CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 giugno 2021, n. 16450
Tributi – IVA – Tardiva fatturazione delle operazioni – Cessione autoveicoli – Emissione fatture al momento dell’immatricolazione – Sanzioni – Applicazione del cumulo giuridico ex art. 12, D.Lgs. n. 472 del 1997
Fatti di causa
M.U. Srl, già I.M. 1 Srl, impugnava l’atto di contestazione ed irrogazione di sanzioni emesso dall’Agenzia delle Entrate per l’anno 2004, in materia di Iva, per aver la società fatturato le operazioni di vendita delle vetture non al momento della cessione ma a quello, successivo, della immatricolazione e, dunque, tardivamente, deducendo di aver proceduto alla regolare emissione delle fatture e chiedendo, in ogni caso, l’applicazione del cumulo giuridico di cui all’art. 12 d.lgs. n. 472 del 1997.
L’impugnazione era accolta dalla CTP di Frosinone limitatamente all’applicazione del concorso materiale di violazioni. La sentenza era confermata dal giudice d’appello.
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione con due motivi. M.U. Srl in liquidazione è rimasta intimata.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 n. 4 c.p.c.e 36 d.lgs. n. 546 del 1992 per aver la CTR statuito con motivazione apparente o in difetto assoluto di motivazione.
1.1. Il motivo è infondato.
La CTR, infatti, dopo aver dato atto che il contribuente aveva chiesto l’applicazione del cumulo giuridico, ha affermato che di esso erano «sussistenti tutti i presupposti di legge previsti, visto che la presunta ripetizione della violazione è da considerarsi meramente formale, attesa l’inesistenza di danno erariale».
Si tratta di motivazione che – seppur concisa – è chiara ed esplicita, nonché corredata di specifico accertamento in fatto in ordine alla assenza di danno per l’erario.
2. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 12 d.lgs. n. 472 del 1997 per aver la CTR ritenuto la violazione per la tardiva emissione delle fatture di carattere formale, così riconoscendo il regime del cumulo materiale di cui all’art. 12, comma 1, seconda parte, d.lgs. n. 472 del 1997.
L’Ufficio rileva, in particolare, che la tardiva fatturazione aveva comportato alterazioni delle determinazioni dell’Iva periodica e delle conseguenti liquidazioni, l’inosservanza dei termini per i versamenti periodici, con “variazione della base imponibile, del tributo e degli obblighi di versamento”, e il pregiudizio dell’azione di controllo sicché la violazione doveva ritenersi di natura sostanziale, restando esclusa la configurabilità dell’esimente ex art. 6, comma 5bis, d.lgs. 472/97.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. La giurisprudenza della Corte ha, da tempo, raggruppato le fattispecie trasgressive in tre tipologie fondamentali (v. da ultimo Cass. n. 901 del 19/01/2019 e, in termini ampi, Cass. n. 28938 del 12/12/2020).
In particolare, si distingue tra:
a) violazioni sostanziali.
Queste si traducono nella omessa ed infedele dichiarazione degli elementi rilevanti per la quantificazione dell’imponibile o dell’imposta e, quindi, incidono sulla determinazione della base imponibile e/o sul pagamento del tributo.
b) violazioni formali.
A differenza delle prime non incidono sulla determinazione dello imponibile o dell’imposta e sono collegate ad un omesso, irregolare od incompleto adempimento del contribuente.
c) violazioni meramente formali.
Tale categoria di violazioni – positivamente individuata dall’art. 5-bis d.lgs. n. 472 del 1997, introdotto dall’art. 7, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 32 del 2001, a decorrere dal 20 marzo 2001, che ha precisato e circoscritto quanto già previsto dall’art. 10, comma 3, I. n. 212 del 2000 per le violazioni non punibili (secondo cui era tale la «mera violazione formale senza alcun debito di imposta», formula valutata da subito come eccessivamente ampia perché idonea ad includere anche le violazioni atte a ostacolare od impedire l’esercizio dell’attività di controllo del Fisco) – sono quelle che non arrecano alcun pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo.
Si tratta, in altri termini, di violazioni prive di ogni offensività dei beni giuridici tutelati e, come tali, esenti da punibilità (la norma, difatti, è rubricata con «cause di non punibilità») (v. Cass. n. 5897 del 8/3/2013; Cass. n. 27211 del 22/12/2014; Cass. 14767 del 15/07/2015; Cass. n. 23352 del 6/10/2017; Cass. n. 901 del 19/01/2019).
