in modo concreto l’avvenuta devoluzione al secondo grado del relativo profilo controverso, tale per cui il tema potrebbe essere oggetto di un’ammissibile impugnazione per cassazione.
Viceversa, nell’esporre il motivo in questione, la parte si limita ad affermare che “con l’atto di appello, come si è evidenziato in precedenza, si è evidenziata sia l’illegittimità dell’operato della Regione Liguria, sia la configurabilità del nesso di causalità tra esso e tutti i pregiudizi – e quindi anche quelli non patrimoniali – patiti dalla ricorrente e l’errore in cui era incorso il Tribunale a non ritenerli sussistenti e provati”.
Tuttavia, nella precedente narrativa difensiva del ricorso per cassazione nulla di più specifico è detto sul danno non patrimoniale e certamente quanto così esposto con il secondo motivo non vale ad addurre con precisione – tanto più necessaria, lo si ripete, visto che la Corte d’Appello non affronta proprio il tema – un’effettiva devoluzione del corrispondente tema alla fase di gravame, per la cui attuazione non erano evidentemente sufficienti generici rinvii alle voci di danno già prospettate in primo grado, ma era necessaria l’esplicitazione, comunque non riportata nel ricorso per cassazione, di concrete critiche alla motivazione, sopra riferita, del Tribunale.
Il motivo pertanto difetta di specificità, in violazione della prescrizione dell’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., sotto il profilo del difetto di autosufficienza del ricorso, non avendo la parte riportato con precisione se e come, al di là di inadeguati generici rinvii, la questione, non trattata dalla sentenza impugnata e già dedotta in primo grado, sia stata ammissibilmente riproposta in grado di appello, onde dar modo al giudice di legittimità di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 24 agosto 2016, n. 17315; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; Cass. 11 gennaio 2007, n. 324).
4. In definitiva il ricorso va rigettato e le spese della presente fase restano regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi ed in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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