CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 maggio 2022, n. 14550
Impresa edile – Infortunio di soci lavoratori -Assenza – Polizza assicurativa a copertura del danno – Beneficiaria – Ingiustificato arricchimento dell’impresa – Esclusione
Fatti di causa
1.-“L’impresa Edile R. snc di R.S. e c” ha stipulato una polizza con la U. assicurazioni spa, al fine di coprire i danni in caso di infortunio dei soci lavoratori.
Secondo la società ricorrente, questa polizza era stata -stipulata a favore della società medesima la quale, in tal modo, mirava a restare indenne dei danni conseguenti all’assenza del lavoratore per infortunio.
Inizialmente, hanno subito infortunio due – dei lavoratori soci della impresa edile, vale a dire i signori R.-e V., ed in conseguenza di tali infortuni, la U. ha corrisposto l’Indennizzo risultante dal contratto, che secondo la prospettazione della società, è stato- incassato non già dai soci ma per l’appunto dalla società medesima, in ragione di quanto previsto dalla polizza.
Tuttavia, in occasione del terzo infortunio, quello occorso al signor R.P., oggi controricorrente, costui avrebbe preteso il pagamento diretto della somma, in proprio favore.
Più precisamente, – al momento del recesso del socio, costui avrebbe riconosciuto un debito verso la società di 29.179,57 euro, per il pagamento del quale l’impresa ha ottenuto un decreto ingiuntivo dal Tribunale di Ravenna.
2.-R.P. – ha proposto, – opposizione ed ha spiegato domanda riconvenzionale; chiedendo la compensazione tra – questo, suo debito e il credito di 52.531,15 €; che gli era dovuto a seguito dell’infortunio in base alla polizza in questione, somma che invece sarebbe – stata incamerata dall’impresa in base, alla tesi che l’assicurazione era nell’interesse di quest’ultima anziché nell’interesse dei soci.
3. -II Tribunale di Ravenna ha accolto l’opposizione ed ha anche accolto la domanda riconvenzionale del socio, lavoratore, interpretando il contratto di assicurazione come un contratto stipulato, si, dall’impresa ma- per conto dei lavoratori, che dunque dovevano ritenersi i diretti beneficiari della polizza.
Allo stesso modo ha argomentato la Corte di appello di Bologna, la quale peraltro ha ritenuto questa come l’unica interpretazione possibile del contratto di assicurazione, pena la sua nullità dovuta al fatto che, altrimenti, il contratto, sarebbe stato privo di causa, o meglio caratterizzato, da un ingiusto arricchimento a favore della compagnia di assicurazione;
4.-Avverso tale decisione ricorre l’impresa edile R. con quattro motivi.- R.P. ha depositato contro ricorso con cui chiede il rigetto della impugnazione.
Considerato che
5. La ratio della -decisione- impugnata è quella di interpretare il contratto in questione , come una assicurazione per conto altrui in cui l’impresa è il contraente e i lavoratori sono gli assicurati ed in cui la clausola in base alla quale i lavoratori affermano che la indennità debba essere liquidata alla contraente, per il danno economico che- possa derivare dall’infortunio subito alle persone assicurate, è intesta come una da uso che rientra nel secondo comma dell’articolo 1891 c.c., – con la- quale gli assicurati autorizzano la contraente semplicemente a far valere – i diritti- derivanti dal contratto, ma-non tale da riconoscere alla impresa la qualità di assicurate essa stesso.
6.- Con il primo motivo di ricorso l’impresa denuncia violazione dell’articolo 112 del codice di procedura civile.
Sostiene la ricorrente che la sentenza di merito non ha pronunciato, o comunque non ha adeguatamente motivato, sulla eccezione, fatta dall’impresa stessa a fronte della domanda riconvenzionale, e volta ad affermare che la compensazione non era possibile in ragione della natura incerta del credito opposto in compensazione.
In sostanza, a fronte della domanda riconvenzionale del socio di compensare il suo debito verso l’impresa -con il suo credito derivante dal contratto di assicurazione, l’impresa aveva eccepito che tale compensazione non era possibile perché il credito preteso dalla controparte, e di cui quest’ultima chiedeva la compensazione con il proprio debito, era contestato e dunque non poteva dirsi certo.
7. Il secondo motivo denuncia invece violazione e falsa applicazione degli articoli 1891 del codice civile nonché 1362 e seguenti c.c.
La tesi della impresa ricorrente e che la Corte d’appello ha male interpretato il contratto intendendolo come una assicurazione a vantaggio dei lavoratori anziché a vantaggio della impresa come avrebbe dovuto invece essere.
