CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 marzo 2018, n. 5701
Contratto di agenzia – Risarcimento del danno – Illegittima assunzione di rischi – Stipula di polizza oltre i limiti consentiti
Svolgimento del processo
1) La Corte d’Appello di Genova ha confermato la sentenza del tribunale di Chiavari che aveva accolto la domanda di G.O., agente generale di A., diretta a far accertare il suo diritto al pagamento delle indennità di fine rapporto a seguito della cessazione del contratto di agenzia in ragione delle dimissioni rassegnate nel giugno 2004. Il tribunale aveva invece respinto la domanda riconvenzionale della mandante diretta ad ottenere la condanna dell’agente al risarcimento del danno causatole da un’illegittima assunzione di rischi in violazione nella stipula di una polizza oltre i limiti consentiti.
2) La corte territoriale ha ritenuto che in base agli elementi acquisiti nell’istruttoria espletata poteva ritenersi che la società A. si era resa conto dell’avvenuta stipula della polizza e che quindi consapevolmente aveva dato attuazione al contratto: ciò in quanto il cliente era società già conosciuta, la cui situazione era stata oggetto di approfondito esame onde valutare l’opportunità di rinnovare anticipatamente la polizza precedentemente stipulata, essendo quindi ben nota l’attività commerciale svolta dalla cliente.
3) Inoltre la Corte genovese ha rilevato che la società assicuratrice aveva accettato consapevolmente i premi corrisposti dall’assicurato, addossandosi così il rischio assicurato con la polizza, ciò anche qualora avesse ravvisato l’esistenza di ragioni per cui l’agente non avrebbe dovuto stipulare il contratto, perché la società aveva due strade: o contestare all’agente le supposte irregolarità e attivarsi affinché il contratto venisse risolto, oppure dare attuazione a detto contratto percependo i premi senza nulla contestare all’agente. Questa seconda strada, scelta dalla società, le aveva precluso la possibilità di rivalersi nei confronti dell’agente in caso di verificarsi dell’evento assicurato. Sono stare infine ritenute infondate e comunque non comprensibili le censure svolte dalla società con riferimento alla quantificazione dell’indennità di fine rapporto.
4) Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione ma Assitalia affidato ad un unico motivo, cui oppone difese con controricorso O.. Sono state depositate memorie ex art.378 c.p.c. da entrambe le parti.
Motivi della decisione
5) Con un unico articolato motivo di ricorso la società ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e l’omessa , insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.1 n.3 e n.5 c.p.c. Secondo la società avrebbe errato la Corte d’Appello nel ritenere non imputabile all’agente O. il danno lamentato dalla stessa pari all’ammontare del risarcimento pagato per il sinistro verificatosi presso la ditta assicurata, in ragione dell’errata classificazione del rischio operata dall’agente. In particolare secondo la ricorrente la corte, in base ad un ragionamento insufficiente e contraddittorio, avrebbe affermato che all’O. nulla poteva imputarsi avendo la mandante accettato la polizza da questi stipulata, mai contestandogli, a distanza di un anno e mezzo dalla stipula, di aver utilizzato la stessa categoria di rischio contenuta in altra e diversa polizza, che costituiva solo un rinnovo sempre con il medesimo cliente, ditta B., senza verificare la diversità del rischio assicurato.
Non avrebbe colto la Corte territoriale la differenza sostanziale che intercorreva tra le due polizze, sebbene ciò fosse stato più volte sottoposto alla sua attenzione nell’atto di appello, unitamente alla circostanza secondo cui in mancanza di apposita segnalazione nel sistema informatico, la mandante mai avrebbe potuto accorgersi degli errori prima indicati in ordine alla polizza, venendone a conoscenza solo al momento dell’eventuale sinistro. Pertanto non avrebbe potuto ritenere la corte territoriale che la mera disponibilità da parte di INA Assitalia della polizza , così come erroneamente stipulata dall’agente, potesse costituire ratifica del suo operato.
