CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 dicembre 2019, n. 32204
Tributi – Rivalutazione beni d’impresa – Affrancamento saldo attivo di rivalutazione dei beni ammortizzabili – Imposta sostitutiva – Eccedenza di versamento – Rimborso – Legittimità
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza n. 138/67/2013, depositata l’8 aprile 2013 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la quale, rigettando l’appello dell’Ufficio, era confermata la decisione di primo grado, di accoglimento del ricorso introdotto dalla S. s.p.a. avverso il silenzio rifiuto formatosi sulla istanza di ripetizione degli importi che la società reputava versati in eccedenza a titolo di imposta sostitutiva sull’affrancamento del saldo attivo di rivalutazione, prevista dalla l. n. 266/2005 (legge finanziaria 2006).
Ha riferito che la controversia era originata, dopo il pagamento dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei beni d’impresa, prevista nella misura del 12% dall’art. 1 co. 471 I. 266 cit., dal versamento, ai sensi dell’art. 1, co. 472, I. 266 cit., dell’ulteriore imposta sostitutiva nella misura del 7% per l’affrancamento del saldo attivo di rivalutazione dei beni ammortizzabili. Ai fini del calcolo della seconda imposta sostitutiva la base imponibile su cui applicare l’aliquota del 7%, ad avviso della contribuente, doveva corrispondere all’importo della rivalutazione dei beni ammortizzabili al netto della prima imposta sostitutiva del 12% già versata. Avendo invece determinato la base imponibile al lordo della suddetta imposta (onde evitare contestazioni formali della Amministrazione, che riteneva corretta la determinazione al lordo di essa), la società aveva richiesto il rimborso delle maggiori somme corrisposte. Al silenzio rifiuto della Agenzia era dunque seguito il ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo, esitato nel suo accoglimento con sentenza n. 198/09/2009. L’appello della Agenzia era rigettato con la sentenza ora al vaglio della Corte.
L’Amministrazione censura la decisione con unico motivo, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 469-476, l. n. 266/2005, dell’art. 1 co. 477, l. n. 311/2003, dell’art. 4 d.m. n. 86/2002, dell’art. 13 co. 3, l. n. 342/2000, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per aver erroneamente affermato che l’imposta del 7% per l’affrancamento del saldo attivo di rivalutazione dei beni ammortizzabili si calcola sulla base imponibile al netto dell’imposta sostitutiva del 12% versata per la rivalutazione dei beni dell’impresa.
Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza con ogni consequenziale statuizione.
Si è costituita la società, contestando il motivo di ricorso, di cui ha chiesto il rigetto.
All’udienza pubblica del 10 ottobre 2019, il P.G. e le parti presenti hanno discusso e concluso. La causa è stata trattenuta in decisione.
Ragioni della decisione
Con il complesso motivo l’Agenzia si duole della decisione del giudice regionale, sostenendo che l’interpretazione sistematica dei commi 469-476 della legge finanziaria 2006 (266/2005), e in particolare dei commi 472 e 476, nonché dell’art. 4, d.m. n. 86/2002 e dell’art. 13 co. 3 I. 342/2000, porta inequivocamente a considerare che la base imponibile ai fini del versamento della imposta sostitutiva prevista dal co. 472 cit. vada determinata al lordo dell’imposta sostitutiva prevista dal comma 471 cit.
In particolare l’Agenzia sostiene che il giudice d’appello ha trascurato che l’art. 4, co. 2, d.m. 86/02 prevede che, nelle ipotesi di affrancamento, il saldo attivo di rivalutazione concorre a formare la base imponibile della società, ai soli fini dell’imposta sul reddito, aumentato dell’imposta sostitutiva; sicché <<se è vero che, ai fini della costituzione della riserva, il saldo attivo va considerato al netto dell’imposta, è pur vero che la normativa apertis verbis impone di considerare quale base imponibile delle imposte sui redditi il saldo al lordo dell’imposta sostitutiva>>.
La soluzione adottata dalla commissione tributaria regionale non avrebbe tenuto conto del principio di indeducibilità dell’imposta sostitutiva di rivalutazione di cui all’art. 1, co. 477, l. 311/04, richiamato dall’art. 1, co. 472, l. n. 266/05.
Questa Corte, in merito alla questione, ha già affermato che la base imponibile per l’imposta sostitutiva di affrancamento di cui all’art. 1, co. 469, l. n. 266/2005 è costituita dal saldo attivo di rivalutazione, che deve essere considerato in bilancio al netto dell’imposta pagata per la rivalutazione medesima, con il conseguente diritto dei contribuente ad ottenere il rimborso del maggior importo cautelativamente versato, avendo riguardo ad una base imponibile determinata senza tenere conto dell’imposta corrisposta per la rivalutazione. (Cass., ord. 9509/2018).
