CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 dicembre 2019, n. 32385
Accertamento di un rapporto di lavoro subordinato – Assoggettamento gerarchico, eterodirezione, potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro – Riferimento a materiali istruttori, sia acquisiti che quelli non ammessi – Ricostruzione affidata al sovrano apprezzamento del giudice di merito
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Torino, con sentenza pubblicata il 28 ottobre 2016, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da M.A.M. volto all’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato asseritamente intercorso con la W. GHS snc di T.T. e C. relativamente al periodo dal 22.12.2012 al 7.4.2013 in cui aveva svolto l’attività di maestro di sci.
2. La Corte, conformemente al primo giudice, ha escluso – in sintesi – che nella specie ricorressero gli elementi significativi della subordinazione “quale assoggettamento gerarchico, in posizione di eterodirezione, al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, seppure in forma attenuata e meno penetrante trattandosi di attività didattica”.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con 4 motivi; non ha svolto attività difensiva l’intimata società.
Ragioni della decisione
1. I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati.
Con il primo motivo di ricorso si denuncia “violazione e falsa applicazione della legge 8 marzo 1991 n. 81 (legge quadro per la professione di maestro di sci) con riferimento al rapporto di lavoro subordinato”: si lamenta che la Corte territoriale erroneamente sarebbe giunta ad affermare “che la nominata professione non possa essere riconducibile al novero di un’attività di lavoro subordinato, ma possa essere unicamente svolta come <libera professione>” e ci si duole che la stessa Corte abbia ignorato taluni indici significativi della subordinazione.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della normativa regionale afferente l’istituzione delle scuole di sci, lamentando che la Corte torinese avrebbe ingiustificatamente attribuito alla GHS la qualità di “scuola di sci” pur mancando dei requisiti richiesti.
Con il terzo mezzo si denuncia “nullità della sentenza o del procedimento con riferimento al rigetto delle domande istruttorie formulate (artt. 420 – art. 244 c.p.c.)”: si sostiene che “se la Corte di Appello avesse ammesso i mezzi istruttori richiesti e avesse provveduto ad escutere correttamente i testi indicati avrebbero potuto confermare la circostanza relativa all’orario lavorativo, dell’inizio del turno di lavoro, la durata dell’attività e la cadenza quotidiana”.
L’ultimo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 420 e 117 c.p.c., in relazione agli artt. 228 e 229 c.p.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”; ci si duole che la Corte di Appello abbia “omesso di considerare il contenuto decisivo di quanto affermato dalle parti in sede di interrogatorio libero, estrapolando dal contesto affermazioni del ricorrente, travisandole e snaturandole completamente” ed attribuendo ad esse un valore confessorio.
2. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente per reciproca connessione, non possono trovare accoglimento.
Premesso che la Corte territoriale non ha affatto affermato che la professione di maestro di sci non possa essere svolta nelle forme del lavoro subordinato (primo motivo), avendo anzi esplicitamente considerato in sentenza “che anche l’attività lavorativa prestata da un libero professionista in favore di una organizzazione imprenditoriale può dare luogo tanto ad un rapporto di lavoro autonomo quanto ad un rapporto di lavoro subordinato in relazione alle modalità del suo svolgimento”, e che la definizione di “scuola di sci” in capo alla società convenuta in giudizio (secondo motivo) non ha alcun rilievo realmente decisivo nel complesso della motivazione impugnata, nella sostanza la parte ricorrente lamenta che i giudici del merito non avrebbero ravvisato nella vicenda storica sottoposta al loro giudizio gli elementi sintomatici della subordinazione.
Ciò tuttavia fa trascurando di considerare che in tal modo invoca una rivalutazione della ricostruzione fattuale operata dai giudici ai quali compete, anche attraverso il riferimento a materiali istruttori (sia quelli acquisiti che quelli non ammessi); ricostruzione che è invece affidata al sovrano apprezzamento del giudice di merito e così il ricorrente travalica i limiti imposti ad ogni accertamento di fatto dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., come interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014. Principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite (v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici) di cui l’istante non tiene alcun conto, tanto da richiamare la formulazione del n. 5 della disposizione richiamata non più vigente. Orbene, secondo questa Corte la valutazione delle risultanze processuali che inducono il giudice del merito ad includere un rapporto controverso nello schema contrattuale del rapporto di lavoro subordinato o autonomo costituisce accertamento di fatto, per cui è censurabile in Cassazione solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto (Cass. n. 13202 del 2019; Cass. n. 332 del 2018; Cass. n. 17533 del 2017; Cass. n. 14434 del 2015; Cass. n. 4346 del 2015; Cass. n. 9808 del 2011; Cass. n. 23455 del 2009; Cass. n. 26896 del 2009). Rispetto al convincimento coerentemente espresso dai giudici del merito non si può ricorrere per cassazione come il M. A. al fine di opporre un diverso convincimento, criticando la sentenza impugnata per aver dato credito a talune circostanze, che si assumono ciascuna priva di valore significativo, piuttosto che ad altre, ritenute al contrario più rilevanti. In particolare, tanto più in giudizi nei quali la decisione è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi, tutti concorrenti a supportare la prova del fatto principale, il ricorrente non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, pur in possibile o probabile corrispondenza alla realtà fattuale, poiché è necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile (per tutte, sui limiti del sindacato di legittimità in tema di subordinazione, v. Cass. n. 11015 del 2016; successive conformi: v. Cass. n. 9157 del 2017; Cass. n. 9401 del 2017; Cass. n. 25383 del 2017).
Per di più l’istante non tiene neanche conto che il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, anche laddove mascherato sotto l’involucro solo formale della violazione di legge, per i giudizi di appello instaurati dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n. 134, di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, non può essere denunciato, rispetto ad un appello promosso nella specie il 23 giugno 2015 dopo la data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83/2012), con ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in base al quale il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014).
4. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile; nulla per le spese in difetto di attività difensiva della società intimata.
5. Occorre invece dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.
E’ noto che, secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte, il ricorrente in cassazione ammesso al patrocinio a spese dello Stato non è tenuto al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (cfr. Cass. n. 18523 del 2014; Cass. n. 7368 del 2017; Cass. n. 13935 del 2017; contra: Cass. n. 9660 del 2019).
Tuttavia nella specie risulta che il M. A. è stato ammesso al gratuito patrocinio dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino in data 19 novembre 2013 in relazione al giudizio di primo grado.
Dopo il rigetto del suo ricorso da parte del Tribunale adito il soccombente avrebbe dovuto proporre nuova istanza di ammissione al beneficio per la successiva fase (cfr. Cass. n. 11470 del 2019), in quanto, a mente dell’art. 120 del d.P.R. n. 115 del 2002, “La parte ammessa rimasta soccombente non può giovarsi dell’ammissione per proporre impugnazione, salvo che per l’azione di risarcimento del danno nel processo penale”.
Non risulta che tale istanza sia stata proposta né per l’appello, né tanto meno per il presente giudizio di cassazione dopo il rigetto dell’appello.
Il difensore di M.A.M. si è limitato a depositare innanzi a questa Corte “istanza per estensione del gratuito patrocinio … anche nel presente grado del giudizio”.
Trattasi di richiesta inammissibile non avendo questa Corte competenza in materia di ammissione al gratuito patrocinio così come non la ha per la liquidazione degli onorari al difensore della parte già ammessa (cfr. Cass. n. 22616 del 2004; Cass. n. 11208 del 2009; Cass. n. 13806 del 2018);
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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