CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 ottobre 2019, n. 25493
Tributi – Contenzioso tributario – Implicita affermazione della giurisdizione nella decisione di primo grado – Rilievo officioso del difetto di giurisdizione in appello – Ricorso per cassazione – Giudice tributario munito di “potestas iudicandi” – Determinabilità da parte della Cassazione – Fondamento – Giudicato implicito sulla giurisdizione – Giudicato interno – Ostatività
Fatti di causa
Emerge dalla narrativa della sentenza che la contribuente utilizza energia elettrica nell’ambito delle proprie attività produttive e che ha versato le somme rispettivamente indicate in atti a titolo di addizionale provinciale sull’energia elettrica, a norma dell’art. 6, 1° co., lett. e), del d.l. n. 511/88, come convertito dalla I. n. 20/89, in seguito abrogata. Successivamente, espone il giudice d’appello, la società ha presentato all’Agenzia delle dogane un’istanza di rimborso, per contrasto della norma che prevede(va) l’addizionale con l’art. 1, paragrafo 2, della direttiva n. 2008/118/Ce, ricevendone diniego.
La contribuente l’ha impugnato, senza esito in primo grado, in quanto la Commissione tributaria provinciale di Frosinone, pur riconoscendo la legittimazione attiva della contribuente, ne ha rigettato il ricorso, in base alla considerazione che il rimborso dell’accisa spetta soltanto al fornitore di energia, soggetto obbligato al pagamento dell’imposta.
Il giudice d’appello ha, invece, d’ufficio, esaminato la questione di giurisdizione in ordine alla domanda e l’ha declinata, in quanto ha ritenuto sussistente quella del giudice ordinario.
Contro questa sentenza la società propone ricorso per ottenerne la cassazione, che affida a un unico motivo, che illustra con memoria, cui l’Agenzia replica con controricorso.
Ragioni della decisione
1.- Con l’unico motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1 co., n. 1, c.p.c., la società lamenta l’erroneità della sentenza impugnata, in quanto sostiene che la giurisdizione sulla domanda di rimborso delle accise e delle addizionali indebitamente pagate spetti al giudice tributario, dovendo prescindere dalla distinta questione della soggettività passiva del tributo.
1.1.- La questione di giurisdizione è stata affrontata e risolta d’ufficio dal giudice d’appello.
Sicché la Commissione tributaria regionale si è posta in contrasto col consolidato principio affermato dalle sezioni unite di questa Corte (si veda, in particolare, Cass., sez. un., 22 aprile 2013, n. 9693), secondo cui, poiché ogni statuizione di merito comporta una pronuncia implicita sulla giurisdizione, il giudice dell’impugnazione non può riesaminare d’ufficio quest’ultima, in assenza di specifico gravame sul punto, ed è irrilevante che nella sentenza d’appello la questione di giurisdizione sia stata egualmente trattata.
1.2.- La regola della rilevabilità d’ufficio delle questioni, in ogni stato e grado del processo, va difatti coordinata con i principi che governano il sistema delle impugnazioni, nel senso che essa opera solo quando sulle suddette questioni non vi sia stata una statuizione anteriore; ove questa vi sia, invece, stata, i giudici delle fasi successive possono conoscere delle questioni stesse solo se e in quanto esse siano state riproposte con l’impugnazione, posto che altrimenti si forma il giudicato interno che ne preclude l’esame (tra varie, Cass., ord. 22 settembre 2017, n. 22207).
2.- La questione dell’intervenuto giudicato interno sulla giurisdizione tributaria può essere esaminata in questa sede perché veicolata dal motivo d’impugnazione, che coinvolge appunto la questione di giurisdizione.
2.1.- La mera prospettazione della questione di giurisdizione, difatti, consente a questa Corte di accertare il consolidamento in capo al giudice tributario del potere di giudicare per effetto della formazione a suo beneficio di un giudicato implicito sulla relativa attribuzione, e quindi senza che venga statuita la cogenza di quest’ultima alla stregua del quadro normativo (così Cass., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24150).
2.2.- Sarebbe stata difatti d’ostacolo a tale rilievo del giudicato interno in questa sede soltanto la pronuncia del giudice di secondo grado che avesse deciso, pur se implicitamente, sull’esistenza o meno del suddetto giudicato: soltanto in tal caso la pronuncia non si sarebbe potuta rimuovere se non per effetto di espressa impugnazione (Cass., ord. 21 febbraio 2019, n. 5133).
3.- Il ricorso va quindi accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Commissione tributario regionale del Lazio in diversa composizione, affinché decida il merito della vicenda e regoli le spese.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.
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