CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 novembre 2018, n. 28769
Rapporto di lavoro – Superminimo individuale non assorbibile – Disciplina collettiva del superminimo individuale non assorbibile – Sussistenza
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 1233/2013, depositata il 25 maggio 2013, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima sede, pronunciando sulla domanda proposta da F.D.G. nei confronti di P. S.p.A., aveva ritenuto non assorbibili gli importi erogati dalla società fino al giugno 2003 a titolo di superminimo individuale non assorbibile e di premio di produzione nonché l’inadempimento della stessa agli obblighi derivanti dal verbale di conciliazione sindacale del 27 ottobre 2003, con le conseguenti pronunce di condanna.
2. La Corte riteneva di dover condividere il principio, richiamato dal giudice di primo grado, secondo cui, se è vero che il superminimo individuale è di norma soggetto ad assorbimento nei miglioramenti retributivi previsti dalla contrattazione collettiva, tale regola non trova applicazione ove le parti abbiano pattuito, con accordo individuale, la non assorbibilità di tale elemento aggiuntivo della retribuzione.
3. La Corte escludeva poi che potesse trovare ingresso, in quanto prodotta tardivamente in grado di appello, la documentazione (verbale di accordo sindacale in data 20/12/2001) diretta a dimostrare l’esistenza di una disciplina collettiva del superminimo individuale non assorbibile.
4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società con tre motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso.
5. Risulta depositata comparsa di costituzione di nuovo difensore del controricorrente, in persona dell’avv. C.G..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 421 e 437 cod. proc. civ., la società lamenta che la Corte, ritenuta tardiva la produzione in grado di appello del verbale di accordo sindacale in data 20 dicembre 2001, abbia omesso di fare ricorso ai propri poteri istruttori d’ufficio, al fine di consentire l’acquisizione al giudizio di un documento indispensabile in quanto volto a dimostrare che il superminimo individuale non assorbibile trovava la sua regolamentazione (non nel contratto fra le parti ma) in una disciplina di fonte collettiva.
2. Il motivo è infondato.
3. Al riguardo si deve anzitutto osservare che la Corte di merito, considerando tardiva la produzione del verbale di accordo sindacale, si è uniformata al consolidato orientamento, per il quale “nel rito del lavoro, l’omessa indicazione nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, ovvero nella comparsa di risposta, dei documenti, anche attinenti ad eccezioni rilevabili d’ufficio, nonché il loro mancato deposito insieme a detti atti, anche se in questi espressamente indicati, producono la decadenza dal diritto di produrli nel corso del giudizio, salvo che si tratti di documenti formati successivamente alla sua instaurazione o che la relativa produzione sia giustificata dallo sviluppo del giudizio. Pertanto, la decadenza da siffatto diritto, anche se non dichiarata dal giudice di primo grado, fa escludere che possano essere prodotti in appello nuovi documenti, in quanto essi non si sottraggono al divieto di “nuovi mezzi di prova” stabilito dall’art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., e, conseguentemente, anche in virtù della ratio sottesa all’art. 420, quinto e settimo comma, cod. proc. civ., la produzione di nuovi documenti nel giudizio di secondo grado è ammissibile esclusivamente qualora sia giustificata dal tempo della loro formazione, ovvero dallo sviluppo del giudizio, e sia ritenuta dal giudice indispensabile per la decisione” (Cass. n. 775/2003 e numerose conformi).
4. Né potrebbe nella specie trovare applicazione il principio, secondo il quale “nel rito del lavoro, stante l’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, il giudice, anche in grado di appello, ex art. 437 cod. proc. civ., ove reputi insufficienti le prove già acquisite e le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, può in via eccezionale ammettere, anche d’ufficio, le prove indispensabili per la dimostrazione o la negazione di fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati o contestati e sussistano altri mezzi istruttori, ritualmente dedotti e già acquisiti, meritevoli di approfondimento” (Cass. n. 7694/2018; conforme Cass. n. 6753/2012); posto che non risulta precisato in ricorso (da cui semmai è dato desumere il contrario, là dove si rileva come il giudice di primo grado non conoscesse, né potesse conoscere, il verbale sindacale del 20 dicembre 2001: cfr. p. 13) se la società ebbe a prendere posizione, con la memoria di costituzione in giudizio, circa la natura della fonte regolatrice del superminimo non assorbibile e, in particolare, se ebbe a contestare che tale fonte risiedesse nel contratto individuale (e non in un accordo collettivo).
