CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 dicembre 2021, n. 39390
Tributi – Contenzioso tributario – Sentenza di appello – Rationes decidendi distinte – Impugnazione parziale – Formazione di giudicato interno
Fatti di causa
Il rag. A. B. fu destinatario di avviso di accertamento e di successivo atto di contestazione ed irrogazione di sanzioni, con i quali, da parte dell’Agenzia delle entrate – D.p.1 di Milano – furono rispettivamente recuperati a tassazione ai fini IRPEF e addizionale regionale per l’anno d’imposta 2003 redditi da capitale pari ad euro 356.781,96, corrispondenti agli utili di esercizio formalmente facenti capo alla società di diritto lussemburghese C. S.A., interamente partecipata dal B., nonché irrogata la sanzione di euro 3.162.202,28 per la violazione dell’obbligo di dichiarazione di cui al quadro RW, sez. 2, ex art. 4, comma 1, del d.l. n. 167/1990, convertito, con modificazioni, nella l. n. 227/1990, pari al 15% della consistenza delle attività estere di natura finanziaria, euro 21.081.348,53, possedute per il tramite dell’anzidetta società lussemburghese.
Gli atti summenzionati furono oggetto di separati ricorsi da parte del contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Milano, che riuniti i ricorsi, li accolse, entrando nel merito di ciascuno dei motivi addotti, pur avendo preliminarmente ritenuto l’Amministrazione finanziaria incorsa in decadenza tanto ai fini dell’accertamento quanto riguardo alle sanzioni, non avendo ritenuto applicabile la disciplina in tema di c.d. raddoppio dei termini.
Avverso la sentenza di primo grado l’Agenzia delle entrate propose appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) della Lombardia, che, con sentenza n. 3700/24/2014, depositata il 7 luglio 2014, non notificata, respinse il gravame.
Avverso la pronuncia della CTR l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso il contribuente, eccependo preliminarmente la formazione del giudicato interno, coprendo l’impugnazione proposta dall’Amministrazione finanziaria solo talune delle rationes decidendi, riferite all’affermata non applicabilità della disciplina in tema di c.d. raddoppio dei termini, con conseguente affermata decadenza dell’Ufficio dal potere accertativo e sanzionatorio di cui agli atti originariamente oggetto d’impugnazione da parte del contribuente.
Fissata la trattazione del ricorso per l’udienza pubblica del 15 ottobre 2021, essa si svolge in presenza, avendo parte controricorrente formulato tempestiva richiesta di discussione orale. Sebbene ritualmente comunicata l’istanza all’Amministrazione ricorrente, l’Avvocatura dello Stato non ha preso parte alla pubblica udienza.
Il controricorrente ha altresì depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973, introdotto dall’art. 3, comma 24, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla l. 4 agosto 2006, n. 248), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata, per l’annualità in oggetto 2003, ha ritenuto che l’Ufficio fosse decaduto dal potere di accertamento in ragione dell’affermata non operatività della disciplina del raddoppio dei termini prevista dalla norma indicata in rubrica, avendo in particolare la CTR escluso che sussistesse l’obbligo di denuncia in relazione al fatto che al momento dell’inoltro della comunicazione di reato in data 28 dicembre 2012, il giorno successivo alla notifica dell’avviso di accertamento, il reato di infedele dichiarazione contestato al contribuente doveva ritenersi già prescritto.
2. Con il secondo motivo l’Amministrazione ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 472/1997 e dell’art. 12, commi 2 e 2 ter, del d.l. n. 78/2009, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 194/2009, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Escludendo nella fattispecie in oggetto che potesse trovare applicazione la disciplina in tema di raddoppio dei termini, la sentenza impugnata, secondo la ricorrente Amministrazione, non avrebbe fatto corretta applicazione del principio secondo il quale, in ragione dell’indissolubile collegamento genetico e funzionale esistente tra la sanzione irrogata per la disponibilità di capitali all’estero e l’imponibilità fiscale dei redditi presuntivamente tratti da quella disponibilità, il termine di decadenza per l’irrogazione della sanzione di cui all’art. 5, commi 4 e 5, del d.l. n. 167/1990, deve essere individuato non con riferimento al tempo della commessa violazione, ma in quello maggiore previsto per l’accertamento del tributo dovuto.
