CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 giugno 2019, n. 15553
Licenziamento – Dirigente – Chiusura dell’attività produttiva dell’azienda collocata in amministrazione straordinaria – Presupposti per il diritto all’indennità supplementare
Fatti di causa
1. Il sig. C.A., dipendente di A.A. s.p.a. con qualifica di dirigente, con istanza ai sensi dell’art. 111 bis L.F., ha chiesto il riconoscimento nei confronti della società in amministrazione straordinaria della somma di euro 64.916,00 in prededuzione, a titolo di indennità supplementare ai sensi dell’Accordo 27.4.1995, maturata a seguito del licenziamento intimatogli il 4.12.2008.
2. Avverso il rigetto della domanda da parte del giudice delegato, il ricorrente ha proposto ricorso in opposizione allo stato passivo, ai sensi dell’art. 98 e ss.
3. Il Tribunale di Roma, Sezione Fallimentare, con decreto n. 397 del 12.6.17, depositato il 21.6.17, accogliendo l’opposizione allo stato passivo di A.A. s.p.a. in A.S. proposta da C.A., ha disposto l’ammissione del predetto allo stato passivo della società in prededuzione per la somma complessiva di euro 64.916,00.
4. Il Tribunale ha ritenuto pacifiche le seguenti circostanze:
– il ricorrente era stato dipendente di A. Servizi s.p.a. con qualifica di dirigente;
– il rapporto di lavoro era disciplinato dal c.c.n.I. per i dirigenti dell’industria e dall’accordo del 27.4.95
– A.L.A.A. s.p.a era stata posta in amministrazione straordinaria con decreto del 29.8.08, a norma dell’art. 2, D.L. n. 347 del 2003, come modificato dal D.L. n. 134 del 2008;
– il rapporto di lavoro era stato unilateralmente risolto dal commissario straordinario in data 4.12.2008 “a seguito della chiusura dell’attività produttiva dell’azienda collocata in amministrazione straordinaria”.
5. Il Tribunale ha premesso come il diritto all’indennità supplementare di cui al citato accordo presupponesse una effettiva e definitiva risoluzione del rapporto di lavoro e fosse quindi subordinato alla mancata ricollocazione del dirigente nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria, di cui all’art. 5, comma 2 ter, D.L. n. 347 del 2003, e successive modificazioni.
6. Ha precisato come fosse onere del lavoratore fornire la prova della mancata ricollocazione nell’ambito della medesima procedura.
7. Ha ritenuto che, nel caso di specie, tale onere fosse stato assolto avendo il sig. C. depositato l’estratto conto previdenziale Inps del 5.3.15, il prospetto di liquidazione della propria posizione previdenziale del luglio 2009, la dichiarazione dei redditi 2009 e il modello unico persone fisiche relativo agli anni 2010 e 2011; ha precisato come da tali documenti fosse possibile desumere, in assenza di allegazioni di segno opposto da parte della società, la mancata ricollocazione del dirigente presso CAI e dunque l’esistenza dei presupposti per l’indennità supplementare di cui all’Accordo del 27.4.95, avendo, peraltro, lo stesso commissario straordinario riconosciuto un collegamento tra il recesso e lo stato di crisi aziendale.
8. Ha riformato il provvedimento del giudice delegato laddove aveva escluso la prededuzione del credito per la citata indennità supplementare rilevando come tutti i crediti del dirigente dovessero considerarsi sorti in funzione della continuità aziendale, e quindi da collocare in prededuzione, senza possibilità di distinguere tra quelli aventi funzione retributiva o indennitaria
9. Avverso tale decreto A.A. s.p.a. in a.s. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria, il sig. C.
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo di ricorso A. ha censurato il decreto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’Accordo sulla Risoluzione del rapporto di lavoro nei casi di crisi aziendale del 27.4.1995, che subordina il riconoscimento dell’indennità alla circostanza che l’azienda motivi il recesso come dovuto a situazioni di crisi aziendale o all’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria; laddove il dirigente per cui è causa è stato licenziato per cessazione dell’attività produttiva aziendale.
2. Il motivo è infondato.
3. L’Accordo Interconfederale 27.4.95 prevede che “in presenza delle specifiche fattispecie di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione ovvero crisi aziendale di cui alla legge 23 luglio 1991 n. 223, riconosciute con il decreto del Ministero del lavoro di cui all’art. 1, comma tre, della legge 19 luglio 1994 n. 451, nonché delle situazioni aziendali accertate dal Ministero del lavoro ai sensi dell’art. 1 della legge 19 dicembre 1984 n. 863, l’azienda che risolve il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, motivando il proprio recesso come dovuto alle situazioni sopra indicate, erogherà al dirigente, oltre alle spettanze di fine rapporto, una indennità supplementare al trattamento di fine rapporto pari al corrispettivo del preavviso individuale maturato”.