5. Con il secondo motivo, deducendo il vizio di cui all’art. 360 n. 5, la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia omesso di esaminare, nonostante la loro decisività, il fatto che con l’accordo sindacale del 15 maggio 2003 “era stata rideterminata la struttura della retribuzione, con la previsione di un generale collettivo miglioramento delle condizioni economiche dei dipendenti” nonché il fatto che tale accordo era stato raggiunto in esito ad una “complessa trattativa sindacale”.
6. Il motivo è inammissibile.
7. Non risulta, infatti, e in primo luogo, dimostrato che la complessità della trattativa potesse rivestire carattere decisivo, trattandosi di dato sostanzialmente neutrale per la ricostruzione della vicenda negoziale e del contenuto dell’accordo intervenuto nel maggio 2003 tra la società e le organizzazioni sindacali; mentre entrambe le circostanze, che si reputano omesse, sono state, in realtà, presenti nello sviluppo del ragionamento seguito dalla Corte territoriale, come risulta dalla sintesi del motivo di gravame, che ne contiene l’affermazione, e dalla immediatamente successiva pronuncia di rigetto (cfr. sentenza impugnata, p. 2), anche se poi il giudice di appello è pervenuto, sulla scorta di un diffuso e dettagliato esame degli snodi essenziali del verbale (cfr. pp. 3-4), ad altra lettura di merito dell’accordo, diversa da quella proposta dalla società ricorrente.
8. Con il terzo motivo la ricorrente, deducendo nullità della sentenza e del procedimento per violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato (art. 360 n. 4), nonché vizio di motivazione (art. 360 n. 5), lamenta che la Corte di appello abbia omesso di motivare riguardo alle circostanze, oggetto di specifici motivi di gravame, attinenti alla complessità della trattativa; al fatto che con l’accordo sindacale del 15 maggio 2003 la struttura della retribuzione era stata semplicemente ridisegnata, con la previsione di un generale miglioramento delle condizioni economiche dei dipendenti; alla erroneità del ritenuto assorbimento di emolumenti retributivi che, in realtà, erano solo nominalmente scomparsi dalla busta paga; alla complessità dell’opera di armonizzazione tra diverse discipline collettive, che era giunta a compimento con l’accordo in questione.
9. Anche il motivo in esame risulta inammissibile.
10. Al riguardo si deve ribadire, per ciò che riguarda il dedotto vizio ex art. 360 n. 5, l’orientamento secondo il quale “l’omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello, sicché, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., nel testo riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla I. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile”: Cass. n. 6835/2017 (ord.).
11. Il motivo è inoltre e comunque inammissibile, nel profilo concernente la violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.), poiché tende, nella sostanza della sua formulazione, e come già osservato (sub 7) a proposito del secondo motivo, a porre in discussione l’accertamento di merito compiuto dal giudice di appello, a fronte di un percorso argomentativo che ha riletto e adeguatamente valutato il contenuto complessivo del verbale di accordo in data 15 maggio 2003 e di una specifica analisi del ruolo svolto, all’interno degli assetti negoziali, dall’istituto della compensazione retributiva per l’assorbimento delle voci dedotte in giudizio.
12. Il ricorso deve conclusivamente essere respinto.
13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
14. Di esse va disposta la distrazione ex art. 93 cod. proc. civ. a favore del procuratore del controricorrente, avv. C.G., come da sua dichiarazione e richiesta.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, somma di cui dispone la distrazione in favore dell’avv. C.G..
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.