CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 marzo 2020, n. 6649
Trasferimento d’azienda – Diritti del prestatore di lavoro – Decadenza ex art. 32 L. n. 183/2010 – Cessione del contratto di lavoro ex art. 2112 c.c., avvenuta prima dell’entrata in vigore della norma – Configurabilità – Esclusione – Fondamento
Fatti di causa
1. Nella impugnata sentenza della Corte di appello di Trieste (n. 162 pubblicata il 10.10.2017), per quello che interessa in questa sede, si legge che il Tribunale della stessa città, con pronuncia del 20.11.2014, in accoglimento dei ricorsi presentati da G.M. e S.T., lavoratori della I. spa e ceduti, con decorrenza gennaio 2009, alla I. M., aveva dichiarato illegittima la cessione dei contratti di lavoro, osservando che mancava in concreto un ramo di azienda preesistente al trasferimento e funzionalmente ed economicamente autonomo, in quanto non poteva essere considerato “ramo di azienda” ai sensi dell’art. 2112 cc una entità appositamente e formalmente individuata dalle parti al momento del trasferimento.
2. Il primo giudice aveva ritenuto, altresì, inapplicabile al caso in esame la decadenza introdotta dall’art. 32 co. 4 lett. c) della legge n. 183 del 2010; aveva considerato esclusa l’acquiescenza o il mutuo consenso al trasferimento; aveva respinto l’eccezione preliminare di difetto di interesse ad agire e aveva reputato irrilevante la mancata impugnazione dei pregressi accordi collettivi che avevano preceduto l’operazione di scorporo del ramo di azienda.
3. La Corte di appello di Trieste, con la citata sentenza, ha confermato la pronuncia di prime cure respingendo sostanzialmente le censure, sollevate dalla società, in ordine ai singoli passaggi motivazionali ed argomentativi della pronuncia gravata.
4. Avverso la decisione di seconde cure ha proposto ricorso per cassazione la I. spa affidato a quattro motivi, illustrati con memoria.
5. G.M. e S.T. non hanno svolto attività difensiva.
6. Nelle more del presente giudizio è stato depositato verbale di conciliazione in sede sindacale intervenuto in data 8.11.2018 tra T.S. e la I. spa.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (accettazione espressa, da parte dei resistenti, della cessione del proprio contratto di lavoro da I. spa a I. M.), ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc. Si sostiene che la Corte territoriale non aveva considerato che i lavoratori avevano accettato espressamente la cessione del loro contratto di lavoro presso I. M. avendo firmato per accettazione (e non solo per ricevuta) la lettera del 29 dicembre 2008 con cui I. spa aveva comunicato loro la cessione del contratto di lavoro a I. M.: ciò aveva determinato, pertanto, una regolare cessione dei contratti di lavoro ex art. 1406 cod. civ.
3. Con il secondo motivo, articolato su tre profili, si denunzia ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 100 cpc, 1406 cod. civ., 1175 cod. civ., 1375 cod. civ. e 1372 cod. civ., in relazione: a) al consenso tacito dei resistenti alla cessione ad I. M. dei loro contratti di lavoro ex art. 1406 cc; b) alla rinuncia tacita dei resistenti all’impugnazione del trasferimento ex art. 2112 cod. civ. c) alla risoluzione per mutuo consenso del rapporto di lavoro tra i resistenti ed I. spa. La ricorrente deduce che i giudici di seconde cure non avevano valutato, ai fini sopra indicati, che i lavoratori avevano promosso la loro causa nel dicembre 2013, ovverosia 5 anni dopo il trasferimento (avvenuto il 1° gennaio 2009) senza mai rivendicare alcunché durante questo periodo in cui avevano serenamente lavorato alle dipendenze di I. M. e, pertanto, con riguardo a ciascuna delle fattispecie di cui sopra, derivava l’inammissibilità della domanda per carenza di interesse ad agire ex art. 100 cpc.
4. Con il terzo motivo la I. spa censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010, in relazione alla decadenza, da parte dei resistenti, dall’impugnazione del trasferimento del ramo di azienda da I. spa a I. M., ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte di appello di Trieste erroneamente ritenuto che i nuovi termini di decadenza, di cui al citato articolo, non si applicassero ai contratti cessati prima dell’entrata in vigore della nuova norma, non essendo questa dotata di efficacia retroattiva.