4. Sin dalla pronuncia di questa Corte n. 16498 del 2009 è stato affermato che, in materia di rapporto di lavoro dei dirigenti d’azienda, l’indennità supplementare di cui all’Accordo interconfederale del 27.4.95 fa riferimento a casi speciali, ai casi cioè in cui l’assetto aziendale, per le varie causali indicate, venga radicalmente modificato coinvolgendo una pluralità di dirigenti della stessa impresa, con conseguente necessità di sopperire alle relative emergenze occupazionali, giacché, come è noto, i dirigenti non rientrano nell’ambito di operatività né della cassa integrazione né dell’indennità di mobilità (in tal senso v. pure Cass. n. 142 del 2019). Ai fini dell’Accordo 27.4.95, deve ritenersi sufficiente che il licenziamento del dirigente abbia causa concreta nella riorganizzazione, ristrutturazione o crisi aziendale, anche se asseverate dal Ministero del Lavoro in data successiva nell’ambito della procedura per la concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria.
5. Più recentemente, questa Corte ha ribadito che l’indennità supplementare al trattamento di fine rapporto prevista per i dirigenti di azienda dall’Accordo Interconfederale del 27 aprile 1995 deve essere riconosciuta al dipendente nel caso in cui il licenziamento sia obiettivamente causato da ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi aziendale, al di là della motivazione formalmente adottata dal datore di lavoro (sent. n. 86 del 2019) e che ciò che rileva, sul piano del diritto, è l’effettiva ragione del recesso e il nesso di derivazione causale dello stesso rispetto alle fattispecie giuridiche, di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi aziendale, individuate dall’Accordo interconfederale, al di là della motivazione formalmente adottata da parte datoriale (sent. n. 142 del 2019).
6. Neppure può rilevare la circostanza che il licenziamento sia avvenuto a distanza di alcuni mesi dalla apertura della procedura e che lo stesso non sia conseguenza diretta della ristrutturazione dell’azienda, ma della accertata impossibilità di proseguire nell’attività produttiva. Sul tema del diritto alla indennità supplementare riconosciuta dalla contrattazione collettiva ai dirigenti licenziati a causa di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi settoriale o aziendale, nonché di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, questa Corte ha già avuto occasione di disattendere letture orientate a ravvisare “una cesura di carattere non solo temporale, ma logica” fra la fase propriamente di risanamento e quella eventualmente conseguente all’esaurimento dell’esperimento conservativo, tale da escludere la suddetta indennità in caso di licenziamento intervenuto a significativa distanza dall’apertura della procedura e “non conseguente della ristrutturazione dell’azienda bensì all’accertata impossibilità di proseguire nell’attività produttiva”. Si è osservato come la contrattazione collettiva attribuisca l’indennità in questione “prescindendo dall’epoca del recesso” e “la ricollega ad una situazione in itinere, insorta con intenzione conservativa, il rischio del cui esito negativo non può trasferirsi sul dirigente esclusivamente in base al dato temporale offerto dall’epoca del recesso” (in tal senso Cass., Sez. 1, n. 29735 del 2018, che richiama Cass. Sez. lav. n. 14769 del 2005, Cass. n. 3572 del 2004 e n. 5371 del 1998).
7. Peraltro, nel caso in esame la censura risulta infondata anche in ragione dello specifico accertamento in fatto – svolto dal giudice di merito sulla base delle risultanze probatorie, e come tale insindacabile in questa sede – circa la indubbia (e sufficiente) riconducibilità della risoluzione del rapporto di lavoro alla crisi aziendale regolata dalla procedura di amministrazione straordinaria.
8. Col secondo motivo A. ha dedotto omesso esame, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., dei fatti di causa che dimostrano la prosecuzione dell’attività aziendale successivamente all’ammissione alla procedura di A.S. e la riconducibilità del recesso alla determinazione del Commissario avente ad oggetto la chiusura dell’attività produttiva aziendale.
9. In particolare, sarebbe stato omesso l’esame dei seguenti fatti storici decisivi ed oggetto di discussione tra le parti: l’ammissione di A. alla procedura di A.S. risale al 30.8.08; il dirigente ha continuato a lavorare fino al dicembre 2008; il recesso è stato motivato con la cessazione dell’attività. In base a tali fatti decisivi, il Tribunale non avrebbe potuto riconoscere l’indennità in oggetto che presuppone un recesso motivato in ragione dell’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria.
10. La censura è manifestamente infondata, in quanto i fatti dedotti risultano chiaramente presi in considerazione dal Tribunale (che infatti alle pagg. 5 e 6 del decreto afferma “non sussistono contestazioni, in quanto documentalmente provate, in merito alle seguenti circostanze: che il ricorrente è stato assunto a tempo indeterminato dalla società A. con la qualifica dirigenziale;… che il rapporto di lavoro è stato unilateralmente risolto in data 4.12.2008 con comunicazione del commissario straordinario recante la seguente motivazione – a seguito dalla chiusura dell’attività produttiva dell’azienda, collocata in Amministrazione Straordinaria”) ed evidentemente ritenuti non decisivi.
