CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 ottobre 2019, n. 25587

Rapporto di lavoro subordinato domestico – Differenze retributive – Inclusione nella base di calcolo dell’indennità di vitto e alloggio

Fatti di causa

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza pubblicata il 7 luglio 2015, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato A, M. Di V. a corrispondere a V. M. D. ed a V. R. la somma di euro 10.250,93 ciascuno, oltre accessori, per differenze retributive maturate in relazione a rapporti di lavoro subordinato domestico intercorsi tra le parti e quantificate sulla base di una CTU disposta in grado d’appello.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente con 3 motivi, illustrati anche da memoria ex art. 378 c.p.c., cui hanno resistito gli intimati con unico controricorso.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 228 c.p.c. “in relazione alla confessione resa dai ricorrenti in sede di interrogatorio formale deferito loro ed espletato nel giudizio di primo grado”.

Si eccepisce che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto della confessione giudiziale resa dagli attori con cui, in sede di interrogatorio formale, avevano ammesso che era stato pagata loro la 13° mensilità ed il TFR e che avevano fruito di ferie e di compenso sostitutivo.

La censura non è meritevole di accoglimento perché, oltre a contestare le risultanze di un interrogatorio formale sommariamente riportato nel ricorso per cassazione, non ha valore decisivo rispetto alla effettiva ratio decidendi atteso che le differenze retributive sono state riconosciute non perché gli emolumenti per i suddetti titoli non fossero stati pagati ma perché non lo erano stati nella misura dovuta, anche per l’inclusione nella base di calcolo dell’indennità di vitto e alloggio, così come accertato da una consulenza tecnica d’ufficio.

2. Con il secondo mezzo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., ex art. 360 n. 3 c.p.c., per avere riconosciuto le somme richieste dai lavoratori “in totale spregio alle risultanze probatorie sia dell’interrogatorio formale sia delle testimonianze assunte in primo grado”.

Il motivo è inammissibile perché la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c. non è dedotta in conformità dell’insegnamento nomofilattico secondo cui essa “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre” (v. Cass. n. 11892 del 2016; sulla modalità di deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c. v. pure, in motivazione, n. 16598 del 2016; e in tema cfr. altresì Cass. n. 20382 del 2016 e Cass. n. 4699 del 2018).

3. Con il terzo motivo è denunciato “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 16 CCNL Lavoro Domestico ex art. 360 n. 5 c.p.c.”: ci si lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto che i V. non avessero fruito di una ulteriore mezza giornata di riposo compensativo in difformità di quanto ritenuto dal primo giudice.

Il motivo è inammissibile in quanto la doglianza tende ad una inammissibile rivalutazione del giudizio circa la fruizione o meno dei riposi che è chiaramente una quaestio facti affidata al sovrano apprezzamento del giudice di merito, travalicando i limiti imposti ad ogni accertamento di fatto dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., come interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici) di cui parte ricorrente non tiene adeguato conto.

4. Conclusivamente il ricorso va respinto, con spese liquidate secondo soccombenza come da dispositivo, con distrazione all’Avv. Di Stefano dichiaratosi antistatario.

Occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 3.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%, con attribuzione.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.