5. Con il quarto motivo la ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ., in relazione all’esistenza, in capo al ramo di azienda oggetto del trasferimento, di tutti i requisiti di cui all’art. 2112 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale che, nella fattispecie in esame, non fosse ravvisabile: a) un ramo preesistente alla cessione; b) dotato di autonomia funzionale; c) il cui scorporo era stato oggetto di accordo tra le parti sociali stipulato all’esito della procedura, di talché non era più possibile agire in giudizio per ottenere una diversa individuazione dei confini del ramo di azienda oggetto di trasferimento.
6. Preliminarmente deve essere dichiarato estinto il giudizio relativamente al rapporto processuale intercorrente tra I. spa e T.S., nulla disponendo in ordine alle spese in assenza di costituzione dell’intimato.
7. Dal verbale di conciliazione in sede sindacale, stipulato l’8.11.2018, infatti, si rileva (punto 3.1) che la società -esclusivamente nei confronti del dipendente- rinunciava all’impugnazione della sentenza di secondo grado sul “Trasferimento” nonché agli atti, all’azione e a tutte le domande contenute nel ricorso per cassazione sul “Trasferimento”; il dipendente S., a sua volta, accettava le rinunce della società.
8. Il primo motivo è inammissibile per due profili.
9. In primo luogo perché, vertendosi in ipotesi di cd. “doppia conforme”, non è consentito denunziare vizi ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc su questioni di fatto, ai sensi dell’art. 348 ter u.c. cpc, riguardando la censura, nella specie, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio rappresentato dalla avvenuta cessione, da parte dei lavoratori, del proprio contratto di lavoro da I. spa a I. M. spa.
10. In secondo luogo, la doglianza – come formulata – è priva di specificità non essendo stato riportato il testo integrale del documento in virtù del quale la ricorrente assume avvenuta la consenziente cessione del contratto ex art. 1406 cc, impedendo, così, a questa Corte una corretta verifica di legittimità in assenza della precisa indicazione di elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della dedotta violazione.
11. Il secondo motivo è inammissibile in relazione a tutti gli aspetti indicati (sul consenso tacito dei lavoratori alla cessione dei loro contratti di lavoro; sulla rinuncia tacita all’impugnazione del trasferimento ex art. 2112 cc; sulla risoluzione per mutuo consenso del rapporto di lavoro tra i resistenti e la I. spa).
12. Le tre ipotesi citate sono state escluse dalla Corte territoriale con adeguata e congrua motivazione, sottolineando, da un lato, che il tempo trascorso per fare valere i propri diritti non era un elemento idoneo, da solo, a dimostrare il completo disinteresse per tali diritti e, quindi, a rinunciare all’accertamento dell’attuale persistenza dell’originario rapporto di lavoro con la società o concordare con quest’ultima il suo scioglimento e, dall’altro, che, una volta ricevuta la lettera del dicembre del 2008, che comunicava loro la prosecuzione ex lege del rapporto di lavoro con I. M. a partire dall’1.1.2009, i lavoratori non potevano che eseguire la prestazione dovuta a favore del nuovo formale datore di lavoro, a scanso del rischio di perdere il posto e le retribuzioni.
13. Al riguardo, infatti, si intende dare continuità al consolidato orientamento affermatosi in tema di contratto a tempo determinato (cfr. Cass. 12.12.2017 n. 29781; Cass. 30.5.2018 n. 13660) secondo il quale l’accertamento di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito, sindacabile nei limiti consentiti dall’art. 360 co. 1 n. 5 cpc tempo per tempo vigente.
14. Le censure come formulate, quindi, non riguardano le asserite violazioni di legge ma si sostanziano in una rivisitazione della ricostruzione in fatto della vicenda, non consentita in sede di legittimità anche perché, come sopra specificato, si verte in ipotesi di cd. “doppia conforme” che preclude l’esame del vizio ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc.
15. Il terzo motivo è infondato.
16. Giova evidenziare che l’art. 32 co. 4 della legge n. 183 del 2010 prevede che: «Le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche: a) ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine; b) ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e già conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge; c) alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile con termine decorrente dalla data di trasferimento; d) in ogni altro caso in cui, compresa l’ipotesi prevista dall’art. 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276, si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto».
17. Il problema che si pone è quello di accertare se il regime della decadenza di cui alla citata disposizione si applichi anche alle cessioni di contratti di lavoro, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., avvenute prima della entrata in vigore della legge n. 183 del 2010.
