CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 dicembre 2018, n. 31875
Trattamento pensionistico – Dottori commercialisti – Prelievo a titolo di contributo straordinario di solidarietà – Illegittimità – Accertamento
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 7464/2014, ha confermato la sentenza del Tribunale con cui il primo giudice aveva dichiarato l’illegittimità del prelievo effettuato dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti sul trattamento pensionistico goduto dal 1.1.2004 da L.P. a titolo di contributo straordinario di solidarietà introdotto dall’art. 22 del Regolamento in vigore dal 1 gennaio 2004, inizialmente per un periodo di cinque anni, rinnovato per il quadriennio 2009-2013 con successiva delibera del 28 ottobre 2008.
Secondo la Corte d’appello la disposizione regolamentare che aveva introdotto detto contributo era illegittima in quanto l’autonomia della cassa poteva esplicarsi solo entro i limiti di cui all’art 2 del dlgs n. 509/1994 e comunque nel rispetto del principio del pro rata di cui alla L. n. 335/1995, art 3, comma 12, e ledeva l’affidamento dell’assicurato, già pensionato, finendo per incidere su un diritto quesito.
La Corte territoriale ha, altresì, precisato che non si poteva pervenire a diverse conclusioni neppure in base allo ius superveniens di cui alla L. n. 296/2006, art. 1, comma 763, – secondo cui sono fatti salvi gli atti ed i provvedimenti adottati dalle casse in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge -in quanto non potevano essere sanati gli atti di riduzione delle prestazioni .
Quanto all’ultimo intervento del legislatore con l’art. 1 L. n. 147/2013 (legge finanziaria 2014) ha osservato che non era configurabile come norma interpretativa e dunque non era dotata di efficacia retroattiva essendo, invece, innovativa né essendo ravvisabili motivi di interesse generale idonei a giustificarne l’effetto retroattivo.
2. Avverso la sentenza ricorre la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti con cinque articolati motivi. Resiste L.P. con controricorso e successiva memoria .
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, dopo aver rilevato la contraddittorietà delle sentenze di questa Corte di cassazione nn. 26102, 26229, 26303 del 2014 e 53 del 2015 relative al contributo di solidarietà previsto per il periodo 2009-2013, la Cassa denuncia violazione dell’art. 3, comma 12, L n 335/1995 nel testo vigente ed omessa, insufficiente motivazione e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla inesatta interpretazione offerta dalla sentenza impugnata dell’art. 3, comma 12, sopra citato.
2. Con ulteriore motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2, commi 1 e 2, d.lgs. n. 509 del 1994 in relazione alla funzione di rilievo pubblica svolta dalla cassa privatizzata.
3. Con successivi ulteriori motivi si denuncia la violazione dell’art. 38, comma 2, 2 e 3 Cost. in ragione delle finalità di copertura assicurativa, di mutualità e solidarietà sottesa all’attività della Cassa in favore degli iscritti che l’interpretazione criticata pregiudicava, senza peraltro che si fosse dato atto della avvenuta restituzione dei contributi versati nel periodo 2004-2008. In sostanza, con i motivi esposti, la ricorrente rileva che nella fattispecie non era in discussione il principio del pro rata inteso quale tendenziale corrispondenza tra contributi e prestazioni ovvero come severa protezione delle situazioni in via di maturazione. Il contributo di solidarietà rappresentava un prelievo su trattamenti pensionistici già maturati non incidendo, pertanto, sulle aspettative degli assicurati e sul loro affidamento.
Osserva che a seguito del processo di privatizzazione la legge aveva sempre riconosciuto alle casse tutti i poteri normativi e gestionali per porre in essere le misure idonee a prevenire situazioni di squilibrio finanziario nel rispetto del principio di solidarietà intercategoriale e intergenerazionale ed in applicazione di tali poteri la cassa aveva introdotto un contributo di solidarietà, temporalmente limitato, volto a contrastare la crisi del sistema previdenziale e garantire l’equilibrio finanziario del sistema.
