CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 ottobre 2019, n. 24592
Tributi – Acquisti intracomunitari – Acquisto di certificati di Co2 – Autofatturazione – Operazione accessoria all’attività di produzione/distribuzione di energia – Esclusione – Diritti immateriali – Prestazione di servizi – Applicazione aliquota Iva ordinaria
Fatti di causa
Emerge dalla sentenza impugnata, per il profilo ancora d’interesse, che la contribuente acquistò certificati Co2 da una società francese e che autofatturò l’acquisto applicando l’aliquota ridotta Iva del 10%, anziché quella ordinaria del 20%.
L’Agenzia ritenne che dovesse, invece, essere applicata l’aliquota ordinaria e recuperò la differenza.
La società impugnò il relativo avviso, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale di Milano.
Quella regionale ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia.
Il giudice d’appello, pur dando atto dell’omessa pronuncia del giudice di primo grado su questo capo della pretesa impositiva, l’ha ritenuto infondato perché, ha osservato, l’acquisto dei certificati Co2 va qualificato come operazione accessoria a quella di produzione/distribuzione di energia, per la quale è appunto prevista l’aliquota ridotta del 10%.
L’acquisto in questione consente difatti, ha sottolineato, di acquistare maggiori quantitativi di diritti di emissione di biossido di carbonio, con la conseguente facoltà di produrre più energia da destinare al consumatore finale.
Contro questa sentenza l’Agenzia propone ricorso per ottenerne la cassazione, che affida a un unico motivo, cui la società replica con controricorso, che illustra con memoria.
Il giudizio proviene da adunanza camerale e in prossimità della pubblica udienza la contribuente ha depositato ulteriore memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
1.- Con l’unico motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., l’Agenzia delle entrate lamenta la violazione degli artt. 2, 3 e 12 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, là dove il giudice d’appello ha qualificato l’operazione di acquisto come accessoria all’attività di produzione/distribuzione di energia. Secondo l’Agenzia, invece, le operazioni di acquisto e di vendita di certificati Co2 vanno qualificate come cessioni di diritti immateriali e, quindi, a norma dell’art. 3, 2° co., n. 2, del d.P.R. n. 633/72, come prestazioni di servizi, che, in quanto tali, scontano l’aliquota ordinaria dell’Iva.
Il motivo è fondato.
1.1.- Il certificato Co2 rappresenta quote di emissioni; e la quota di emissioni è definita dall’art. 3 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2003/87/CE del 13 ottobre 2003 come «il diritto di emettere una tonnellata di biossido di carbonio equivalente per un periodo determinato, valido unicamente per rispettare le disposizioni della presente direttiva e cedibile conformemente alla medesima» (definizione recepita nel diritto interno dapprima con l’art. 3, lett. p), del d.lgs. 4 aprile 2006, n. 216 e poi con l’art. al, lett. pp), del d.lgs. 13 marzo 2013, n. 30, che, nell’attuare la direttiva n. 2009/29/CE, la quale modifica quella precedente del 2003, ha sostituito la disciplina già contenuta nel d.lgs. n. 216/06).
La sorte delle quote è controllata da ciascuno Stato membro, che, a norma dell’art. 19 della suddetta direttiva n. 2003/87/CE, provvede «…ad istituire e conservare un registro per assicurare l’accurata contabilizzazione precisa delle quote di emissioni rilasciate, possedute, cedute e cancellate…». Sicché il certificato Co2 si traduce in un’autorizzazione dello Stato o delle autorità pubbliche a emettere gas a effetto serra per un periodo determinato.
1.2.- L’obiettivo del diritto unionale è volto a ridurre le emissioni di gas a effetto serra; a tal fine ci si fonda sul valore economico delle quote, per incentivare le imprese a diminuire le proprie emissioni.
È stato così istituito un sistema di scambio delle quote, che le imprese possono vendere in base al loro valore sul mercato e agli utili che possono ricavarne (Corte giust. 12 aprile 2018, causa C- 302/17, PPC Power a.s., punto 24; 17 ottobre 2013, cause C- 566/11, 567/11, 580/11, 591/11, 620/11 e 640/11, Iberdrola, punti 47, 49 e 55).
2.- Pur essendo destinati alla circolazione, tuttavia, i certificati Co2 non sono riducibili a titoli di credito, in quanto non conferiscono il diritto a una specifica prestazione (ex art. 1992 c.c.), riannodabile a un rapporto obbligatorio; né ne è determinabile il valore economico, destinato a emergere soltanto nel corso della negoziazione.
2.1.- Non se ne può prospettare neanche l’accostamento ai titoli di legittimazione e ai titoli impropri: anche questi titoli comunque evocano rapporti contrattuali o comunque obbligatori, che nel caso in esame mancano.
2.2.- Ancora, i certificati non possono essere qualificati come titoli rappresentativi di merci: mentre a norma dell’art. 1996 c.c. questi titoli «…attribuiscono al possessore il diritto alla consegna delle merci che sono in essi specificate, il possesso delle medesime e il potere di disporne mediante trasferimento del titolo», il certificato Co2 non trasferisce affatto il potere di disporre del bene energia, o il possesso di essa o il diritto di ottenerne la consegna; esso si limita, si è visto, a conferire il diritto di emissione sopra specificato, traducendosi in definitiva nella relativa autorizzazione.
2.3.- Si è poi prospettato in dottrina l’inquadramento dei certificati in questione nel novero degli strumenti finanziari, che potrebbe trovare un aggancio nel diritto sopravvenuto, anche se inapplicabile ratione temporis nel caso in esame.