18. La Corte di merito ha escluso tale applicabilità sul presupposto che la disposizione di cui all’art. 32 co. 4 legge citata, per i contratti già scaduti al momento della sua entrata in vigore, fa riferimento solo a quelli “a termine” e non anche alle altre fattispecie.
19. La conclusione dei giudici di merito va confermata sia pure con le integrazioni motivazionali che seguono.
20. A tal uopo è opportuno premettere che la ratio dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010 è stata quella di estendere ad una serie di ipotesi ulteriori la previsione dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966 (previamente modificato) sull’impugnativa stragiudiziale, originariamente limitata al licenziamento (Cass. n. 13648 del 2019).
21. La finalità è quella di contrastare pratiche di rallentamento dei tempi del contenzioso giudiziario che finirebbero per provocare una moltiplicazione degli effetti economici in caso di eventuale sentenza favorevole e di stabilizzare le posizioni giuridiche delle parti in situazioni in cui si ha l’esigenza di conoscere, con precisione ed entro termini ragionevoli, se e quanti lavoratori possono far parte dell’organico aziendale.
22. Tuttavia, trattandosi di una limitazione temporale per l’esercizio dell’azione giudiziaria di non poco conto, tanto da dovere ritenere che la norma oggetto di esame abbia carattere di eccezionalità, si impone una interpretazione particolarmente rigorosa, soprattutto con riguardo alla fattispecie di chiusura prevista dall’art. 32 co. 4 lett. d) legge citata (Cass. n. 13179 del 2017).
23. Tale rigorosità deve confrontarsi necessariamente con i limiti previsti dalla nostra Costituzione (artt. 2, 111 e 117), dal diritto eurounitario (art. 47 della Carta di Nizza, in considerazione della natura della controversia che riguarda il tema della successione in un ramo di azienda) e dal diritto convenzionale (artt. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), nel senso che occorre pur sempre tenere conto dei possibili profili di illegittimità con riguardo ad un ambito applicativo di tipo estensivo o analogico della norma in questione.
24. Sempre sotto il profilo esegetico della legge, va ribadito che l’interpretazione letterale è il primo criterio interpretativo e, solo quando questo non sia chiaro ed univoco, il significato e la connessa portata precettiva possono essere integrati con l’esame complessivo del testo e della “mens legis” (Cass. n. 5128 del 2001; Cass. n. 12081 del 2003; Cass. n. 24165 del 2018).
25. Orbene, il dato da cui partire è rappresentato dal fatto che questa Corte più volte ha già esaminato, sia pure in materie diverse, il problema attinente alla determinazione dell’incidenza di una legge sopravvenuta che introduce ex novo un termine di decadenza in una situazione ancora pendente (Cass. n. 15352 del 2015; e Cass. n. 29754 del 2019), come nel caso di specie.
26. Premesso che la previsione di un termine di decadenza da parte del legislatore certamente non può avere effetto retroattivo e, cioè, non può fare considerare maturato, in tutto o in parte, un termine facendolo decorrere prima dell’entrata in vigore della legge che l’abbia istituito, si è affermato, conformemente ai principi generali dell’ordinamento in materia di termini, che ove una modifica normativa introduca un termine di decadenza prima non previsto, la nuova disciplina si applichi anche alle situazioni soggettive in essere, ma la decorrenza del termine viene fissata con riferimento alla entrata in vigore della modifica legislativa.
27. Ciò in un’ottica di bilanciamento di due contrapposte esigenze, ovverosia, da un lato, quella di garantire l’efficacia del fine sollecitatorio perseguito dal legislatore con l’introduzione del termine decadenziale e, dall’altro, quella di tutelare l’interesse del privato, onerato della decadenza, a non vedersi addebitare un comportamento inerte allo stesso non imputabile (Cass. n. 13355 del 2014).
28. La stessa Corte Costituzionale ha affermato che l’intervento normativo successivo può incidere non solo su situazione di mero affidamento, ma anche su diritti soggettivi (Corte Cost. 18.10.2010 n. 302; Corte Cost. 16.7.2009 n. 236).
29. Si è anche precisato che la realizzazione di tale bilanciamento viene individuata con riferimento alla soluzione adottata dal legislatore con l’art. 252 disp. att. cod. civ., disposizione alla quale deve attribuirsi il valore di regola generale così come affermato già dalla Corte Costituzionale con la sentenza 3.2.1994 n. 20 e ribadito da numerose sentenze della Corte di Cassazione (Cass. n. 6173 del 2008; Cass. n. 5811 del 2010; Cass. n. 6705 del 2010; Cass. n. 25746 del 2009).