La differenza tra le diverse tipologie, dunque, si fonda su un criterio sostanziale: se la trasgressione della disposizione determina un pregiudizio per l’imposizione, in senso ampio, la violazione è sostanziale; se manca un simile pregiudizio ma comunque ne resta incisa la possibilità dell’esercizio delle azioni o dei poteri di controllo dell’Amministrazione finanziaria, la violazione è formale; se, invece, entrambe le condizioni sono assenti, allora la lesione della regola resta derubricata – in assenza di una disposizione che ne censuri in ogni caso la trasgressione, che può essere rilevante anche in assenza di una compromissione effettiva dei poteri di controllo ove il legislatore ne abbia valutata l’astratta idoneità rispetto a tale esito – a mera irregolarità.
2.3. Ai fini della distinzione tra violazioni formali e violazioni meramente formali, invero, la recente decisione n. 28938/2020 ha rilevato che la valutazione «deve essere eseguita alla stregua dell’idoneità ex ante della condotta a recare il detto pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, previo inquadramento della condotta stessa nel paradigma normativo di riferimento» e, dunque, in altri termini, deve essere operato un giudizio in astratto che pone in relazione il bene giuridico tutelato e la fattispecie giuridica alla quale va ricondotta la specifica trasgressione.
2.4. La vicenda qui in giudizio postula l’analisi dell’ulteriore segmento relativo alla distinzione tra le violazioni formali e le violazioni sostanziali, poiché solo nella ricorrenza di quest’ultima ipotesi trova applicazione l’istituto del cumulo giuridico di cui all’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 472 del 1997.
3. Un utile parametro-criterio per distinguere, sul piano normativo, tra le violazioni sostanziali e le violazioni formali, invero, può essere individuato nella stessa sanzione delineata dal legislatore: quando la sanzione è prevista in misura proporzionale all’imposta (non dichiarata o non versata ovvero per un imponibile non dichiarato) la violazione è sostanziale.
Ove, invece, la sanzione sia fissata tra limiti minimi e massimi predefiniti la violazione è formale poiché manca, in questo caso, una diretta riferibilità del comportamento illecito all’imposta o all’imponibile.
Si tratta di un criterio tendenziale di cui più volte lo stesso legislatore si è fatto esplicitamente carico.
L’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 471 del 1997, infatti, nel caso di violazioni degli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni non imponibili od esenti prevede una sanzione proporzionale «al corrispettivo non documentato o non registrato» ma, quando «la violazione non rileva neppure ai fini della determinazione del reddito», si applica una sanzione in misura fissa (nel testo attuale da 250,00 a 2000,00 euro).
Così in caso di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive (art. 1, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997), violazione per la quale è prevista una sanzione proporzionale; tuttavia, prosegue la norma, «se non sono dovute imposte», ossia se non ha comportato danno per l’Erario, si applica una sanzione in misura fissa. Analoga previsione è contenuta nell’art. 50 d.lgs. n. 346 del 1990 con riguardo all’imposta di successione: l’omessa dichiarazione è sanzionata in misura proporzionale all’imposta liquidata o riliquidata dall’Ufficio; anche qui, però, se non è dovuta alcuna imposta si applica una sanzione in misura fissa.
Pure l’art. 5 d.lgs. n. 471 del 1997, in materia di dichiarazione Iva, delinea, ancorché in termini più articolati quanto ai presupposti oggettivi e soggettivi, una situazione comparabile a quelle sopra evidenziate. L’omessa dichiarazione, infatti, è sanzionata in misura proporzionale. Tuttavia, il comma 3, primo e secondo periodo, prevede che «Se il soggetto effettua esclusivamente operazioni per le quali non è dovuta l’imposta, l’omessa presentazione della dichiarazione è punita con la sanzione amministrativa da euro 250 a euro 2.000. La stessa sanzione si applica anche se è omessa la dichiarazione prescritta dall’articolo 50, comma 4, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, nel caso di effettuazione di acquisti intracomunitari soggetti ad imposta ed in ogni altro caso nel quale non vi è debito d’imposta.».
3.1. Occorre sottolineare, peraltro, che il criterio su indicato è solo tendenziale e ciò sia perché, da un lato, il legislatore, nel prevedere per la violazione una sanzione solo proporzionale all’imposta (così contrassegnandola come di incidenza sostanziale), ha comunque frequentemente stabilito, come clausola finale, che la sanzione non può essere inferiore ad un determinato importo (ad es. l’art. 5, comma 1, per il quale, in relazione alle diverse ipotesi ivi contemplate, stabilisce che «la sanzione non può comunque essere inferiore a euro 250» ovvero «con un minimo di 200 euro»), indicazione come tale idonea ad includere sia l’ipotesi in cui l’imponibile non correttamente indicato sia minimo, sia quella in cui la violazione non si accompagni, in concreto, ad una scorretta indicazione dell’imponibile.
