CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 dicembre 2019, n. 32255

Cessazione del rapporto di lavoro – Rapporto di lavoro dirigenziale – Libera recedibilità – Raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età – Preavviso

Fatti di causa

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 10344/2014 depositata il 5.1.2015, ha, per quanto qui rileva, confermato la pronuncia del Tribunale di Roma che aveva accolto parzialmente la domanda di G.F. volta ad ottenere il pagamento della indennità sostitutiva del preavviso dovuto contrattualmente in relazione al recesso del 13.4.2006 con il quale il datore di lavoro comunicava la cessazione del rapporto di lavoro alla data del 31.1.2007, con il raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età.

2. La Corte di merito, sul rilievo che l’art. 2118 c.c. non impone particolari formule per il preavviso, ha condiviso la motivazione di primo grado che aveva qualificato la dichiarazione di cui alla lettera del 13/4/06 come recesso con preavviso alla data del 31/1/07, condannando, al tempo stesso, il datore di lavoro al pagamento dell’indennità per il mancato residuo preavviso, poiché concesso in misura minore al limite legale.

Ha osservato, inoltre, la Corte di appello, come non essendo il rapporto di lavoro dirigenziale assistito da alcuna stabilità reale e caratterizzato dalla libera recedibilità, fosse inconferente il richiamo alla giurisprudenza che afferma la illegittimità del recesso ove la scadenza del preavviso coincida con il raggiungimento dell’età pensionabile, sviluppata per diverse categorie di lavoratori.

La corte ha poi ritenuto corretta la compensazione delle spese del primo grado (motivata dal Tribunale sul rilievo dell’intervenuto rifiuto della proposta conciliativa di poco superiore a quella poi riconosciuta in sentenza) quanto meno alla stregua del principio di reciproca soccombenza avendo il ricorrente richiesto in primo grado la condanna alla somma di 300 mila euro.

3. Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione G.F., affidato a 4 motivi, cui ha resistito con controricorso P. s.p.a. Tutte le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Ragioni della decisione

4. Col primo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 cod. civ. in cui sarebbero incorsi i giudici di merito, qualificando la missiva del 13 aprile del 2006 come contenente un recesso con preavviso per il solo fatto che fosse configurabile un intervallo cronologico tra la dichiarazione di recesso e il termine di efficacia del medesimo, nonostante la comunicazione non indicasse il preavviso e la volontà di considerare il tempo intercorrente tra la stessa ed il compimento del sessantacinquesimo anno quale preavviso non fosse desumibile, neppure implicitamente (e dovendo considerarsi recesso e preavviso quali atti distinti privi di reciproca interferenza).

5. Con il secondo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza deducendo il vizio ex art. 360 c.1 n.5 c.p.c. in cui sarebbe incorsa omettendo l’esame di un fatto decisivo per il giudizio nonché ex 360 c.1 n.3 c.p.c. di violazione e falsa applicazione degli artt. 1324 e 1353 c.c. e in relazione all’art. 2118 c.c. ed ancora il vizio di omessa motivazione (ex art. 360, c. 1, n.4, c.p.c ) In particolare, secondo il ricorrente, la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunciarsi sul secondo motivo di gravame prospettato dalla difesa del F. e segnatamente sulla inidoneità dell’atto di recesso della P. ad esplicare effetti, compreso quello della decorrenza del periodo di preavviso, prima dell’avversarsi della condicio juris (raggiungimento dell’età pensionabile) posta a fondamento del recesso stesso.

Tale omissione rileverebbe tanto ai sensi dell’art. 360, c. 1, n 5, c.p.c. in quanto il mancato esame riguarderebbe una circostanza decisiva per il giudizio, quanto come vizio di violazione o falsa applicazione degli artt. 1324 e 1353 in relazione all’art. 2118 c.c. (art. 360, c. 1, n 3, c.p.c.) ed infine determinerebbe la nullità della sentenza , in ragione della omessa motivazione ex art. 360, c. 1, n. 4, c.p.c.

6. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. in relazione agli artt. 30 e 35 CCNL nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio consistente nel mancato esame delle previsioni contrattuali o nella loro erronea interpretazione e applicazione in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che avrebbe stabilito da tempo come “il datore di lavoro non può licenziare in via anticipata un proprio dipendente anziano dando un preavviso che vada a coincidere con il compimento dell’età pensionabile”.

7. Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente si duole del vizio di violazione di legge in cui sarebbe incorsa la corte di appello, in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c., ritenendo legittima la compensazione delle spese operata in primo grado, nonostante la somma offerta conciliativamente fosse stata inferiore a quella oggetto di condanna (inclusiva anche degli interessi), e l’unica domanda proposta non si articolasse in più capi.

8. Preliminarmente deve essere esclusa la inammissibilità del ricorso, dedotta dalla controricorrente, che ha evidenziato come il ricorrente, che ha notificato l’atto introduttivo del giudizio di legittimità avvalendosi del potere di notifica in proprio di cui alla legge n. 53/1994, tramite notifica a mezzo posta, avrebbe svolto tale attività l’ultimo giorno utile (il 9.5.2015).