Il contributo aveva rappresentato un rimedio contro la crisi finanziaria del sistema pensionistico. Nel 1991 la Cassa aveva introdotto il sistema di calcolo retributivo con la conseguenza che anche il controricorrente aveva potuto usufruire di un trattamento pensionistico di gran lunga superiore rispetto a quello che gli sarebbe spettato in base ai contributi versati . Con il regolamento del 2004 la Cassa aveva adottato il sistema contributivo, ma la necessità di continuare ad applicare fino al 2004 il sistema retributivo non aveva determinato l’auspicato riequilibrio finanziario con la conseguente necessità di introdurre il contributo fondato su una chiara ratio consistente nella necessità di superare la situazione di crisi finanziaria in cui versava la Cassa a fronte del riconoscimento ad alcuni iscritti di trattamenti pensionistici di gran lunga superiori ai contributi versati.
Circa la natura del contributo ha sottolineato la natura temporanea del prelievo, la misura predeterminata dello stesso e l’assoggettamento al pagamento solo dei pensionati che avevano beneficiato del calcolo della pensione con il sistema retributivo.
Deduce che la Cassa svolge una funzione pubblica dovendo fornire i mezzi previdenziali ed assistenziali in regime di mutualità di categoria; è tenuta alla stabilità di bilancio ed autofinanziamento e, per perseguire la funzione pubblica nel rispetto della stabilità di bilancio, è stata dotata di potere normativo che deve rispettare i limiti imposti dalla Costituzione.
Il principio di autonomia, la necessità di assicurare l’equilibrio di bilancio sono stati ribaditi anche nella legge n 335/1995 che riconosce alle Casse tutti i poteri di adottare i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine ribadito nel testo attualmente in vigore della norma. Ne consegue che la Cassa ha legittimamente adottato il contributo di solidarietà quale intervento straordinario, limitato nel tempo, volto a contrastare la crisi del sistema previdenziale e garantire l’equilibrio di bilancio.
5. Il ricorso è infondato. I motivi, strettamente correlati, vanno esaminati congiuntamente.
Appare opportuno indicare la base giuridica ed il parametro di legittimità cui rapportare l’art 22 del Regolamento, entrato in vigore dall’1/1/2004 e che ha introdotto il contributo di solidarietà, partendo dal processo di delegificazione, che ha presso le mosse dalla legge delega n. 537/1993, e dalla conseguente individuazione dei poteri regolamentari della Cassa.
A riguardo va ricordato che:
a) il Governo è stato delegato (con la L. n. 537/1993 art. b1, commi 32 e 33, lett. a), punto 4, Interventi correttivi di finanza pubblica) – per quel che qui interessa – “ad emanare ( )uno o più decreti legislativi diretti a riordinare (o sopprimere) enti pubblici di previdenza e assistenza”, attenendosi, tra l’altro, al principio e criterio direttivo seguente:
“privatizzazione degli enti stessi, nelle forme dell’associazione o della fondazione, con garanzie di autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile, ferme restandone le finalità istitutive e l’obbligatoria iscrizione e contribuzione agli stessi degli appartenenti alle categorie di personale a favore dei quali essi risultano istituiti”.
b) il D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, ha ribadito che le Casse “privatizzate”” hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei princìpi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta ” e che” la gestione economico-finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale”. Per far ciò l’art. 1, comma 4, in combinato disposto con l’art. 2, comma 2, e art. 3, comma 2, del predetto decreto legislativo, ha previsto un potere regolamentare delle Casse non incompatibile con il sistema delle fonti potendo la fonte primaria costituita dal decreto legislativo autorizzare una fonte subprimaria (il Regolamento della Cassa approvato con decreto ministeriale) ad introdurre norme generali ed astratte ed a tal proposito si è parlato di “sostanziale delegificazione affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti (cfr, Cass. 16 novembre 2009, n. 24202) e si è aggiunto “anche in deroga a disposizioni di legge precedenti”.