Dall’altro, la concreta commisurazione dell’entità della sanzione trova il suo parametro correttivo nell’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 472 del 1997 secondo il quale «Qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo».
3.2. In altri termini, la valutazione della natura sostanziale o formale (non meramente formale) della violazione non risponde ad un criterio normativo rigido e indeclinabile ma postula un riscontro in concreto sull’offensività della condotta rispetto al bene giuridico costituito dalla corretta quantificazione dell’imponibile o dell’imposta nelle sue diverse accezioni.
Tale conclusione, del resto, è coerente, quantomeno in materia di Iva (e per i tributi armonizzati in genere), con il principio di proporzionalità più volte affermato dalla Corte di Giustizia in materia di sanzioni, che non possono eccedere quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’Iva ed evitare l’evasione (v. Corte di Giustizia, sentenza 17 luglio 2014, in C-272/13, Equoland; Corte di Giustizia, sentenza 19 luglio 2012, in C-263/12, Ainérs Rédlihs; da ultimo Corte di Giustizia, sentenza 8 maggio 2019, in C-712/17, EN.SA. Srl, con riguardo all’art. 6, comma 6, d.lgs. n. 471 del 1997).
4. Le conclusioni su esposte, poi, non si pongono in dissenso con i precedenti di questa Corte che hanno ritenuto riconducibile il ritardo nelle fatturazioni ad una violazione sostanziale (per restare alle più recenti v. Cass. n. 27211 del 22/12/2014; Cass. n. 2605 del 10/02/2016; Cass. n. 23352 del 6/10/2017; Cass. n. 14158 del 4/06/2018).
La puntuale disamina delle pronunce in questione, infatti, pone in risalto che oggetto di valutazione non era tanto la qualificazione della contestata violazione (se formale o sostanziale) quanto la riconducibilità o meno della condotta specificamente contestata alle violazioni “meramente formali”, senza che si ponesse l’effettiva necessità di distinguere tra violazioni formali e sostanziali (tant’è che, chiaramente, si rileva la punibilità della condotta anche «quando non determina l’omesso versamento dell’Iva» o «era senz’altro idonea ad arrecare pregiudizio alle azioni di controllo» ovvero, ancora, si precisa che la condotta è punibile in quanto «arreca pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo»).
Né in senso contrario rileva quanto affermato dalla sentenza n. 27211 del 2014, che in termini più ampi si occupa della questione.
Nella concreta vicenda, infatti, si poneva non solo un pregiudizio delle azioni di controllo ma anche un profilo di danno, tant’è che con l’avviso era stato pure rettificato il reddito d’impresa.
La valutazione della natura formale o sostanziale della violazione, peraltro, sorgeva, anche qui, solamente a fronte della eccepita ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 6, comma 5-bis, d.lgs. n. 471 del 1997, che veniva esclusa dalla Corte sul rilievo che è «evidente che la fatturazione è solo un aspetto del più complesso obbligo fiscale, direttamente ricollegato alla formalizzazione e documentazione dell’imposta esigibile: la violazione dell’obbligo di fatturazione viene ad incidere direttamente sulla esigibilità della imposta e non può essere considerata una violazione solo formale o priva di danno per l’erario».
La successiva conclusione per cui «il ritardo nella fatturazione da parte di una società integra una violazione sostanziale e non formale dell’art. 21, comma 4, del DPR n.633/1972 ed è sanzionato dall’articolo dall’art. 6, comma 1, del DLGS n.471/1997 in quanto arreca pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo» appare poi non del tutto in linea con i caratteri del tipo di violazione (enunciando solo il pregiudizio per le azioni di controllo) e, al contempo, non apprezza che, come osservato, nella vicenda sussisteva anche un profilo di effettiva incidenza sull’imponibile.
Neppure rileva, poi, il principio – richiamato dalla ricorrente – enunciato da Cass. n. 27621 del 21/11/2008 (v. anche Cass. 26513 del 4/12/2011) che ha ritenuto che l’omessa o ritardata fatturazione costituisca una violazione di carattere sostanziale: la vicenda ivi delineata, infatti, riguardava l’applicazione dell’art. 52, comma 3, I. n. 413 del 1991 e, dunque, disposizione che stabiliva, quale criterio per la definibilità, «l’astratta idoneità delle violazioni a dar luogo ad una rettifica o ad un accertamento di imposta, a prescindere dal caso concreto» e, comunque, nell’ambito di un condono, che, come tale, presuppone che la sanzione sia stata irrogata, da cui l’eterogeneità rispetto alla situazione qui in esame.