30. Tuttavia l’applicazione di detti principi, secondo la giurisprudenza sopra richiamata, richiede due condizioni: a) la prima, è rappresentata dal fatto che in precedenza non era prevista, per la fattispecie in esame, alcun termine di decadenza; b) la seconda, è costituita dal fatto che non sia disciplinata la fase transitoria tra i due regimi normativi.
31. La questione si sposta, pertanto, nell’accertare se possa considerarsi presente, nella disposizione in commento, un passaggio letterale o logico-sistematico che possa chiarire se vi sia stata una voluntas legis circa la individuazione della decorrenza dell’ambito operativo della norma, tale da manifestarsi appunto quale espressione di diritto intertemporale.
32. Ritiene il Collegio che la verifica debba essere condotta nell’ambito dell’intero comma 4 dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010.
33. Si è fatto sopra riferimento alla decisività dell’interpretazione letterale e, proprio avendo riguardo ad essa, deve porsi l’attenzione sulla locuzione “con termine decorrente dalla data del trasferimento”.
34. Dalla lettura del testo si evince che il legislatore non si è limitato a specificare solo la tipologia della fattispecie contrattuale ora sottoposta a decadenza, ma individuando esattamente il termine da cui fare decorrere la stessa, ha di fatto limitato il campo di applicazione temporale della norma unicamente alle cessioni di contratti di lavoro in cui la data del trasferimento, ex art. 2112 cod. civ., sia successiva alla data di entrata in vigore della legge n. 183 del 2010.
35. Invero, esclusa come detto in precedenza la natura retroattiva della legge che introduce un termine di decadenza prima non previsto e statuito, in modo specifico, un momento particolare per la individuazione della decorrenza da cui computare la decadenza, si deve argomentare che i rapporti non ancora esauriti non possono essere regolati dal principio di cui all’art. 252 disp att. cod. civ., proprio perché la detta precisazione -nella articolazione della norma- si pone non solo come caratterizzante, in modo statico, la struttura della fattispecie, dando certezza alle singole scansioni temporali riguardanti la fase impugnatoria, ma si manifesta anche, dinamicamente, come disposizione diretta a limitare l’ambito applicativo di operatività della disposizione.
36. La specifica indicazione del momento della “data del trasferimento” deve essere inteso, pertanto, come il dies a quo del termine di decadenza, e non come fatto generatore della decadenza medesima (che è invece il tempo) e, quindi, riveste una bivalenza esegetica che lo contraddistingue sia come elemento cronologico (da cui appunto far decorrere il termine) che quale espressione di diritto intertemporale diretta a disciplinare l’applicabilità del nuovo regime rispetto ad ipotesi in precedenza non soggette a decadenza.
37. Significativo, infatti, sotto quest’ultimo aspetto, è il riferimento che il legislatore ha fatto al concetto di “trasferimento”, e non a quello, per esempio, di comunicazione preventiva del provvedimento della cessione ai lavoratori ovvero omettendo addirittura alcuna specificazione, proprio per sottolineare la circostanza che è il momento traslativo ad assumere decisività ai fini della decorrenza del termine decadenziale e, quindi, come logica conseguenza, la necessità che il suo avveramento, come fatto storico, avvenga sotto la vigenza della nuova legge.
38. Tale conclusione, come correttamente precisato dalla Corte territoriale, trova poi conforto, sotto il profilo logico-sistematico, nell’assenza, nel comma 4 dell’art. 32 citato, di una analoga disposizione a quella prevista per i contratti a termine, ove invece è stata disciplinata chiaramente l’ipotesi anche per quelli già scaduti.
39. Alla stregua di quanto esposto, ritiene il Collegio che alle cessioni di contratti di lavoro, ai sensi dell’art. 2112 cc, il cui trasferimento sia avvenuto prima della entrata in vigore della legge n. 183 del 2010, non si applichi il termine di decadenza di cui all’art. 32 co. 4 lett. c) della legge citata.
