CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 dicembre 2019, n. 32386

Insegnanti di ruolo – Riconoscimento dell’anzianità di servizio e dell’attività di insegnamento – Scuole paritarie -Inquadramento e trattamento economico

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Trento, con la sentenza n. 59/13, ha accolto l’impugnazione proposta dalla Provincia autonoma di Trento nei confronti di C.R., D.T.C., D.A., M.C., S.N., S.M., avverso la sentenza pronunciata tra le parti dal Tribunale di Trento.

2. Il Tribunale era stato adito da C.R., D.T.C., D.A., M.C., S.N., S.M., insegnanti di ruolo in scuole di secondo grado alle dipendenze della Provincia autonoma di Trento, che chiedevano l’accertamento del proprio diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio e dell’attività di insegnamento svolta presso “scuole paritarie” a far data dal 2000, con ogni effetto conseguente sull’inquadramento e sul trattamento economico, previa disapplicazione dei decreti con i quali il datore di lavoro aveva ricostruito la carriera annullando i precedenti decreti con i quali erano stati riconosciuti invece validi gli anni pre-ruolo successivi al 2000.

Chiedevano, quindi, che la Provincia autonoma di Trento venisse condannata al ripristino del trattamento economico, giuridico e assistenziale già in godimento, con corresponsione di arretrati ove dovuti e restituzione di eventuali trattenute nel frattempo effettuate ai fini del recupero dell’asserito indebito.

3. Il giudice di primo grado annullava i decreti del febbraio – marzo 2011, ed accertava che le ricorrenti avevano l’anzianità di servizio che gli era stata riconosciuta inizialmente con conseguente illegittimità di ogni riduzione stipendiale e di ogni pretesa restitutoria.

4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorrono le lavoratrici prospettando tre motivi di impugnazione.

5. Resiste la Provincia autonoma di Trento con controricorso.

6. All’adunanza camerale del 10 ottobre 2018, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo per essere trattata nella stessa udienza con altri ricorsi che presentavano analoghe questioni, ed è stata poi fissata all’odierna udienza pubblica.

7. In prossimità dell’udienza pubblica, le lavoratrici hanno depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. In via preliminare, è opportuno richiamare l’iter argomentativo della sentenza di appello oggetto dell’odierna impugnazione.

1.1. La Corte d’Appello ha individuato il thema decidendum del giudizio, così qualificando la domanda, nell’accertamento della legittimità o meno della ricostruzione delle carriere delle insegnanti effettuata dall’Amministrazione, in ragione del doversi o meno tenere conto del servizio pre-ruolo prestato presso scuole paritarie private.

In tal modo, ha disatteso l’affermazione del Tribunale che la fattispecie andava inquadrata nello schema della ripetizione dell’indebito, e in particolare nell’ipotesi di condicio indebiti ob causam finitam, facendo applicazione dei principi relativi all’indebito oggettivo sussistendo una questione di annullamento del contratto per errore.

Tale questione, espone il giudice di secondo grado, peraltro, era stata svolta dalle ricorrenti solo nelle note conclusive del giudizio di primo grado, nelle quali ribadivano la richiesta di disapplicazione dei provvedimenti impugnati in ragione del riconoscimento del servizio preruolo.

Il giudice di appello ha chiarito che solo in via subordinata era stata posta dalle ricorrenti la questione della ripetibilità dell’indebito.

La richiesta di restituzione delle somme percepite era stata effettuata dalla Provincia autonoma di Trento a seguito della rideterminazione della ricostruzione della carriera, in relazione all’anzianità di servizio delle dipendenti, e non in ragione dell’annullamento unilaterale del contratto di lavoro o di alcune clausole dello stesso.

Non si verteva, pertanto, in tema di annullamento di clausola contrattuale.

1.2. La ripetizione dell’indebito costituiva atto dovuto atteso che il d.lgs. n. 297 del 1994, che prevede la valutazione del servizio pre-ruolo con riguardo al servizio prestato presso le scuole pareggiate non poteva trovare applicazione.

Né ciò poteva discendere dalla legge n. 62 del 2000 che aveva disciplinato gli istituti paritari.

1.3. In ordine al mancato riconoscimento del servizio pre-ruolo la Corte d’Appello ha affermato quanto segue.

La legge n. 62 del 2000 non aveva disciplinato il riconoscimento del servizio pre-ruolo ai fini della ricostruzione della carriera presso scuole non statali.

Tale riconoscimento non poteva discendere dalla dicotomia scuole paritarie, scuole non paritarie, né dalla previsione dell’art. 2, comma 2, del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 255, conv. dalla legge n. 332; del 2001.