c) Tali disposizioni del D.Lgs. n. 509 cit., non hanno , peraltro, attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse la configurazione di regolamenti di delegificazione di cui alla L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2,( che indica i regolamenti di delegificazione come quelli “destinati a sostituire, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, preesistenti disposizioni legislative statali, in conformità a nuove norme generali regolatrici della materia stabilite con legge, e con effetto di abrogazione differita delle disposizioni legislative sostituite) sicché ad essi – e, quindi, anche all’emanando Regolamento della Cassa di previdenza ragionieri – non è stato consentito di derogare a disposizioni collocate a livello primario, quali sono quelle dettate proprio per le Casse “privatizzate”, a cominciare dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che ha natura di norma imperativa inderogabile dall’autonomia normativa delle Casse privatizzate.
d) Quest’ultima disposizione (L. n. 335/1995 art. 3, comma 12, Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) – che, nella sua formulazione anteriore alla modifica introdotta dalla L. n. 296/2006, costituisce base giuridica e parametro di legittimità della norma regolamentare in esame – sancisce testualmente: “Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal dlgs n 509/1994, relativo agli enti previdenziali privatizzati, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto legislativo, la stabilità delle rispettive gestioni è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni. In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto, sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti. Nei regimi pensionistici gestiti dai predetti enti, il periodo di riferimento per la determinazione della base pensionabile è definito, ove inferiore, secondo i criteri fissati all’art. 1, comma 17, per gli enti che gestiscono forme di previdenza sostitutive e al medesimo art. 1, comma 18, per gli altri enti. Ai fini dell’accesso ai pensionamenti anticipati di anzianità, trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 1, commi 25 e 26, per gli enti che gestiscono forme di previdenza sostitutive, e al medesimo art. 1, comma 28, per gli altri enti. Gli enti possono optare per l’adozione del sistema contributivo definito ai sensi della presente legge”.
La norma, quindi, richiama le disposizioni di cui al Dlgs n 509/1994 art 2 cit., spec. commi 1 e 2), ribadendone i principi di autonomia e lo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio degli enti previdenziali privatizzati. In coerenza con le indicazioni risultanti dal bilancio tecnico (funzionali alla garanzia di stabilità delle gestioni, da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni), poi, gli stessi enti risultano contestualmente abilitati ad adottare – “nel rispetto del principio del pro rata, in relazione alle anzianità già maturate” – provvedimenti di “variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione del coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico”.
e) Da quanto sopra esposto afir risulta, pertanto, una sostanziale delegificazione – affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti per la disciplina, tra l’altro, del rapporto contributivo e del rapporto previdenziale – concernente le prestazioni a carico degli stessi enti – anche in deroga a disposizioni di legge precedenti. Al pari delle disposizioni di legge nelle stesse materie gli atti di delegificazione – adottati dagli enti, entro i limiti della propria autonomia – sono soggetti, altresì, a limiti costituzionali.
Coerentemente, il sindacato giurisdizionale – su tali atti di delegificazione – ne investe il rispetto, da un lato, dei limiti imposti alla autonomia degli enti – dal quale dipende la loro idoneità a realizzare l’effetto perseguito, di abrogare, appunto, o derogare disposizioni di legge e, dall’altro, dei limiti costituzionali, in funzione della (eventuale) caducazione degli atti medesimi (art. 1418 e 1324 cc), per contrasto con norme imperative.
Lo stesso sindacato giurisdizionale – circa il rispetto dei limiti imposti all’autonomia degli enti, appunto, e dei limiti costituzionali – investe (anche) gli atti di delegificazione, posti in essere dagli enti sulla base della legislazione successiva.
6. Ciò premesso va rilevato che questa Corte ha esposto con riferimento a fattispecie analoga relativa alla stessa Cassa commercialisti (Cass 25212/09) che “L’autonomia degli stessi enti, tuttavia, incontra un limite fondamentale, imposto dalla stessa disposizione che la prevede (ossia dal predetto d.lgs n 509/1994 art. 2), la quale definisce espressamente i tipi di provvedimento da adottare, identificati, appunto, in base al loro contenuto (“variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”).
