CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 marzo 2018, n. 5741
Tributi – IRAP – Professionisti – Dottore commercialista – Istanza di rimborso
Fatti di causa
A seguito di rigetto della istanza di rimborso delle somme versate a titolo di Irap per gli anni 1998-2001, I. C., esercente la professione di dottore commercialista, proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria provinciale, deducendo la inesistenza del presupposto impositivo di cui agli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 446/97.
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, ritenendo non sussistenti i presupposti posti a base della pretesa tributaria.
La Agenzia delle Entrate proponeva appello, deducendo che l’attività svolta dal contribuente era autonoma e continuata e, pertanto, soggetta ad Irap; con memorie depositate ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. n. 546/92 l’Ufficio rilevava la inammissibilità della istanza di rimborso per intervenuto condono ai sensi dell’art. 7, comma 13, legge n. 289/2002.
La C.T.R. respingeva l’appello motivando che il profilo organizzativo dell’attività professionale non costituiva requisito qualificante dell’attività di un libero professionista iscritto in un albo professionale, poiché la attività non poteva svolgersi senza la presenza personale del professionista e la struttura organizzativa da sola non poteva supplire alla sua assenza.
La Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a quattro motivi.
Il contribuente resiste con controricorso.
La Agenzia delle Entrate e I. C. hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso la Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge 27/12/2002 n. 289, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che si potesse far luogo al rimborso di quanto pagato a titolo di Irap nonostante fosse stata presentata istanza di definizione automatica della lite, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 289/02.
2. Con il secondo motivo la Agenzia delle Entrate ha censurato la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod proc. civ., nella parte in cui non è stata esaminata la eccezione di inammissibilità della istanza di rimborso, formulata dall’Ufficio nel giudizio di appello, a seguito di adesione del contribuente alla definizione automatica della lite, con riguardo agli anni di imposta 1998- 1999-2000-2001.
3. I motivi sopra indicati, che possono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, sono fondati.
3.1. L’art. 7, comma 13, della legge n. 289/02, al pari dell’art. 9, comma 9, della stessa legge, stabilisce che la definizione automatica dei redditi per gli anni pregressi <<rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione>>.
La avvenuta definizione ex art. 7 legge 289/02, infatti, importa una implicita rinuncia alla domanda di rimborso.
In tal senso si è pronunciata questa Corte, con specifico riferimento all’art. 7 della legge n. 289 del 2002, stabilendo che la presentazione della istanza di condono preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d’imposta definite in via agevolata, anche nell’ipotesi di asserito difetto del presupposto impositivo, giacché il condono determina la formazione di un titolo giuridico nuovo e costituisce una modalità di definizione “conciliativa” della controversia, da cui consegue il componimento delle opposte pretese e quindi l’azzeramento, a fronte di eventuali ulteriori pretese del Fisco, della richiesta del contribuente di rimborso (Cass. n. 4566 del 6/3/2015).
Ciò in quanto, in tema di condono fiscale, la dichiarazione di volersi avvalere di una determinata definizione agevolata non ha natura di mera dichiarazione di scienza o di giudizio, come tale modificabile, ma integra un atto volontario, frutto di scelta ed autodeterminazione da parte del contribuente, i cui effetti sono previsti dalla legge, sicché, una volta presentata, è irrevocabile e non può essere modificata dall’ufficio, né contestata dal contribuente per un ripensamento successivo, ma solo per errore materiale manifesto e riconoscibile (Cass. n. 15295 del 21/07/2015).
Va, quindi, ribadito, in termini generali che “in tema di condono fiscale, indipendentemente dalla diversità delle regole giuridiche dettate da ciascuna legge in ordine alle modalità di accesso alle condizioni ed agli effetti dei benefici premiali, trova applicazione un principio comune, in virtù del quale, in riferimento agli anni di imposta oggetto di definizione agevolata, non è in nessun caso consentita, relativamente ai medesimi anni, la restituzione delle somme versate dal contribuente: l’intervenuta formazione di un nuovo titolo giuridico, a partire da un quadro normativo generale ed astratto, ma con l’adesione volontaria del contribuente ed il controllo del possesso dei requisiti da parte dell’Amministrazione, costituisce infatti un mezzo idoneo a definire le opposte pretese, azzerando la richiesta di rimborso del contribuente così come le ulteriori pretese del Fisco, proprio in conseguenza del fatto che il primo in parte versa, od in parte si obbliga a corrispondere, quelle somme di denaro che il secondo esige in base a parametri legislativi predeterminati, applicati in concreto agli accertamenti precedentemente eseguiti dal Fisco e ritenuti convenienti dal contribuente in base ad un suo insindacabile apprezzamento” (Cass. 25/9/2006 n. 20741).
