CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 novembre 2021, n. 33183

Licenziamento collettivo per i motivi tecnici, organizzativi e produttivi di carattere strutturale – Procedura di mobilità – Lavoratori in esubero – Criteri di scelta – Lavoratori impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto – Possibilità di diversa collocazione in azienda – Omessa valutazione – Illegittimità del licenziamento – Reintegra

Fatto

1. Con sentenza del 15 luglio 2011, la Corte d’appello di Firenze rigettava il reclamo di B. s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, di illegittimità, in esito a rito Fornero, del licenziamento dalla stessa intimato, con lettera del 21 settembre 2016 nell’ambito del licenziamento collettivo avviato ai sensi della legge 223/1991, al dipendente F.L., con la sua condanna alla reintegrazione del lavoratore a norma dell’art. 18, quarto comma I. 300/1970 e al pagamento in suo favore di un’indennità risarcitoria, in misura dell’ultima retribuzione globale di fatto, per il periodo dal recesso all’effettiva reintegrazione: come già disposto dallo stesso Tribunale con ordinanza, tempestivamente opposta dalla società, a norma dell’art. 1, comma 51 I. 92/2012.

2. Essa ne ribadiva l’illegittimità, per la violazione dei criteri di scelta previsti dall’art. 5 I. cit., in difetto di specificazione delle ragioni di limitazione della platea dei lavoratori in esubero a quelli soli del settore esternalizzato (facchini e camerieri ai piani dell’Hotel B., nel centro di Firenze, gestito dalla società datrice), tutto licenziato (compreso il lavoratore, in quanto ad esso addetto), senza alcuna giustificazione dell’autonomia del settore medesimo, né dell’impossibilità di una diversa collocazione aziendale del personale per infungibilità di mansioni con quelle degli altri lavoratori.

3. La Corte toscana riteneva poi infondata la questione relativa all’onere di allegazione e prova del lavoratore di idoneità di impiego in altre mansioni, in quanto rilevante solo una volta assolto l’obbligo datoriale di completa e specifica informazione con la comunicazione di avvio della procedura, a norma dell’art. 4, terzo comma I. 223/1991, come detto mancato: con la coerente applicazione della tutela reintegratoria per la violazione, derivata dal suddetto inadempimento all’obbligo, dei criteri di scelta, ai sensi dell’art. 5, terzo comma I. cit., nella formulazione vigente ratione temporis.

4. Con atto notificato il 12 settembre 2019, la società ricorreva per cassazione con cinque motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui il lavoratore resisteva con controricorso.

5. Il P.G. rassegnava conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8 bis d.l. 137/20 inserito da I. conv. 176/20, nel senso del rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 4, terzo comma I. 223/1991, per il sufficiente dettaglio del contenuto della comunicazione di apertura della procedura di licenziamento collettivo, recante la specificazione della circostanza generante l’eccedenza di personale (definitiva cessazione della gestione diretta dei servizi di facchinaggio e di pulizia di camere, con loro esternalizzazione mediante appalto alla società cooperativa M.), la proposta allo stesso di lavoro presso l’appaltatrice, attesa l’impossibilità di adibirlo ad altri settori (uffici amministrativi, staff direttivo, booking e reception), il mancato raggiungimento di un accordo con le organizzazioni sindacali, nonostante i ripetuti incontri in tale prospettiva, con rivalutazione della “possibilità di allocare nuovamente i lavoratori in mansioni anche differenti”, tuttavia frustrata dalla mancanza “allo stato” di “posizioni disponibili in azienda” e pertanto l’impossibilità di rimedi alternativi al licenziamento per i motivi tecnici organizzativi e produttivi, di carattere strutturale, pure illustrati.

2. Il motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.

La doglianza è inammissibile, laddove essa è diretta a contrastare l’interpretazione della lettera di comunicazione iniziale di apertura della procedura fornita dal giudice di merito; è comunque infondata avendo questa Corte coerentemente chiarito che il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti ad un determinato reparto o settore ristrutturandi se essi siano idonei – per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (Cass. 12 gennaio 2015, n. 203; Cass. 1 agosto 2017, n. 19105).