Indice di questa seconda ipotesi era, secondo, l’impresa, ricorrente, la clausola con la quale i soci convenivano che l’importo fosse liquidato alla impresa medesima, oltre alla clausola nella quale era evidentemente; detto che la polizza- era stipulata dal contraente, cioè dall’impresa, “per coprirsi nei limiti e alle condizioni convenute del danno economico che ad essa potesse derivare da infortunio subito dalle persone assicurate”.
La Corte di appello avrebbe. cioè male interpretato il significato di queste due clausole e non ne avrebbe ricavato la volontà delle parti di assicurare l’impresa anziché i soci lavoratori.
l motivi sono fondati
Secondo un principio di diritto ormai costantemente affermato da questa Corte, altra è l’interpretazione del contratto, ossia la -ricostruzione della volontà delle parti, e vale a dire di ciò che esse hanno voluto, attività che si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito e non censurabile in Cassazione, altra è invece la qualificazione -di tale volontà delle – parti, ossia la sua riconduzione ad un tipo legale o la qualificazione in termini di contratto atipico, che invece è giudizio censurabile in sede di legittimità -(tra le tante Cass. 15603/ 2021; Cass, 9996/2019; Cass. 14355/2016).
In questo caso, il motivo denuncia un difetto di qualificazione del contratto, anziché di interpretazione delle volontà dei contraenti, poiché con esso si intende l’assicurazione come a favore dello stipulante anziché del terzo, ossia un -contratto in cui il contraente, in questo caso l’impresa, stipula nell’interesse e per conto proprio, anziché dei lavoratori.
Ammessa la censura in sede di legittimità i motivi sono fondati nel merito.
Innanzitutto, deve dirsi errata la tesi sostenuta dalla Corte di Appello secondo cui sarebbe nullo un contratto in cui l’impresa garantisce se stessa in caso di infortunio del lavoratore, e ciò in quanto essa si arricchirebbe in modo ingiustificato, traendo il premio assicurativo da un danno altrui, ipotesi invece meritevole di tutela in quanto in quel caso il danno assicurato sarebbe diverso dalla mera lesione psicofisica del lavoratore e consisterebbe nel pregiudizio che dalla mancata prestazione lavorativa deriva all’impresa in sostanza l’impresa copre un danno proprio, quella derivante dalla perdita momentanea della prestazione lavorativa, e non un danno altrui, e dunque ha rilevante interesse alla stipula.
Ciò detto, la-tesi della Corte di Appello è contraddetta dal tenore letterale della polizza – e si ricorda che l’interpretazione letterale, è un canone di primaria ermeneutica contrattuale nella quale è previsto che l’impresa stipula “per coprirsi nei imiti e alle condizioni convenute del danno economico che ad essa potesse derivare da infortunio, subito dalle persone assicurate”;
Da cui chiaramente risulta che l’assicurazione è nell’interesse della impresa, per danni derivanti da infortunio dei lavoratori, ipotesi, come si è detto, perfettamente rispondente ad un interesse della assicurazione, e niente affatto sospetta di nullità, come erroneamente ritenuto dai giudici di appello.
Ad ulteriore conferma di tale interpretazione sta l’altra clausola, contenuta nell’appendice e rubricata come “rinuncia del beneficio da parte dei soci”, con cui al punto- a) è previsto che la liquidazione del danno sarà effettuata a favore della contraente,- ossia l’impresa, ed al punto d) che, ribadito che la liquidazione debba avvenire a favore della impresa, è previsto che i soci acconsentono a ciò ai sensi della articolo 1891 c.c.
In sostanza, a fronte del tenore letterale di tali clausole, che chiaramente, indicano nell’impresa la beneficiaria dell’assicurazione, la Corte di Appello- non ha addotto per contro alcun altro criterio ermeneutico con – cui smentire il dato letterale ed in base a cui proporre una, diversa interpretazione.
L’unica ragione addotta dai giudici di merito, come si è detto, è di tipo logico, basata sull’argomento, a contrario, secondo cui se l’assicurazione fosse a beneficio dell’impresa sarebbe nulla per difetto di causa tipica, oppure ma allora la conseguenza non sarebbe la nullità- per ingiustificato arricchimento dell’impresa, che da infortunio del socio ricaverebbe un guadagno, ossia il premio assicurativo.
Si è detto che l’assicurazione, è volta, per come chiaramente risulta dal tenore letterale, a rimediare alle conseguenze di un danno proprio dell’impresa quello conseguente alla perdita della prestazione lavorativa con seguente all’infortunio del lavoratore, e dunque non si vede dove sia l’arricchimento, né tantomeno il difetto di causa di una tale stipulazione.
8. Il terzo e quarto motivo possono di conseguenza ritenersi assorbiti.
P.Q.M.
Accoglie primo e secondo motivo. Dichiara assorbiti terzo e quarto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese.
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