Infatti, tale ultima disposizione aveva sancito una uniformità di valutazione dei servizi di insegnamento prescritti nelle scuole paritarie e statali, ma ciò non in via generale, ma in relazione alla specificità dell’inserimento degli insegnanti nelle graduatorie finalizzate all’avvio dell’anno scolastico.

La disciplina regolatrice della fattispecie era costituita dall’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, che non poteva estendersi al personale docente degli istituti secondari paritari.

Pertanto, correttamente la Provincia aveva escluso la riconoscibilità dell’insegnamento prestato dopo il 2000 presso le scuole paritarie private.

1.4. La non riconoscibilità dell’errore compiuto dalla Provincia autonoma di Trento, dedotto dalle ricorrenti, era privo di rilievo, atteso che la ripetibilità delle somme in questione erogate in ragione dell’erroneo computo dell’anzianità di servizio non poteva essere esclusa per la buona fede dell’accipiens, poiché l’art. 2033 cod. civ. riguarda solo la restituzione dei frutti e degli interessi, e la natura del rapporto escludeva l’applicabilità della regola della non ripetibilità delle somme percepite in buona fede e destinate al soddisfacimento delle normali necessità di vita.

2. Tanto premesso, può passarsi ad esaminare i motivi di ricorso.

3. Con il primo motivo di ricorso è dedotto error in iudicando ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.: per falsa applicazione di norme di diritto, e segnatamente degli artt. 1429-1431 cod. civ., e dell’articolo unico della legge n. 576 del 1970, concernente il riconoscimento del servizio prestato prima della nomina in ruolo del personale insegnante e non insegnante delle scuole di istruzione elementare, secondaria e artistica; per errata, travisata ed omessa applicazione al caso de quo delle norme civilistiche in tema di annullamento per errore nel contratto, dovendosi considerare il decreto di inquadramento con il quale la PA ricostruisce la carriera delle lavoratrici, alla stregua di un contratto di lavoro, e comunque parte integrante di esso, determinandone il contenuto economico e giuridico.

3.1. Assumono le ricorrenti che la sentenza di appello ha fatto falsa applicazione della disciplina civilistica in tema di errore nel contratto, in ragione di una errata lettura della sentenza di primo grado.

Il Tribunale aveva affermato che il giudizio verteva sulla ripetizione di indebito, nella specie corresponsione di maggiore retribuzione, trovando, pertanto, applicazione la giurisprudenza in materia.

La ripetizione poteva intervenire in presenza della prova da parte del datore di lavoro della invalidità della propria volontà di derogare al meglio, e dunque della sussistenza di un errore essenziale e riconoscibile da parte del lavoratore.

Nella specie, tale evenienza non si era verificata.

La Provincia aveva riconosciuto la maggiore retribuzione in ragione dell’anzianità di servizio attribuita alle lavoratrici con i decreti del 2007-2009.

La Provincia, nei decreti del 2011, oggetto di impugnazione, ammetteva di aver commesso un errore nella determinazione dell’anzianità di servizio, e in ragione di ciò chiedeva la restituzione di quanto attribuito.

Le ricorrenti sino alla notificazione dei decreti, intervenuta nel 2011, avevano percepito la retribuzione in assoluta buona fede, facendo affidamento sui decreti del 2007-2009.

Le stesse, insegnanti in materie umanistiche-letterarie, non erano in condizione di riconoscere errori di diritto.

A fronte di un’anzianità pari a circa 20-25 anni e tenuto conto della retribuzione percepita, potevano considerarsi soggetto debole o modesto consumatore in contrasto con quanto affermato dalla Corte d’Appello in relazione alla ripetibilità dell’indebito ex art. 2032 cod. civ.

3.2. L’Amministrazione, come sarebbe stato informalmente convenuto in sede di assunzione, dopo aver richiamato il contratto individuale di lavoro e il superamento del patto di prova, aveva riconosciuto l’anzianità maturata presso scuole paritarie a partire dal 2000 in ragione della legge n. 62 del 2000.

I provvedimenti di inquadramento in ruolo e ricostruzione della carriera del 2007-2009 costituivano non atti autoritativi, ma elementi integrativi ed essenziali del contratto di lavoro, come confermato dalla impugnabilità dinanzi al giudice ordinario, che opera il proprio sindacato alla luce dei vizi della patologia negoziale.