Esula, tuttavia, dal novero (una sorta di numerus clausus) degli stessi provvedimenti – e risulta incompatibile, peraltro, con il “rispetto del principio del pro rata (…)” – qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati (quale, nella specie, l’art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale), che introduca – a prescindere dal “criterio di determinazione del trattamento pensionistico” – la previsione di una trattenuta a titolo di “contributo di solidarietà” sui trattamenti pensioni già quantificati ed attribuiti. Ed invero sul punto deve evidenziarsi che la imposizione di un “contributo di solidarietà” sui trattamenti pensionistici già in atto non integra, all’evidenza, né una “variazione delle aliquote contributive”, né una “riparametrazione dei coefficienti di rendimento”. Ma alla stessa conclusione deve pervenirsi, tuttavia, con riferimento ad “ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico”. La previsione relativa intende riferirsi, infatti, a tutti i provvedimenti, che – al pari di quelli specificamente identificati nominativamente (di “variazione delle aliquote contributive”, appunto, e di “riparametrazione dei coefficienti di rendimento”) – incidano su “ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico”.
Ne esula, quindi, qualsiasi provvedimento, che – lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del pro rata, ai sensi delle successive formulazioni dell’art. 3, comma 12, I. n 335/1995 e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto ai limiti di stabilità imposti dalla legge – imponga una trattenuta su detto trattamento già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili, quale limite esterno della sua misura.
7. Né a diverse conclusioni e dunque alla legittimità della trattenuta, si può giungere attraverso il richiamo alla L.n. 296/2006 di modifica dell’art. 3, comma 12, L. n. 335/1995 in quanto detta norma incide sul sistema del pro rata che è estraneo alla tematica del contributo di solidarietà. La citata sopravvenuta normativa non può, pertanto, essere intesa nel senso preteso dalla Cassa di fonte del potere di introdurre prestazioni patrimoniali a carico dei pensionati, quale è il contributo di solidarietà.
Quanto alla disposizione di cui all’art. 1 comma 488 della L.n. 147/2013, qualificata come di interpretazione autentica, – secondo cui: “L’ultimo periodo della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763, si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della L. 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine”, va rilevato che questa Corte (cfr Cass. 6702/2016, ord. n 7568/2017) ha già affermato che “quest’ultimo intervento legislativo non incide sulla soluzione della presente questione, dal momento che la norma in esame pone come condizione di legittimità degli atti che essi siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario a lungo termine, mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo, così come affermato dalla stessa ricorrente”. Va ulteriormente considerato che, comunque, non può prescindersi dalla considerazione che la norma di cui all’ultimo periodo dell’art 1, comma 763, L. 27 dicembre 2006, n. 296, non può che riguardare i provvedimenti che hanno inciso sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico dei professionisti iscritti alla Cassa e non già la materia che esula dai poteri delle Casse, quale quella in esame.
8. Appare utile, al fine di confermare l’estraneità del contributo di solidarietà ai criteri di determinazione del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata, richiamare, altresì, la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 173/2016 che, nel valutare l’analogo prelievo disposto dall’art. 1, comma 486, L. n. 147/2013, ha affermato che si è in presenza di un “prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003)”.
8 .Sulla base delle considerazioni che precedono deve concludersi nel senso che esula dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità per le Casse di emanare un contributo di solidarietà in quanto , come si è detto, esso, al di là del suo nome, non può essere ricondotto ad un «criterio di determinazione del trattamento pensionistico», ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore.
9. Le ragioni che hanno indotto questa Corte a ritenere che tra i poteri della Cassa non vi sia anche quello di applicare ai pensionati un contributo di solidarietà consente di escludere che la citata e recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha concluso per la legittimità costituzionale dell’art 1 comma 486 della legge finanziaria del 2014 (ritenendo sussistere “sia pur al limite”, rispettate nel caso dell’intervento legislativo in esame” le condizioni dalla Corte enunciate per la legittimità dell’intervento quali operare all’interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate (in rapporto alle pensioni minime); presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una tantum”) possa incidere sulle conclusioni qui assunte.
10. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente a pagare le spese del presente giudizio.
Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, dpr n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in Euro 3500,00 per compensi professionali oltre Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del dpr n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis , dello stesso art. 13.
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