Difatti, l’art. 1, lett. p) del d.lgs. 3 agosto 2017, n. 129, che ha attuato la direttiva n. 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, così come modificata dalla direttiva n. 2016/1034/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 giugno 2016, e ha adeguato la normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 648/2012, come successivamente modificato, nel disporre la sostituzione dei commi 2 e 2-bis dell’art. 1 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, ha introdotto un nuovo comma 2, a norma del quale:
«2. Per “strumento finanziario” si intende qualsiasi strumento riportato nella Sezione C dell’Allegato I. Gli strumenti di pagamento non sono strumenti finanziari»; e il numero 11 della sezione C dell’allegato I appunto è relativo alle «quote di emissioni che consistono di qualsiasi unità riconosciuta conforme ai requisiti della direttiva 2003/87/CE (sistema per lo scambio di emissioni)».
Il dato normativo, per quanto inapplicabile nella controversia in questione, non è significativo.
Anzitutto l’obiettivo del diritto unionale espresso dalla direttiva n. 2014/65/UE (c.d. direttiva MIFID II) con l’inserimento dei certificati in questione nel novero degli strumenti finanziari è indirizzato a rafforzare l’integrità e salvaguardare il buon funzionamento di tali mercati, mediante anche un’ampia vigilanza dell’attività di scambio, in considerazione di una «serie di pratiche fraudolente che potrebbero compromettere la fiducia nel sistema di scambio di quote di emissioni» (considerando n. 11 della direttiva).
Soprattutto, risulta dalle linee guida espresse dal comitato consultivo Iva nel corso della riunione dell’8 luglio 2016 (taxud c.1 20166526943-910) che la definizione delle quote di emissione introdotte dalla direttiva n. 2003/87/CE come strumenti finanziari alla luce della direttiva MiFID II non influenza la disciplina Iva a essi applicabile e, pertanto, non comporta l’applicazione delle disposizioni Iva previste per gli strumenti finanziari.
3.- Per quanto difficile sia l’inquadramento del certificato nelle categorie generali, comunque i suoi connotati essenziali consentono di qualificarlo come bene immateriale, benché non ne presenti le caratteristiche di originalità, propria della creazione o dell’idea, e di riproducibilità, propria dei beni immateriali protetti.
È quanto ha stabilito la giurisprudenza unionale.
3.1.- La Corte di giustizia, difatti, pur dando conto del fatto che il trasferimento di quote di emissioni di gas a effetto serra non corrisponde ad alcuna delle fattispecie previste dall’art. 56, paragrafo 1, lett. a) della direttiva n. 2006/112 (corrispondente all’art. 9, paragrafo 2, lett. e) della sesta direttiva), tutte riconducibili alla proprietà intellettuale, ne ha comunque evidenziato le analogie, peraltro con pronuncia successiva alla data di riunione del comitato consultivo dell’8 luglio 2016 sopra indicata.
E ciò perché, ha chiarito, le quote di emissione e i diritti a emetterle «sono immateriali, conferiscono al loro titolare un diritto di carattere esclusivo e possono essere trasferiti a terzi, a seconda dei casi, per effetto di cessione o concessione, volta a consentire ai terzi stessi di utilizzarli ai fini di un’attività economica. Inoltre, analogamente a taluni di tali diritti che sono soggetti a registrazione, la detenzione e il trasferimento di dette quote sono oggetto, ai sensi dell’articolo 19 della direttiva 2003/87, di un’iscrizione in un registro» (Corte giust. 8 dicembre 2016, causa C-453/15, punto 22).
3.2.- Sicché, ha concluso, l’art. 56, paragrafo 1, lettera a), della direttiva Iva va interpretato nel senso che gli «altri diritti analoghi» includono le quote di emissione di gas a effetto serra. E, come correttamente ha sottolineato l’Agenzia, l’art. 3, 2° co., n. 2 del d.P.R. n. 633/72 qualifica come prestazioni di servizi, oltre a quelle relative ai diritti d’autore, ai diritti relativi a modelli o disegni industriali, anche le cessioni relative a diritti o a beni similari ai precedenti.
4.- La rilevanza della cessione dei certificati, con riguardo al criterio della sostanza economica, evidenzia, allora, l’erroneità della ricostruzione della sentenza impugnata, che ne ha ravvisato l’accessorietà all’attività di produzione/distribuzione di energia.
Per il diritto unionale, difatti, ciascuna operazione dev’essere di regola considerata autonoma e indipendente, a meno che non si tratti di un’operazione unica sotto il profilo economico, che non possa che essere soltanto artificialmente divisa in più parti (Cass., sez. un., 16 febbraio 2018, n. 3872, che dà conto della giurisprudenza unionale sul punto).
4.1.- Il che è da escludere nel caso in esame, in considerazione del rilievo strategico correlato, in sé, alla cessione dei certificati verdi, nel quadro della direttiva n. 2003/87/CE. A questa cessione, quindi, autonoma prestazione di servizi, va applicata l’aliquota Iva ordinaria.
5.- Ne derivano l’accoglimento del ricorso, con la cassazione della sentenza impugnata, e il rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, che affronterà le questioni rimaste assorbite, delle quali dà conto il controricorso e i profili sanzionatori sui quali si diffonde la società in memoria, e regolerà le spese, applicando il seguente principio di diritto:
“In tema di Iva, posto che il certificato Co2 va qualificato come bene immateriale, la relativa cessione è assimilata a una prestazione di servizi, la quale in conseguenza sconta l’aliquota ordinaria dell’Iva“.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.
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