40. Il quarto motivo, infine, è anche esso infondato.
41. Invero la Corte territoriale ha ritenuto che, nel caso in esame, non fosse stata effettuata una regolare cessione del ramo di azienda, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., perché dalla istruttoria espletata non era emerso che, prima dello scorporo di I. M., esisteva in I. un ramo di azienda inteso come un autonomo e stabile gruppo di lavoratori funzionalmente organizzato in modo unitario, dotato – nel suo complesso – di tutte le competenze ed esperienze tecniche e professionali necessarie e sufficienti a svolgere, mediante l’utilizzo di propri (e idonei) beni strumentali (materiale e immateriali, mobili e immobili), l’attività di consulenza informatica, sviluppo di software, manutenzione e assistenza dei clienti, rivolta in modo specifico e prevalente (se non esclusivo) a soggetti privati o Enti pubblici diversi dalla Regione Friuli ed Enti con questa convenzionati.
42. Sotto il profilo giuridico, il concetto delineato dalla Corte di merito è conforme alla giurisprudenza comunitaria (ex plurimis Corte di Giustizia, sentenza 24 gennaio 2002, C – 51/00; sentenza 28 settembre 2015, C – 4587/12 e più recente 11 luglio 2018, C – 60/17) nonché a quella di legittimità (Cass. 26 luglio 2016 n. 15438; Cass. 28 aprile 2014 n. 9361), secondo cui il trasferimento deve riguardare «una entità economica che conserva la propria identità intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere una attività economica, sia essa essenziale o accessoria».
43. La statuizione dei giudici di seconde cure è, poi, condivisibile anche in ordine all’ulteriore requisito della “preesistenza” che, pur dopo l’emendamento apportato all’art. 32 del D.lgs. n. 276/2003 al disposto dell’art. 2112 cc, la giurisprudenza di legittimità ha continuato, condivisibilmente, a ritenere indispensabile per la configurabilità del ramo aziendale unitamente al requisito dell’autonomia funzionale (cfr. ex aliis Cass. 24 gennaio 2018 n. 1769; Cass n. 15438/2016).
44. Infine, anche l’assunto -secondo il quale la mancata impugnazione dell’accordo ex art. 47 legge n. 428 del 1990 (giova precisare che non si verte nell’ipotesi di azienda in crisi regolata dai commi 4 bis e 5) non è pregiudiziale all’azione diretta alla declaratoria della illegittimità della cessione dei rapporti di lavoro avvenuti ex art. 2112 cc, con richiesta di ripristino presso l’originario datore di lavoro – è condivisibile in quanto, sebbene a tali accordi non si applichino i principi dettati dagli artt. 4 e ss. della legge n. 223 del 1991 (cfr. Cass n. 1383 del 2018), tuttavia non è previsto dalla legge che la loro previa impugnazione sia condizione di procedibilità e proponibilità della domanda e, anzi, essi presuppongono un valido trasferimento ex art. 2112 cc, incidendo sul quomodo dello stesso di cui non attestano, però, la legittimità, restando, quindi, salva la possibilità di autonoma impugnazione in difetto dei presupposti di legge.
45. In punto di diritto, pertanto, le argomentazioni gravate sono corrette e giuridicamente esatte.
46. In punto di fatto, deve precisarsi che, nonostante la prospettazione delle censure come violazioni di legge, esse si risolvono, essenzialmente, in una sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda e in una contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte territoriale, sostanziante il suo accertamento in fatto, di esclusiva spettanza del giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011 n. 27197; Cass. 18 marzo 2011 n. 6288; Cass. 19 marzo 2009 n. 6694).
47. Né è ipotizzabile, nel caso de quo, un vizio di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta prevista dalla legge atteso che il procedimento valutativo di tale censura richiede, come presupposto, fatti incontroversi non ravvisabili nell’odierno giudizio – relativamente a quanto evidenziato nella gravata pronuncia e quanto sostenuto dalla ricorrente – con riguardo alla esistenza, per esempio, del Contact Center (al quale non apparteneva nessuno del lavoratori parti in causa) che passò in blocco a I. M., salvo, poi, continuare ad operare esclusivamente per I..
48. Non si verte, pertanto, in una asserita errata interpretazione della norma di legge ovvero in una eventuale falsa applicazione sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, inerendo, invece, la doglianza alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 24905 del 2019), non denunciato né ravvisabile nel caso di specie.
49. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve, pertanto, essere rigettato nei confronti di G.M..
50. Nulla va disposto in ordine alle spese di lite non essendo stata svolta dalla predetta intimata alcuna attività difensiva.
51. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara estinto il processo nei confronti di S.T.. Rigetta nel resto il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.