3. Con il terzo motivo, infine, l’Agenzia delle entrate denuncia ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 472/1997 e dell’art. 12, commi 2 e 2 ter, del d.l. n. 78/2009, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 194/2009, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., rilevando come la sentenza impugnata debba ritenersi ugualmente erronea anche laddove il temine di decadenza di cui all’art. 20 del d. lgs. n. 472/1997 lo si faccia decorrere dal tempo dell’avvenuta violazione; dovendo l’omessa compilazione del quadro RW intendersi sul punto, secondo l’Amministrazione ricorrente, come omessa dichiarazione, il termine quinquennale dovrebbe computarsi con decorrenza dal 31 dicembre 2004, per cui, al momento dell’entrata in vigore dell’art. 12, comma 2 ter del dl. n. 78/2009, che ha introdotto il raddoppio dei termini riguardo alla sanzione di cui in oggetto, non essendo ancora compiuto il termine di decadenza, la CTR avrebbe dovuto ritenere l’operatività della suddetta disciplina.
4. Preliminarmente va delibata l’eccezione di giudicato sollevata dal controricorrente in ragione della mancata impugnazione da parte della ricorrente Agenzia delle entrate di talune statuizioni rese dalla CTR della Lombardia nella parte in cui il giudice tributario d’appello, richiamando per relationem il contenuto della sentenza di primo grado, ha quindi confermato l’annullamento degli atti impugnati in relazione agli ulteriori profili della ritenuta violazione degli artt. 12 della l. n. 212/2000 e 37 del d.P.R. n. 600/1973 ed alla luce della validità dell’effetto preclusivo conseguente alla dichiarazione riservata (c.d. scudo fiscale) posta in essere dal contribuente per l’anno 2009.
4.1. Ritiene la Corte che l’eccezione sia fondata.
Parte controricorrente, ai fini della c.d. “autosufficienza virtuosa”, ha prodotto in allegato al controricorso i documenti sui quali lo stesso si basa, tra i quali, per quanto qui essenzialmente rileva, l’avviso di accertamento, l’atto di contestazione ed irrogazione delle sanzioni e la sentenza di primo grado n. 230/1/13 resa tra le parti dalla CTP di Milano.
In ordine ai molteplici motivi d’impugnazione formulati dal ricorrente avverso gli atti summenzionati la CTP di Milano, nell’accogliere i ricorsi, previa riunione degli stessi, ha manifestato plurime concorrenti ed autonome rationes decidendi, che possono essere così sintetizzate: a) nullità dell’accertamento per difetto di motivazione, essendosi l’Ufficio limitato a recepire acriticamente i rilievi del processo verbale della Guardia di Finanza (pag. 7 sentenza CTP); b) operatività (e, quindi, conseguente effetto preclusivo, come invocato dal contribuente) dello scudo fiscale oggetto della dichiarazione riservata di rientro per l’anno 2009 e violazione art. 12 della l. n. 212/2000, avendo in proposito (pagg. 8-9 della sentenza di primo grado), la CTP osservato che «da alcun atto […] è possibile evincere che il verbale del 9 aprile 2009» (redatto dalla Dogana di Ponte di Chiasso), «abbia innescato una qualche attività di accertamento tributario», apparendo comunque «singolare che l’Ufficio giustifichi il mancato rispetto dei termini di cui all’art. 12 l. n. 212/2000 con l’imminente scadenza dei termini, se effettivamente la sua attività di verifica è stata innescata dal verbale redatto il 9 aprile 2009»; c) decadenza dell’Ufficio rispetto al potere di accertamento e d’irrogazione delle sanzioni (pag. 9-10 della sentenza di primo grado): la CTP ha osservato che si trattava di reato già prescritto prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 78/2009, come integrato dalla successiva legge di conversione n. 194/2009 e che la mancata compilazione del quadro RW comporta che la dichiarazione, tempestivamente presentata, debba considerarsi non omessa, come sostenuto dall’Amministrazione finanziaria, ma incompleta, da ciò derivando che la decadenza deve riferirsi al periodo di quattro anni con decorrenza dal 31 dicembre 2004, essendo quindi compiuta alla data del 31 dicembre 2018; d) credibilità (pag. 10 della sentenza di primo grado) dell’assunto difensivo del contribuente relativamente alla ricostruzione del conferimento dalla società lussemburghese al B. in termini di finanziamento vero e proprio; e) infondatezza (pagg. 10-12 della sentenza di primo grado) della contestazione dell’Ufficio d’interposizione fittizia (di avere cioè il B. utilizzato la società lussemburghese, della quale era socio unico, come schermo per occultare la detenzione di capitali all’estero), avendo sul punto la CTP conclusivamente affermato che «[i]l rapporto di interposizione non può essere configurato tra la società e l’unico socio».
4.2. Dette statuizioni erano oggetto d’impugnazione da parte dell’Ufficio con il ricorso in appello, i cui motivi sono stati riassunti dall’Agenzia delle entrate a pag. 3 del ricorso per cassazione.