3. La comunicazione preventiva con cui il datore di lavoro dà inizio alla procedura di licenziamento collettivo deve compiutamente adempiere l’obbligo di fornire le informazioni specificate dall’art. 4, terzo comma della legge n. 223 del 1991, in maniera tale da consentire all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero. La comunicazione prevista dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991 è in contrasto con l’obbligo normativo di trasparenza quando: a) i dati comunicati dal datore di lavoro siano incompleti o inesatti; b) la funzione sindacale di controllo e valutazione sia stata limitata; c) sussista un rapporto causale fra l’indicata carenza e la limitazione della funzione sindacale (Cass. 16 marzo 2007, n. 6225).

4. Il giudice dell’impugnazione del licenziamento collettivo o del collocamento in mobilità deve verificare – con valutazione di merito non censurabile nel giudizio di legittimità ove assistita da un accertamento sufficiente e non contraddittorio – l’adeguatezza della originaria comunicazione di avvio della procedura (Cass. 11 luglio 2007, n. 15479).

5. Ciò che comunque conta, in funzione dell’esercizio del controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa (non più esercitato ex post dal giudice, ma) devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, è l’idoneità in concreto della comunicazione a rendere queste ultime effettivamente edotte degli aspetti individuati nel citato art. 4, terzo comma, in modo da escludere maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali (Cass. 18 novembre 2016, n. 23526, con richiamo, tra le altre, di: Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541; Cass. 21 febbraio 2012, n. 2516).

6. In applicazione di tali principi, con un percorso argomentativo congruo e privo di salti logici nonché rispettoso della normativa applicabile alla fattispecie esaminata, la Corte territoriale ha ritenuto che la mancanza della specificazione circa le ragioni che impedivano di ovviare ai licenziamenti con il trasferimento dei dipendenti in esubero in altri settori aziendali – non essendo a tal uopo sufficiente la indicazione della mera esternalizzazione del servizio nonché l’assenza di altri posti disponibili in azienda nei quali collocarli – e la carenza di indicazioni circa l’autonomia dei reparti e l’infungibilità delle mansioni svolte, si fossero tradotte in una incompleta e distorta informazione che si riverberava sulla corretta esplicazione delle fasi successive della procedura.

7. A fronte di tale sufficiente e congruo iter argomentativo, giuridicamente corretto, la ricorrente si è limitata, invece, ad offrire una diversa lettura dell’atto: lettura che costituisce, come sopra detto, attività valutativa delle risultanze di causa operata dai giudici di merito e, dunque, un giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità perché sufficientemente motivato e coerente con gli spazi di controllo allo stesso devoluti.

8. Con il secondo, essa deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 4, terzo e dodicesimo comma, 5, primo e terzo comma l. 223/1991, per gli effetti erroneamente tratti dalla comunicazione di apertura della procedura in ordine alla violazione dei criteri di scelta, con ingiusto automatismo della conseguente violazione sostanziale (cui applicabile la tutela reintegratoria stabilita dal novellato art. 18, quarto comma l. 300/1970) da una eventuale incompletezza della comunicazione, integrante una violazione formale (cui applicabile la tutela indennitaria stabilita dal novellato art. 18, settimo comma l. 300/1970).

9. Con il quinto, trattabile congiuntamente al secondo per la loro stretta connessione, essa deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 18, quarto, quinto e settimo comma l. 300/1970 nel regime vigente ratione temporis, per non corretta applicazione della tutela, reintegratoria sull’erroneo presupposto della violazione dei criteri di scelta, anziché indennitaria, per il riscontro di incompletezza della comunicazione, ai sensi dell’art. 4, nono comma l. 223/1991.

10. I motivi sono infondati, essendo stato chiarito da questa Corte che, mentre la mera irregolarità della procedura di riduzione del personale produce conseguenze solo risarcitorie, la violazione dei criteri di scelta (in quanto inerenti il licenziamento di singoli lavoratori) dà luogo all’annullamento del licenziamento, con condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura non superiore alle dodici mensilità (Cass. 2 febbraio 2018, n. 2587; Cass. 17 luglio 2018, n. 19010).

11. L’inadeguatezza delle informazioni che abbia potuto condizionare la conclusione dell’accordo tra impresa e organizzazioni sindacali secondo le previsioni dell’art. 4 della legge n. 223 del 1991 determina l’inefficacia dei licenziamenti per irregolarità della procedura, a norma dell’art. 4, dodicesimo comma (Cass. 16 gennaio 2013, n. 880).