Più dettagliatamente si è affermato che l’istanza di rimborso in esame concerne un’ipotesi diversa dalla rivalutazione volontaria dei beni d’impresa e delle partecipazioni (prevista, con riferimento a beni risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2004, dall’art. 1, co. 469 cit.), ancorché a quest’ultima correlata e contestuale. La richiesta di rimborso è infatti afferente a quell’imposta sostitutiva versata dalla società contribuente per l’affrancamento del saldo attivo di rivalutazione (art. 1, co. 472 cit.), finalizzato a sottrarre tale saldo attivo -che non concorre alla formazione del reddito imponibile della società, ex art. 1, co. 475, l. n. 311/04 – al regime di sospensione d’imposta stabilita dalla legge per la corrispondente riserva di bilancio, rendendolo cosi disponibile per la distribuzione, previo appunto il pagamento dell’imposta sostitutiva del 7%.
Con il pagamento di tale imposta sostitutiva si consente cioè la distribuzione ai soci del saldo attivo di rivalutazione secondo il regime proprio dei dividendi, così superando il vincolo di destinazione a capitale, ovvero a riserva, altrimenti previsto dall’art. 13, co. 1, l. n. 342/00, il quale si stabilisce che <<II saldo attivo risultante dalle rivalutazioni eseguite ai sensi degli articoli 10 e 11 deve essere imputato al capitale o accantonato in una speciale riserva designata con riferimento alla presente legge, con esclusione di ogni diversa utilizzazione>>.
Ciò premesso, poiché l’art. 1 co. 476 cit. demanda le modalità di attuazione del regime di rivalutazione dei beni d’impresa ai regolamenti di cui al decreto del Ministro delle finanze 13 aprile 2001, n. 162 e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 19 aprile 2002, n. 86, per quanto qui d’interesse relativamente al saldo attivo di rivalutazione, l’art. 4, co. 1 di quest’ultimo, prevede che <<Anche ai fini fiscali il saldo attivo risultante dalla rivalutazione è costituito dall’importo iscritto nel passivo del bilancio o rendiconto in contropartita dei maggiori valori attribuiti ai beni rivalutati e, al netto dell’imposta sostitutiva, deve essere imputato al capitale o accantonato in una apposita riserva ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della legge n. 342 del 2000>>.
Ne consegue dunque, secondo la ricostruzione esegetica della Corte, che, dovendo il saldo attivo di rivalutazione trovare collocazione in bilancio “al netto” e non “al lordo” dell’imposta sostitutiva pagata per la rivalutazione medesima, ed essendo costituita dal saldo attivo di rivalutazione così descritto la base imponibile per la diversa imposta sostitutiva di affrancamento, anche tale imposta sostitutiva di affrancamento deve essere calcolata al netto della precedente imposta sostitutiva di rivalutazione.
Né risulta convincente la interpretazione della Amministrazione, che ricorre alla ricostruzione, in senso contrario, resa dalla Circolare 18/E – peraltro non costituente fonte normativa, secondo cui dalla lettura dell’art. 13 co. 3, l. 342/2000 e dell’art. 9 co. 2, d.m. n. 162/2001 si evince che la base imponibile sarebbe identificabile nella somma del saldo attivo e dell’imposta (sostitutiva di cui al co. 471 cit.), perché tale interpretazione, si è affermato nella menzionata giurisprudenza di legittimità, pone sullo stesso piano la fattispecie della distribuzione e quella dell’affrancamento, senza considerare l’elemento di diversificazione <<offeso che solo nella prima ipotesi (distribuzione ai soci della riserva di rivalutazione ancora in sospensione d’imposta, in quanto non affrancata) si pone la finalità, per l’amministrazione finanziaria, di recuperare a tassazione ordinaria l’intero ammontare della rivalutazione; costituito sia dal saldo attivo di questa sia dall’importo già versato a titolo di imposta sostitutiva. Nel caso di affrancamento (che può essere anche parziale), l’inserimento nella base imponibile dell’imposta sostitutiva di rivalutazione finirebbe invece con il colpire un valore superiore (per l’importo di tale imposta) rispetto a quello iscritto a riserva in bilancio, e non distribuibile>>.
E in tal senso è comprensibile perché la sentenza del giudice regionale abbia, sia pur sinteticamente, sostenuto come la Circolare 18/E rappresenti una lettura forzata del dettato normativo, avvertendo che il co. 476 cit. prescrive l’applicazione dei dettati dei decreti ministeriali alle fattispecie previste dai commi 469 e 473 cit., non anche al comma 472, relativo all’imposta sostitutiva per l’affrancamento del saldo attivo di rivalutazione.
In conclusione il ricorso va rigettato.
La complessità della interpretazione, unitamente alla assenza di un indirizzo giurisprudenziale all’epoca del promovimento dell’impugnazione, giustifica la compensazione delle spese, del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese di lite.
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