11. Col terzo motivo A. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 132 c.p.c.118 disp. att. c.p.c.per omissione e/o illogicità della motivazione in ordine alla spettanza dell’indennità supplementare a fronte di un recesso motivato con la cessazione dell’attività produttiva. Nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per mancata motivazione sul punto in base all’art. 132 n. 4 c.p.c.. Omesso esame, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., del documento (lettera di recesso doc. 1 fase. C.) assunto a dimostrazione della riconducibilità del recesso alla procedura di a.s..
12. Secondo la società ricorrente, il decreto del Tribunale non avrebbe motivato sul diritto all’indennità supplementare nonostante che il recesso non fosse stato intimato in connessione con la procedura di A.S.. Anzi, il Tribunale avrebbe correttamente ricostruito i presupposti del diritto all’indennità ma, in maniera illogica, riconosciuto l’indennità in presenza di una fattispecie difforme da quella prevista dal citato accordo del 1995.
13. Il motivo è infondato poiché, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (ad opera del d.l. n. 83 del 2012, convertito dalla l. n. 134 del 2012), il sindacato di legittimità sulla motivazione deve intendersi ridotto – alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi – al “minimo costituzionale”, nel senso che «l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”» (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
14. Alla luce di tale criterio, il tessuto motivazionale della decisione impugnata è adeguato e certamente non al di sotto del cd. minimo costituzionale, non potendo dirsi né meramente apparente – tale essendo solo la motivazione che, «benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., S.U., n. 22232 del 2016) – né contraddittoria o incomprensibile.
15. Col quarto motivo la società ricorrente ha censurato il provvedimento del Tribunale per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 L.F., dell’art. 20, D.Lgs. n. 270 del 1999 nonché del Verbale di accordo 27.4.95 cit., in ordine alla asserita prededucibilità del credito.
16. Ha sostenuto come l’indennità in parola, che trae origine dalla risoluzione del rapporto di lavoro, non potesse essere annoverata tra i crediti sorti per la continuazione dell’esercizio dell’impresa e la gestione del patrimonio del debitore dopo la dichiarazione dello stato di insolvenza, espressamente individuati come prededucibili dall’art. 20, D.Lgs. n. 270 del 1999.
17. Il motivo è infondato.
18. La questione è stata affrontata e risolta dalla recente sentenza n. 29735 del 19.11.2018, che ha affermato il seguente principio di diritto: “L’indennità supplementare prevista dall’Accordo sulla risoluzione del rapporto di lavoro nei casi di crisi aziendale” allegato al CCNL dei dirigenti aziendali, costituisce – a prescindere dalla sua natura retributiva o indennitaria – un credito da ammettere al passivo in prededuzione ex art. 111 l.fall., per i dirigenti di imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria che siano cessati dal rapporto di lavoro solo successivamente al provvedimento di ammissione alla procedura, essendo la sua prosecuzione indubitabilmente funzionale alle esigenze di continuazione dell’attività di impresa.
19. E’ stato osservato che la prededuzione del credito in questione si fonda sulla indubitabile funzionalità della prosecuzione del rapporto di lavoro alle esigenze della continuazione dell’esercizio di impresa, con l’inevitabile conseguenza che ogni credito che trova origine e causa in detto rapporto – a prescindere dalla sua natura, strettamente retributiva o anche indennitaria, secondo l’unitario regime economico e normativo ad esso applicabile – ne ripete quello stesso vincolo di funzionalità alla continuazione dell’esercizio dell’impresa che giustifica la sua prededucibilità, ai sensi del combinato disposto dell’art. 8, d.l. 347/2003, conv. con mod. dalla I. 39/2004, e degli artt. 20 e 52, d. Igs. n. 270/1999 (in tal senso., Cass. n. 29735 del 2018, in motivazione). Si è osservato che pure «Le indennità di anzianità spettanti ai dipendenti delle imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria, cessati dal rapporto di lavoro successivamente al provvedimento di continuazione dell’esercizio dell’impresa, sono considerate, per l’intero importo, in applicazione dell’art. 4 del D.L. 31 luglio 1981 n. 414, convertito in legge 2 ottobre 1981 n. 544, debiti contratti per la continuazione dell’esercizio, secondo la previsione dell’art. 111 n. 1 legge fall., (cfr. sent. cit. che richiama Cass. n. 582 del 1994).
Pertanto, siffatti crediti costituiscono debiti di massa e spettano in prededuzione dalla data di cessazione del rapporto» (sent. cit. che richiama Cass. n. 2716 del 1992 e n. 4378 del 1985).
20. Col quinto motivo A. ha sostenuto la violazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., degli artt. 111, comma 6, Cost., 132 c.p.c.118 disp. att. c.p.c.per illogicità della motivazione in ordine alla prededucibilità del credito. Nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per mancanza di motivazione a norma dell’art. 132, n. 4 c.p.c.
21. Ha definito illogica la motivazione adottata dal Tribunale sottolineando come l’esclusione della natura prededucibile del credito incide solo sulla gradazione dello stesso ai fini del concorso e non comporta la negazione del diritto in sé, come riconosciuto dalla contrattazione collettiva.
22. La censura è manifestamente infondata per le medesime ragioni illustrate nell’esame del terzo motivo.
23. Per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto.
24. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue la regola di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
25. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 6.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.
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