CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 marzo 2018, n. 5737
Tributi – Credito d’imposta per investimenti nelle aree svantaggiate ex art. 8, della Legge n. 388/2000 – “Presumibile credibilità” dell’avvio degli investimenti
Fatti di causa
La T. s.r.l., in persona del legale rappresentante, propose ricorso avverso l’avviso con il quale era stato accertato, per l’anno di imposta 2002, un minor credito spettante e un maggior utilizzo del credito di imposta richiesto per investimenti nelle aree svantaggiate ex art. 8 della legge 388/2000. In particolare, i recuperi erano stati effettuati in quanto:
– non era stato riconosciuto il credito per violazione dell’art. 10 del d.l. 138/2002, non essendo stato dimostrato l’avvio dell’investimento in data antecedente l’8 luglio 2002;
– i beni erano stati destinati a strutture produttive diverse da quelle che avevano effettuato gli acquisiti e richiesto l’agevolazione fiscale;
– i beni non potevano ritenersi nuovi;
– il credito di imposta era stato utilizzato in misura eccedente rispetto a quella richiesta.
La Commissione tributaria provinciale accolse parzialmente il ricorso, riconoscendo il credito di imposta per gli investimenti destinati ad unità produttive diverse e per quelli disconosciuti dall’Ufficio perché realizzati in data successiva all’8 luglio 2002.
La decisione, appellata da entrambe le parti, è stata integralmente confermata, con la sentenza oggi impugnata, dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia (d’ora in poi C.T.R.) sulla base delle seguenti argomentazioni:
– la documentazione prodotta consentiva di ritenere la presumibile credibilità di avvio degli investimenti entro la data dell’8 luglio 2002;
– l’utilizzo dei beni presso unità operative diverse da quelle per le quali erano state dichiarate, ma pur sempre site in aree svantaggiate, era una mera irregolarità formale la quale, pertanto, non poteva comportare la decadenza dall’agevolazione;
– la decisione del primo Giudice in punto di sanzioni era corretta in quanto la normativa fiscale al riguardo era obiettivamente incerta sulla sua portata e sull’ambito di applicazione;
rigettava, altresì, l’appello incidentale proposto dalla Società.
Avverso tale sentenza ricorre l’Agenzia delle entrate su quattro motivi.
La Società resiste con controricorso ulteriormente illustrato con memoria depositata ex art. 378 cod.proc.civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n.5 cod. proc. civ., la sentenza impugnata di omessa motivazione laddove la C.T.R. aveva ritenuto che “con presumibile credibilità” l’avvio degli investimenti, per cui è controversia, fosse avvenuto in data antecedente all’otto luglio 2002.
1.1. La censura, ammissibile siccome rispondente ai dettami di cui agli artt.360 e 366 cod.proc.civ., è fondata. La motivazione resa sul punto dal Giudice di appello appare carente nella misura in cui non dà contezza da quali elementi emergenti dai documenti in atti (che indica) abbia tratto il convincimento di “presumibile credibilità” dell’avvio degli investimenti e laddove, per altro verso, non da conto di tutta la serie di elementi fattuali di segno opposto forniti dall’ufficio ( ed integralmente riportati in ricorso in ossequio al principio di autosufficienza) e che, ove esaminati, avrebbero comportato una diversa soluzione della controversia.
2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n.3 c.p.c., la violazione dell’art. 8, comma 7, della legge n. 388/2000 laddove la C.T.R. aveva affermato che la destinazione dei beni a strutture produttive diverse da quelle per le quali era stato richiesto il credito di imposta, ma ubicate comunque in aree svantaggiate, non comportava la decadenza dal beneficio.
2.1. La censura è infondata. Secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenza n. 15193 del 22/07/2016 e, in termini, ordinanza n. 8085 del 29.3.2017; sentenza n. 20411 del 26/09/2014) la norma antielusiva di cui all’art. 8, comma 7, della legge n. 388 del 2000, secondo la quale il recupero del credito è possibile “se, entro il quinto periodo di imposta successivo a quello nel quale sono entrati in funzione, i beni sono dismessi, ceduti a terzi, destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero destinati a strutture produttive diverse da quelle che hanno diritto all’agevolazione”, non si applica in caso di trasferimento del bene in un luogo diverso da quello originariamente indicato dal contribuente, ma pur sempre nell’ambito della stessa struttura produttiva (intesa in senso economico funzionale), attesa la finalità perseguita di evitare l’immissione temporanea dei beni nell’impresa al solo fine di fruire dell’agevolazione >>.
3.Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n.4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto, con riferimento al rilievo n.10 (relativo all’investimento per la costruzione di un capannone industriale) la C.T.R. avrebbe pronunciato, ultrapetita, relativamente alla data dell’effettuazione dell’investimento (che invece non aveva formato oggetto di contestazione), mentre avrebbe omesso di pronunciare sull’effettivo motivo di appello con il quale l’Agenzia, riconoscendo la sussistenza dell’investimento e, quindi, del diritto al credito di imposta, ne aveva contestato (impugnando sul punto la sentenza della C.T.P.) il momento di utilizzo del relativo credito di imposta, nonché parte dello stesso ammontare, avendone la Società usufruito, tramite compensazione, allorquando il credito non era ancora maturato.
3.1. La censura è fondata. Appare chiaro dal tenore testuale della sentenza impugnata, nella quale con riferimento al rilievo oggetto di censura ma anche nell’esposizione dei motivi di appello si fa riferimento sempre e solo alla tempistica dell’avvio degli investimenti, che la Commissione tributaria pugliese non abbia pronunciato sullo specifico motivo di appello che riguardava invece il tempo e la modalità dell’utilizzo del credito di imposta riconosciuto per l’investimento relativo alla costruzione del capannone industriale.
4. Il quarto motivo – con il quale si deduce la violazione di legge commessa dalla C.T.R. laddove aveva ritenuto di disapplicare le sanzioni ritenendo che ricorressero gli estremi per l’applicazione dell’art. 10 della legge n. 212/2000- è fondato.
All’uopo è sufficiente richiamare, condividendola, la sentenza di questa Corte n. 13076 del 24/06/2015 la quale, nella specifica materia, ha statuito che <<in tema di responsabilità amministrativa tributaria, la condizione d’inevitabile “incertezza normativa tributaria” sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, che costituisce causa di esenzione, consiste in un’oggettiva impossibilità, accertabile esclusivamente dal giudice, d’individuare la norma giuridica in cui sussumere un caso di specie, mentre resta irrilevante l’incertezza soggettiva, derivante dall’ignoranza incolpevole del diritto o dall’erronea interpretazione della normativa o dei fatti di causa. (Principio enunciato con riferimento alla utilizzabilità del credito di imposta per aree svantaggiate, ai sensi dell’art. 8 della legge 13 dicembre 2000, n. 388).
5. Conclusivamente, in accoglimento di tutti i motivi di ricorso, eccetto il secondo, la sentenza impugnata va cassata e va disposto il rinvio alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, perché provveda al riesame, fornendo congrua motivazione, ed al regolamento delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
In accoglimento di tutti i motivi del ricorso, eccetto il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere, anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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