Ed infatti, ai sensi dell’art. 6 del dPR n. 345 del 1983, la carriera ed anzianità dell’insegnante viene computata mediante la temporizzazione del valore economico maturato nel ruolo di provenienza, e di conseguenza l’insegnante è collocato nella classe o posizione stipendiale corrispondente.

Dopo il periodo di prova si può chiedere il riconoscimento di tutti i servizi di ruolo e pre-ruolo, ex lege n. 576 del 1970.

La Corte d’Appello erroneamente aveva disconosciuto la natura contrattuale dei decreti di inquadramento, assumendo che l’errore non riconoscibile in essi contenuto non avesse rilievo ai fini dell’applicabilità degli artt. 1428-1431 cod. civ.

4. Con il secondo motivo di ricorso è prospettato error in iudicando ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per omesso esame circa un fatto controverso tra le parti e decisivo ai fini del decidere, riguardante la natura contrattuale dei decreti di ricostruzione della carriera ed attribuzione ai fini economici e giuridici dell’anzianità di servizio.

Il giudice di appello non aveva esaminato la natura dei decreti di inquadramento che invece il Tribunale aveva qualificato quale integrazione del contratto di lavoro. Ed infatti a seguito dei decreti in questione le ricorrenti non avevano dovuto sottoscrivere un nuovo contratto di lavoro.

Né rilevava la mancata produzione degli stessi, atteso che la propria impostazione difensiva era volta a dedurne la natura di atti gestionali a valenza contrattuale in relazione al tema dell’errore non riconoscibile.

5. Con il terzo motivo di ricorso è prospettato error in iudicando ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per fa sa applicazione al caso de quo della legge n. 62 del 2000, e del sistema nazionale di istruzione comprensivo delle scuole statali e delle scuole paritarie.

Erroneamente, e in contrasto con lo spirito della legge n. 62 del 2000, la Corte d’Appello ha ritenuto che, in mancanza di una espressa previsione, il riconoscimento degli istituti paritari a tutti gli effetti debba essere limitato alla sola natura dell’istruzione e non anche al rapporto di lavoro scuola/insegnante, mentre invece la qualità del servizio di istruzione erogato dall’istituzione scolastica paritaria deve essere considerata alla stregua di quello assicurato dalla scuola statale.

La sentenza di appello afferma, inoltre, che la legge n. 333 del 2001, all’art. 2, comma 2, ha previsto un’uniformità di valutazione dei servizi di insegnamento prestati nelle scuole paritarie, ma ciò avrebbe fatto non in via generale, ma in relazione alla specificità dell’inserimento degli insegnanti nelle graduatorie finalizzate all’avvio dell’anno scolastico.

Anche in questo caso l’interpretazione della norma è stata effettuata con portata limitativa al solo anno di riferimento, mentre appare plausibile che il citato art. 2, successivo di poco alla legge n. 62 del 2000, abbia recepito il principio della parità scolastica, applicandola anche al rapporto di lavoro scuola/insegnante, con ciò confermando il diritto delle ricorrenti al riconoscimento del servizio pre-ruolo prestato dopo il 2000, e fino all’assunzione alle dipendenze della Provincia autonoma di Trento, presso le scuole paritarie private.

Non condivisibile è anche l’assunto della Corte d’Appello che ha inteso ravvisare nell’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, non rientrante nelle norme abrogate dalla novella del 2000, l’unica regola che disciplina la riconoscibilità del servizio pre-ruolo, con riguardo a istituti scolastici diversi.

Tale norma infatti si riferisce alle scuole pareggiate, che non possono essere ritenute equipollenti alle scuole paritarie.

In ogni caso, volendo ritenere applicabile detta norma alle ricorrenti, andava riconosciuta alle stesse l’anzianità maturata.

6. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.

7. Preliminarmente va rilevato che è applicabile alla fattispecie l’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nel testo modificato dalla legge 7 agosto 2012 n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio di detto intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 n. 5, cod. proc. civ. ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria delle Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge.

Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, sicché quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perché non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.

Pertanto, sono inammissibili le censure sopra esposte riferite all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., non ravvisandosi nella sentenza di appello, in ragione del percorso motivazionale che ha tenuto conto degli atti di causa, le suddette lacune, e non potendosi in sede di legittimità procedere ad un riesame delle risultanze istruttorie.

In tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove,, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (cfr., Cass., n. 21187 del 2019).

8. Un profilo delle articolate censure (formulato, in particolare, con il primo motivo di ricorso) attiene alla riqualificazione della domanda operata dal giudice di appello nel senso della richiesta dalle lavoratrici di accertamento del diritto alla ricostruzione della carriera, computandovi l’anzianità del servizio pre-ruolo svolto dal 2000 presso scuole paritarie, come riconosciuto dai decreti di inquadramento del 2007-2009, con conseguente illegittimità dei decreti di rideterminazione dell’anzianità di servizio adottati nel 2011, ed insussistenza dell’indebito.