4.1. Per contro, i medesimi esiti qui delineati sono fatti propri da Cass. n. 14401 del 25/06/2014.
Nella vicenda ivi in giudizio, difatti, non si poneva solamente la riconducibilità della condotta contestata alle violazioni “meramente formali” ma anche – come nel caso in esame – l’applicabilità del cumulo giuridico di cui all’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 472 del 1997.
Orbene, la Corte, nel delineare le condizioni rilevanti ai fini del comma in questione, ha posto specifico risalto alla necessità di un effettivo e concreto riscontro «dell’alterazione della determinazione della base imponibile», nella specie assente, non essendo sufficiente la sola idoneità astratta a provocare un simile pregiudizio («ai fini del cumulo giuridico previsto dall’indicato comma 1 dell’art. 12, è necessario che per le «violazioni formali» da esso indicate non operi la sopra menzionata causa di non punibilità (non siano, cioè, «meramente formali») e che, allo stesso tempo, le violazioni non incidano sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo … [nella specie] l’indicata tardività delle fatturazioni non ha alterato l’imponibile»).
Sostanzialmente in linea con tale impostazione, infine, appare Cass. n. 1830 del 23/01/2019 che, a fronte di una accertata assenza di evasione d’imposta, ha disapplicato la norma sanzionatoria in funzione di una rideterminazione del trattamento sanzionatorio in applicazione dei principi di proporzionalità di matrice unionale.
5. I principi evidenziati hanno diretti riflessi sull’applicazione dell’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 472 del 1997.
Tale norma dispone: «È punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, chi, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni anche relative a tributi diversi ovvero commette, anche con più azioni od omissioni, diverse violazioni formali della medesima disposizione».
La prima parte della norma si occupa del concorso formale, che si ha quando un soggetto con una sola azione viola più norme anche relative a tributi diversi.
La seconda parte della norma – rilevante qui in giudizio – regola l’ipotesi del concorso materiale, ossia il caso in cui la medesima disposizione sia violata, anche con più azioni, diverse volte.
La previsione, sul piano letterale, stabilisce che tale situazione ricorre quando siano commesse «diverse violazioni formali della medesima disposizione».
Viene in rilievo, dunque, la situazione su considerata: il beneficio del cumulo giuridico resta escluso se le violazioni abbiano inciso sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo, ossia si siano tradotte in una evasione o in una indebita detrazione ovvero, in ogni caso, in una alterazione dell’imposta o dell’imponibile.
Se, invece, un tale pregiudizio non si sia prodotto, nonostante la lesione della disposizione sia potenzialmente idonea ad arrecarlo, la violazione – che è pur sempre dannosa per l’esercizio delle azioni di controllo dell’Amministrazione finanziaria – mantiene un carattere formale, perché ciò che è stato compromesso è solo l’osservanza di un adempimento, pur importante, da parte del contribuente.
6. Vanno dunque affermati i seguenti principi di diritto: «in tema di sanzioni amministrative tributarie, per distinguere tra violazioni formali e sostanziali è necessario accertare in concreto, con valutazione in fatto riservata al giudice di merito, se la condotta abbia cagionato un danno erariale, incidendo sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta o del versamento del tributo; in assenza di tale pregiudizio, la violazione resta formale perché lesiva per l’esercizio delle azioni e dei poteri di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria» «il ritardo nella fatturazione, sanzionato dall’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997, integra una violazione formale e non anche sostanziale dell’art. 21, quarto comma, d.P.R. n. 633 del 1972 ove la condotta, pur oggettivamente lesiva per l’esercizio delle azioni di controllo, non abbia arrecato alcun pregiudizio, con accertamento di fatto di competenza del giudice di merito, sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta o sul versamento del tributo, sicché, in caso di pluralità di violazioni della medesima disposizione, è applicabile l’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 472 del 1997»
7. La fattispecie in causa rientra in tale ultima ipotesi perché la CTR ha accertato, in punto di fatto, che la contribuente ha commesso, nello stesso periodo d’imposta, diverse violazioni della medesima disposizione di legge (relativa al termine per l’emissione delle fatture concernenti le cessioni delle auto, operate al momento della immatricolazione anziché della consegna), ma che tale tardività delle fatturazioni non ha alterato l’imponibile («attesa l’inesistenza di danno erariale»).
Tale accertamento, invero, è rimasto privo di ogni censura: la ricorrente, infatti, si è limitata a dedurre – ma in termini del tutto generici ed astratti e, comunque, in assenza di una specifica censura per omesso esame di fatti decisivi – lo sfasamento temporale delle liquidazioni periodiche rispetto a quelle dovute, deduzione che, peraltro, si risolve solo in una astratta idoneità a determinare l’alterazione della base imponibile.
Ne deriva l’esattezza dell’applicazione dell’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 472 del 1997.
8. Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla per le spese attesa la mancata costituzione dell’intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.