12. L’art. 5, terzo comma legge n. 223 del 1991, vigente ratione temporis, esclusa l’ipotesi del licenziamento senza forma scritta, sanzionato con il regime dell’art. 18, primo comma legge n. 300 del 1970, fa riferimento alla violazione delle procedure richiamate dall’art. 4, dodicesimo comma (che a sua volta richiama le comunicazioni di cui al nono comma – conclusione procedura – e al secondo – avvio procedura), per la quale è prevista la tutela indennitaria forte e alla violazione dei criteri di scelta, per la quale è prevista, di contro, la tutela reintegratoria attenuata di cui al quarto comma legge n. 300 del 1970.

13. Per i licenziamenti collettivi, quindi, secondo il diritto positivo, non esiste la possibilità di individuare una tutela diversa da quella dettata dal citato art. 5.

14. Tuttavia, ritiene questo Collegio che i due regimi, in astratto senza dubbio separati, non debbano – in concreto – essere rigidamente distaccati, ma siano da considerare in relazione tra loro perché, qualora il vizio della comunicazione (che riguardi sia quella di avvio, sia quella di conclusione della procedura) consista nella insussistenza di elementi di fatto che incidano sulla corretta applicazione dei criteri di scelta, allora la violazione non è di natura esclusivamente formale, ma si riverbera sul recesso in modo sostanziale perché non concerne più solo la regolarità della procedura amministrativa, bensì incide sulla lesione effettiva del diritto del singolo lavoratore alla conservazione del posto di lavoro.

15. Infatti, avendo riguardo alla formulazione letterale delle disposizioni, va osservato che il terzo comma dell’art. 5 legge n. 223 del 1991 recita che, qualora il licenziamento sia intimato in violazione dei criteri di scelta di cui al primo comma, si applica il regime sanzionatorio di cui al quarto comma dell’art. 18 legge n. 300 del 1970.

16. Al primo comma dell’art. 5 legge n. 223 del 1991 è poi testualmente precisato che l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contatti collettivi ovvero, in mancanza, nel rispetto dei criteri legali.

17. Qualora, pertanto, la violazione delle procedure richiamate dall’art. 4, dodicesimo comma legge n. 223 del 1991 incida sulla individuazione dei lavoratori da licenziare, perché il vizio della comunicazione porta a ritenere l’assenza o l’arbitrarietà dei criteri di scelta e tale vizio non sia sanato nelle successive fasi della procedura, allora ricadendo sull’aspetto sostanziale della legittimità dei licenziamenti adottati, la tutela non può che essere quella dell’art. 18. quarto comma legge n. 300 del 1970 (Cass. 17 luglio 2018, n. 19010).

18. In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca a più unità produttive ma il datore di lavoro, nella fase di individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità, tenga conto unilateralmente dell’esigenza aziendale collegata all’appartenenza territoriale ad una sola di esse, si determina una violazione dei criteri di scelta, per la quale l’art. 5, primo comma della legge n. 223 del 1991, come sostituito dall’art. 1, comma 46 della legge n. 92 del 2012, prevede l’applicazione del quarto comma dell’art. 18 novellato della legge n. 300 del 1970: norma che riguarda tutte le modalità di applicazione dei suddetti criteri, e quindi non solo l’errata valutazione o applicazione dei punteggi assegnati, ma anche le modalità con cui essi sono attribuiti (Cass. 26 settembre 2016, n. 18847; Cass. 3 agosto 2018, n. 20502).

19. La Corte di merito, sia pure in modo sintetico, ha fatto corretta applicazione di tali principi giurisprudenziali e la gravata sentenza è, pertanto, esente dalle censure mosse con i motivi in esame.

20. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 5 I. 223/1991, 1175, 1375 c.c., per il rispetto dei criteri di scelta dei lavoratori coinvolti nella procedura, in particolare di quello tecnico-organizzativo, alla base della terziarizzazione dei servizi di facchinaggio e di pulizia delle camere, interamente soppressi (e pertanto senza esigenza di alcuna comparazione interna), nell’obiettiva infungibilità del personale addetto ad essi (né avendo, in particolare, il lavoratore, mai svolto mansioni diverse da quella di facchino ai piani) con quello addetto al food and beverage e alle cucine, per la differente professionalità richiesta, anche in relazione all’elevata qualità delle prestazioni da offrire per la categoria di lusso dell’Hotel B. gestito; nell’osservanza pure dei principi di correttezza e buona fede, per la procurata offerta di lavoro alle dipendenze della società appaltatrice dei servizi esternalizzati e pertanto avendo la società datrice operato una selezione oggettiva e imparziale.