La C.T.R., pur essendo stato eccepito dall’Agenzia delle Entrate nelle memorie illustrative depositate in data 24/6/09 (depositate unitamente al ricorso per cassazione) che il contribuente, nelle more del giudizio di primo grado, si era avvalso della definizione automatica degli imponibili ai sensi dell’art. 7 della legge n. 289/02 per tutte le annualità oggetto di lite, con la conseguenza che la definizione riguardava anche l’Irap, ha omesso di pronunciarsi su tale eccezione, ed ha respinto nel merito l’appello ritenendo insussistente il presupposto impositivo, non facendo in tal modo corretto uso dei principi espressi da questa Corte.
4. Nel controricorso I. C. ha eccepito la inammissibilità del primo motivo di gravame, sostenendo che la eccezione di inammissibilità della istanza di rimborso era stata proposta per la prima volta in appello oltre i termini di rito e previo deposito della relativa documentazione, con la conseguenza che, trattandosi di eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio, era precluso il suo esame.
4.1. La eccezione è infondata.
4.2. In tema di processo tributario, l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere a seguito di sanatoria fiscale, ai sensi dell’art. 15 della legge n. 289 del 2002, intervenuta nelle more del giudizio di primo grado, può essere fatta valere per la prima volta anche in grado di appello, dovendosi ritenere che la deduzione degli effetti del condono, per il rilievo pubblicistico dell’originario rapporto sostanziale e processuale col fisco, integri una eccezione in senso improprio, non soggetta alle preclusioni di cui all’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 e rilevabile d’ufficio dal giudice, ove risulti dagli atti di causa anche a seguito di nuova produzione ex art. 58 del d.lgs. n. 546 cit. (Cass. Sez. U., n. 1518 del 27/01/2016).
4.3. Con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ. il contribuente, nel ribadire la inammissibilità della eccezione fatta valere dall’Ufficio, ha pure sostenuto di non avere usufruito del condono per le annualità Irap 1997/2001 e che la produzione documentale allegata dalla Amministrazione nel giudizio di appello, costituita da un estratto delle risultanze dell’interrogazione dell’Anagrafe Tributaria, non soddisfa l’onere probatorio richiesto dalla legge, poiché non risulta dimostrata la adesione del contribuente al condono fiscale e manca la comunicazione con la quale l’Ufficio finanziario attesta la regolarità della domanda di definizione ed il pagamento integrale di quanto dovuto.
4.4. Le deduzioni difensive esposte dal contribuente con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ. sono tardive e, come tali, inammissibili.
Nel giudizio di legittimità non è consentito, con le memorie di cui all’art. 378 c.p.c. e con quelle omologhe di cui all’art. 380-bis c.p.c., specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni e dedurre nuove eccezioni o sollevare questioni nuove, violandosi, altrimenti, il diritto di difesa della controparte, (Cass. n. 3471 del 22/02/2016), avendo tali memorie solo la funzione di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi e delle argomentazioni difensive già fatte valere.
5. Con il terzo motivo di ricorso è stata dedotta la omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., per non avere ¡1 Giudice di appello spiegato se l’adesione al condono di cui all’art. 7 della legge n. 289/02 potesse pregiudicare la richiesta di rimborso Irap, che il contribuente riteneva indebitamente versata per i medesimi anni di imposta, in presenza di formulazione di uno specifico motivo di appello da parte dell’Ufficio.
6. Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 2697 cod. civ., in combinato disposto degli artt. 3, comma 144, della legge 23.12.1996 n. 662, nonché degli artt. 2, 3, 8, 27, 36 del d.lgs. n. 446 del 15/12/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata riconosce il diritto del contribuente al rimborso Irap senza verificare se ricorrono i presupposti e se il ricorrente abbia provato in giudizio, come era suo onere, la spettanza del rimborso.
7. L’accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso comporta, sul piano logico e giuridico, l’assorbimento degli altri motivi.
8. In conclusione, vanno accolti il primo ed il secondo motivo di ricorso e, assorbiti il terzo ed il quarto motivo, la sentenza va cassata in relazione alla censura accolta.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto del ricorso introduttivo.
Avuto riguardo allo svolgimento del processo, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di merito.
Il controricorrente va invece condannato, secondo il criterio della soccombenza, al pagamento, in favore dell’Amministrazione ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbiti il terzo ed il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.
Compensa le spese di lite relativamente al giudizio di merito e condanna I. C. al pagamento in favore della Agenzia delle Entrate delle spese di lite del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 1.800,00, oltre spese prenotate a debito.
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