Secondo la controricorrente, in particolare, il ricorrente sarebbe incorso in decadenza, poiché la dissociazione degli effetti di invio e ricezione (stabilita dalla Corte Costituzionale con sen. n. 477/2002, nel senso che la notifica si perfeziona per il soggetto notificante al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e per il destinatario dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell’atto) sarebbe sì consentita, nella notifica a mezzo posta, ma solo allorché la stessa sia realizzata per il tramite dell’ufficiale giudiziario e non in proprio dall’avvocato. Ed infatti, secondo il ricorrente, sulla scorta della interpretazione letterale delle norme, la scelta della forma di notifica ex lege 53/1994 tramite raccomandata a/r esporrebbe la parte al rischio di decadenza, non risultando logicamente garantita all’avv. notificante in proprio a mezzo posta la “medesima protezione che l’art. 149 c.p.c. appronta per il caso della notifica effettuata a mezzo di pubblico ufficiale che, per legge, ha il compito di eseguire la notifica anche l’ultimo giorno”.

8.1. Il motivo è manifestamente infondato, poichè dalla mera lettura dell’art. 6 della legge 53/1994 emerge che “L’avvocato o il procuratore legale, che compila ((la relazione o le attestazioni di cui agli articoli 3, 3-bis e 9)) o le annotazioni di cui all’articolo 5, e’ considerato pubblico ufficiale ad ogni effetto”.

Ne consegue che, dal combinato disposto delle norme in esame, la figura dell’avvocato che compie la attività di notifica in proprio risulta equipollente a quella dell’ufficiale giudiziario, né una diversa lettura risulta consentita, poiché introdurrebbe una irragionevole disparità tra la notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario a mezzo posta e quella eseguita dall’avvocato, in contrasto con la ratio legis e la lettera di cui alla legge n. 53/1994 volta a facilitare le notifiche (e molto valorizzata a partire dal 2012 con l’inserimento della notifica telematica).

9. Nel merito il ricorso è infondato.

9.1. Il ricorrente, pur deducendo vizi di legittimità, esprime con il ricorso, peraltro proponendo plurimi profili di doglianza in relazione ai vari motivi di cui all’art. 360 n. 1 c.p.c., un disaccordo con la decisione motivatamente e congruamente adottata dalla Corte di Appello di Roma.

9.1. In particolare, deve essere esclusa la fondatezza del primo motivo di ricorso, formulato deducendo la violazione dell’art. 2118 c.c., in cui sarebbe incorsa la corte qualificando la missiva del 13 aprile del 2006 come contenente un recesso con preavviso.

La Corte D’Appello, invero, ha correttamente applicato l’art. 2118 c.c. alla fattispecie in esame, adeguandosi ai principi dettati da questa corte che ha evidenziato come nell’ambito del rapporto di lavoro privato, il compimento dell’età pensionabile da parte del lavoratore non ha effetti risolutivi automatici, ma determina l’inizio del regime di recedibilità “ad nutum”, attribuendo al datore di lavoro il potere di far cessare immediatamente il rapporto, purché il lavoratore, fuori dall’ipotesi di recesso per giusta causa, abbia avuto la possibilità di giovarsi del periodo di preavviso grazie a una tempestiva intimazione del licenziamento ai sensi dell’art. 2118 c.c., valida anche se intervenuta durante il periodo di recedibilità causale; è stato così chiarito come sia, pertanto, legittimo, e non dia diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, il licenziamento intimato prima del raggiungimento dell’età pensionabile, ma destinato a produrre effetto solo a decorrere da tale data. (Sez. L – Sentenza n. 6157 del 14/03/2018, Rv. 647529 – 01).

Tali considerazioni valgono, a maggior ragione, considerando la natura dirigenziale del rapporto che, per sua natura, si accompagna alla libera recedibilità.

A tali principi si è conformata la sentenza impugnata, che, con valutazioni non sindacabili in questa sede di legittimità, ha ritenuto che la lettera inviata dalla P. Spa in data 13.4.2006 contenesse il preavviso che il rapporto di lavoro si sarebbe concluso il 31.1.2007, ovvero in concomitanza l’età pensionabile.

9.2. Manifestamente infondati sono, del pari, il secondo e il terzo motivo di ricorso.

Ed infatti non si evince, dalla lettura del motivo in esame, quale sia l’omessa valutazione del fatto decisivo in cui sarebbe incorsa la corte (dolendosi in sostanza il ricorrente della interpretazione della lettera del 13.4.2006, incensurabile in questa sede poiché condotta conformemente all’art. 2118 cod. civ.) e neppure si ravvisa l’omessa motivazione denunciata, avendo la corte esaminato tutti i motivi di gravame.

Al riguardo, il controricorrente, riportando e allegando nel corpo del controricorso il proprio atto di costituzione in appello, ha evidenziato come già in quella sede aveva dedotto la inammissibilità di eccezioni volte a sollevare vizi del recesso, avendo il giudice di primo grado circoscritto l’ambito del giudizio (in relazione alla domanda iniziale) al solo profilo dall’indennità di preavviso (come si deduce del resto anche dalla lettura del ricorso che riporta la domanda iniziale, cfr. pag. 2 ricorso) tanto che per la prima volta in appello risultavano introdotte argomentazioni circa la inidoneità del recesso (v. pag. 49 del controricorso.)

9.3. Il quarto motivo è infondato.

Ed infatti la corte di appello si è conformata alla giurisprudenza di questa corte (v. da ultimo Sez. 1 – , Ordinanza n. 10113 del 24/04/2018), che ha chiarito come la nozione di soccombenza reciproca che consente la compensazione parziale o totale delle spese processuali, può riguardare anche l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero una parzialità dell’accoglimento anche meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in unico capo (come nel caso di specie).

10. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

Ai sensi dell’art.13,comma 1-quater, d.P.R.n.115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art.13, comma 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di euro 5200,00 di cui 5000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater, d.P.R. n.115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis , dello stesso articolo 13.