21. Con il quarto motivo, da esaminare congiuntamente al terzo per la loro stretta connessione, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per erronea (valutazione della) ripartizione e (di) assolvimento dell’onere probatorio in ordine alla fungibilità della lavoratrice, non avendo ella dedotto né dimostrato lo svolgimento di mansioni diverse in altri settori aziendali, a fronte della comunicazione e documentazione dalla società datrice della cessazione, per definitiva esternalizzazione, dei servizi di facchinaggio e di pulizia delle camere dell’albergo, con eccedenza di tutto il personale in essi impiegato, non altrove ricollocabile per obiettiva infungibilità delle mansioni con quelle dei lavoratori degli altri settori.

22. È opportuno precisare che per singole unità produttive, in relazione alle quali è prospettabile la legittimità di un licenziamento collettivo dei soli addetti ad esse, devono intendersi quelle articolazioni dell’azienda che siano caratterizzate per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa ove si esaurisca per intero il ciclo relativo ad una frazione o ad un elemento essenziale della attività, con esclusione delle articolazioni aziendali che abbiano funzioni ausiliari o strumentali (Cass. 31 luglio 2012, n. 13705; Cass. 3 novembre 2008, n. 26376).

23. E la delimitazione della platea è legittima, qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva, ben potendo le esigenze tecnico-produttive ed organizzative costituire criterio esclusivo nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, purché il datore indichi nella comunicazione prevista dall’art. 4, terzo comma, citato sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti (Cass. 9 marzo 2015, n. 4678; Cass. 12 settembre 2018, n. 22178; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32387).

24. Inoltre, essa è legittima qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, agli addetti ad essi sulla base soltanto di oggettive esigenze aziendali, purché siano dotati di professionalità specifiche, infungibili rispetto alle altre (Cass. 11 luglio 2013, n. 17177; Cass. 12 gennaio 2015, n. 203; Cass. 1 agosto 2017, n. 19105; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32387).

25. Nella fattispecie in esame, però, la procedura di licenziamento ha interessato non una unità produttiva nei termini sopra esposti, bensì singole posizioni lavorative (tre facchini e quattro cameriere ai piani) che non necessitano di particolare addestramento e/o speciale competenza rispetto ad altre posizioni del medesimo livello contrattuale DI, non coinvolte dalla procedura stessa.

26. La comparazione dei lavoratori doveva, quindi, avvenire (e su tale punto la comunicazione di avvio avrebbe dovuto essere chiara e specifica) tra tutti i dipendenti di professionalità equivalente inquadrati nello stesso profilo professionale, non limitandosi a tenere conto delle mansioni concretamente svolte in quel momento, ma anche della capacità professionale degli addetti alle mansioni da sopprimere, mettendo quindi a confronto tutti coloro che fossero in grado di svolgere le mansioni proprie dei settori che sopravvivevano all’esternalizzazione, indipendentemente dal fatto che, in concreto, non le esercitassero al momento del licenziamento collettivo.

27. Di tali aspetti la comunicazione di avvio avrebbe dovuto dare atto, proprio per consentire alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso tra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità lavorative che si intendano concretamente espellere (Cass. 20 febbraio 2012, n. 2429; Cass. 9 marzo 2015, n. 4678) perché, altrimenti, la comunicazione medesima, incidendo su arbitrari criteri di scelta, finirebbe per individuare singolarmente i lavoratori da licenziare (Cass. 4 novembre 1997, n. 10832; Cass. 20 luglio 2001, n. 9856).

28. Conseguentemente, trattandosi di figure professionali nell’ambito dello stesso livello contrattuale, l’onere della prova sulla fungibilità sicuramente non gravava sul lavoratore, non versandosi nell’ipotesi di addetti ad una particolare unità produttiva caratterizzata da una specifica professionalità, ostativa all’utilizzo del dipendente in altri reparti analogamente specializzati, ma di personale da ritenersi equiparabile, come detto, in relazione ai due presupposti della analoga professionalità e del similare livello.

29. Ciò senza dire che i motivi in esame, peraltro, presentano evidenti ragioni di inammissibilità ove pretendono di sottoporre a questa Corte (ulteriori) considerazioni circa l’organizzazione dell’impresa e le mansioni svolte dalla ricorrente.

30. Il ricorso deve dunque essere rigettato.

31. Le spese di lite seguono la soccombenza e, liquidate come da dispositivo, devono distrarsi in favore del difensore antistatario.

32. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24 dicembre 2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535), come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.250,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.