Avrebbe infine erroneamente riconosciuto la corte di merito la spettanza di alcuni importi provvisionali, ai fini della quantificazione dell’indennità di fine rapporto, ritenendo che non vi fossero state contestazioni da parte di A. alla CTU che le aveva invece considerate per la determinazione di detta indennità, nonostante che tali contestazioni fossero state formulate dalla società nelle note critiche alla perizia.
Di qui la insufficiente motivazione della sentenza impugnata.
6) Il motivo è inammissibile per più ordini di ragioni. Va in primo luogo rilevato che, nonostante la generica e alquanto imprecisa rubrica che indica ” violazione degli artt.115 e 116 c.p.c. – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, art. 360 c.1 nn 3 e 5″, la ricorrente di fatto prospetta un’unica censura di insufficiente motivazione e non la violazione di norme di diritto, questione che presuppone accertati gli elementi del fatto, in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma. La ricorrente invece lamenta solo un vizio motivazionale, rimettendo in discussione proprio gli elementi di fatto.
7) Ed infatti la doglianza attiene solo ad un censura dell’iter motivazionale seguito dalla corte territoriale, che non avrebbe compreso l’errore posto in essere dall’agente nell’attribuire la stessa classe di rischio ad una polizza diversa da quella già stipulata in precedenza con lo stesso cliente , nonostante le differenze di condizioni e di evento assicurabile.
8) Tuttavia nell’atto di ricorso nessuna precisa trascrizione viene fatta delle parti delle due polizze cui la ricorrente fa riferimento per denunciare l’errore che l’agente O. avrebbe commesso, rilevanti ai fini di una diretta verifica della sostenuta diversità delle stesse, né peraltro la ricorrente indica la precisa collocazione di tali atti nel fascicolo di parte ( in cui deposito non viene neanche menzionato in ricorso), come anche del proprio atto di appello, in cui deduce esservi una specifica contestazione in merito alla ritenuta assenza di verifica dei termini contrattuali una volta ricevuta la polizza dall’agente. La società ricorrente si limita ad una descrizione frammentaria, effettuata inserendo alcune frasi estrapolate dall’atto di appello, per rimarcare sia la diversità di tali polizze, sia anche l’impossibilità di desumere soltanto dalla disponibilità cartacea della stessa l’errore originario commesso dall’agente nell’attribuire unna classe di rischio errata. Non può quindi che rilevarsi una significativa violazione del principio di autosufficienza, così come più volte declinato da questa corte e dunque la violazione dell’art. 366 c.1 n.6 e oltre che dell’art. 369 c.1 n.4 c.p.c.
Nella fattispecie quest’ultimo onere non risulta assolto, né la ricorrente si è premurata di indicare in quale sede del procedimento di merito sono state prodotte le polizze di cui in premessa, sulla base delle quali è stata dedotta l’erronea interpretazione oggetto di censura (cfr tra le tante Cass. n. 22726/2011, Cass. n. 195/2016).
9) Del tutto priva di autosufficienza, richiamandosi genericamente la CTU espletata in primo grado e l’atto di appello dove vi sarebbero state le note critiche a tale elaborato, senza trascrizione del passi rilevanti di tali atti e senza indicazione alcuna sul loro deposito e sulla loro collocazione nel fascicolo di parte, deve poi ritenersi l’ulteriore scarna e per nulla argomentata censura, con cui la ricorrente denuncia un’insufficiente motivazione in ordine alla quantificazione dell’ammontare dell’indennità di fine rapporto, effettuata secondo la ricorrente, sulla base di una CTU errata.
10 )A fronte di tali lacune va osservato per contro che la corte territoriale ha motivato, in maniera esente da vizi di illogicità , sulla condotta della società considerandola non improntata a correttezza e buona fede, atteso che per oltre un anno e mezzo aveva incassato il premio della polizza erroneamente stipulata, liquidando il premio nonostante ritenesse errata la classificazione effettuata dal proprio agente, ma poi non rinunciando a pretendere da questi di essere risarcito per un danno che non aveva ritenuto di evitare in precedenza. La censura della società quindi si profila anche come un’inammissibile rivalutazione degli elementi di fatto operata dalla corte di merito, preclusa in questa sede.
11) Il ricorso va dichiarato, pertanto, inammissibile. Le spese del grado , liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 5000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
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