La CTR della Lombardia, nel motivare il rigetto dell’appello dell’Ufficio, dopo avere esplicitato le ragioni che l’hanno portata a condividere quanto affermato dalla CTP riguardo alla ritenuta inapplicabilità, nella fattispecie in esame, della disciplina in tema di raddoppio dei termini sia riguardo all’avviso di accertamento che a quello di contestazione ed irrogazione delle sanzioni, ha quindi così testualmente concluso: «[l]a Commissione, richiamando il contenuto della sentenza appellata che condivide appieno, non può far altro che respingere il ricorso in appello e confermare la sentenza di primo grado».
4.3. Nel motivare, quindi, per relationem, con riferimento al contenuto della sentenza di primo grado, pienamente condivisa dal giudice tributario d’appello, la sentenza in questa sede impugnata deve intendersi come espressiva delle medesime rationes decidendi espresse dalla CTP di Milano, non limitate, quindi, alla sola affermazione della rilevata decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di accertamento e di contestazione ed irrogazione delle sanzioni, ma alla ritenuta fondatezza dei motivi d’impugnazione del contribuente, riguardanti (anche) il merito stesso dell’accertamento, esaminato e ritenuto illegittimo per le ragioni esposte dalla CTP di Milano e condivise dal giudice del gravame.
4.4. L’Agenzia delle entrate si è limitata ad impugnare la sentenza della CTR con i motivi sopra indicati, che hanno censurato unicamente le rationes decidendi relative all’affermata decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di accertamento e di contestazione ed irrogazione delle sanzioni.
Va, pertanto, in questa sede ulteriormente ribadito il principio affermato da questa Corte secondo il quale «[i]l giudice, decidendo su una questione che, benché logicamente pregiudiziale sulle altre, attiene al merito della causa […]» a differenza di quanto avviene qualora dichiari l’inammissibilità della domanda o il suo difetto di giurisdizione o competenza, non si priva della “potestas iudicandi” in relazione alle ulteriori questioni di merito, sicché ove si pronunci anche su di esse, le relative decisioni non configurano “obiter dicta”, ma ulteriori “rationes decidendi”, che la parte ha l’interesse e l’onere d’impugnare, in quanto da sole idonee a sostenere il “decisum”» (cfr. Cass. sez. 5, 17 aprile 2015, n. 7838; Cass. sez. 1, ord. 11 marzo 2019, n. 6985).
Nella fattispecie in esame l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto censurare quindi (quanto meno per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente), anche le ulteriori statuizioni rese attraverso l’esplicito rinvio per relationem alla pronuncia di primo grado che il giudice di appello, a fronte degli ulteriori motivi di gravame avverso la sentenza della CTP, ha dichiarato di condividere appieno.
Ciò non avendo fatto, deve ritenersi quindi fondata l’eccezione della controricorrente riguardo alla formazione del giudicato interno sulle altre rationes decidendi non impugnate con il ricorso per cassazione, ciò che comporta l’inammissibilità del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTR in questa sede impugnata limitatamente alle statuizioni concernenti la decadenza dell’Amministrazione dal potere accertativo e sanzionatorio.
5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio, che liquida in euro 15.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, esborsi, liquidati in euro 200,00 ed accessori di legge.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 3845 depositata il 12 febbraio 2024 - Qualora la sentenza impugnata si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione secondo l'iter…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 luglio 2021, n. 19419 - Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (...), con la quale si è spogliato della "potestas iudicandi" in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 04 ottobre 2022, n. 28775 - Ove sia impugnata una statuizione fondata su più ragioni argomentative, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, che ciascuna di…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 05 settembre 2019, n. 22232 - La statuizione di inammissibilità dell'appello per tardività assorbente di ogni altra questione, le ulteriori affermazioni contenute nella sentenza impugnata costituiscono degli obiter dicta…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 luglio 2020, n. 14374 - Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza…
- Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, sezione 22, sentenza n. 1811 depositata il 28 giugno 2022 - Il giudice che definisce la causa su una questione pregiudiziale non può pronunciarsi anche sul merito di essa. Il giudice che…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- E’ onere del notificante la verifica della c
E’ onere del notificante la verifica della correttezza dell’indirizzo del destin…
- E’ escluso l’applicazione dell’a
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 9759 deposi…
- Alla parte autodifesasi in quanto avvocato vanno l
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 7356 depositata il 19…
- Processo Tributario: il principio di equità sostit
Il processo tributario, costantemente affermato dal Supremo consesso, non è anno…
- Processo Tributario: la prova testimoniale
L’art. 7 comma 4 del d.lgs. n. 546 del 1992 (codice di procedura tributar…