Lo stesso non è fondato.

Come si è sopra illustrato, le lavoratrici, nella censura, espongono che il thema decidendum, come sancito dal Tribunale, era l’accertamento della non ripetibilità dell’indebito, atteso che l’errore della Provincia autonoma di Trento che veniva posto alla base dei decreti del 2011 (da intendersi, secondo le ricorrenti, così come i decreti del 2007 e 2009, quali clausole negoziali integrative del contratto di lavoro), che avevano escluso la suddetta anzianità, era essenziale e non riconoscibile.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che in virtù del principio “iura novit curia” di cui all’art. 113, comma 1, cod. proc. civ., il giudice ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, nonché all’azione esercitata in causa, potendo porre a fondamento della propria decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purché i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame (Cass., n. 30607 del 2018, n. 8645 del 2018, n. 12943 del 2012).

Tale principio, va posto in immediata correlazione con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., in applicazione del quale è invece precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato.

Correttamente, in applicazione dei suddetti principi, la Corte d’Appello ha riqualificato la domanda, in ragione dei fatti come allegati e come contestati dalle parti in causa.

Ciò trova conferma in quanto riportato dalle stesse lavoratrici nel “fatto” del ricorso per cassazione (pag. 5 del ricorso), nel trascrivere lo svolgimento del giudizio di primo grado come riferito nella sentenza del Tribunale: «le professoresse C.R., D.T.C., D.A., M.C., S.N., S.M., tutte attualmente insegnanti di ruolo nelle scuole di secondo grado alle dipendenze della convenuta Provincia autonoma di Trento dagli anni 2005-2006-2007» «dette professoresse hanno adito questo giudice per sentir accertare il loro diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio e dell’attività di insegnamento svolte presso “scuole paritarie” a far data dal 2000, con ogni effetto conseguente sull’inquadramento e trattamento economico, giudico assistenziale e pensionistico da parte della Provincia, previa disapplicazione dei decreti (…)» di ricostruzione della carriera che, nel 2011, avevano annullato i predetti decreti in quanto erano stati riconosciuti erroneamente gli anni di servizio pre-ruolo prestati presso scuole paritarie.

I fatti allegati a sostegno della fattispecie giuridica prospettata nell’atto introduttivo coincidano con i fatti costitutivi della diversa fattispecie giuridica come riqualificata dal Giudice di appello rispetto al Tribunale.

9. Dunque, è preliminare l’esame, rispetto alle altre, della censura, come illustrata nei diversi motivi di ricorso, relativa alla computabilità o meno del servizio pre-ruolo presso scuole paritarie di secondo grado nella determinazione dell’anzianità di servizio del docente con rapporto di lavoro di impiego pubblico contrattualizzato, in sede di ricostruzione della carriera. Computabilità esclusa dalla Corte d’Appello di Trento.

10. La Costituzione (art. 33, terzo comma, Cost.) sancisce il diritto dei privati di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.

Essa (art. 33, secondo comma, Cost.) affida inoltre alla legge ordinaria il compito di fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, assicurando ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali.

10.1. Prima della legge 10 marzo 2000, n. 62, nell’ordinamento vi erano, accanto alle scuole statali, due tipologie di scuole private: quelle che non rilasciavano titoli di studio avente valore legale e quelle – parificate, pareggiate, legalmente riconosciute – che avevano tale legittimazione.

10.2. Occorre ricordare, in particolare, che il d.lgs,. n. 297 del 1994, nell’ambito dell’istruzione non statale, per l’istruzione secondaria, disciplinava oltre il riconoscimento legale, il pareggiamento.

Per la concessione del pareggiamento, occorreva, tra l’altro che le cattedre fossero occupate da personale nominalo, secondo norme stabilite con regolamento, in seguito ad apposito pubblico concorso, o che fosse risultato vincitore, o avesse conseguito la votazione di almeno sette decimi in identico concorso generale o speciale presso scuole statali o pareggiate o in esami di abilitazione all’insegnamento corrispondente, ovvero per chiamata, dal ruolo di scuole di pari grado, statali o pareggiate, ai sensi della lettera b) dell’articolo unico del regio decreto 21 marzo 1935, n. 1118.

L’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, al comma 1, stabiliva che: “Al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all’estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo. I diritti economici derivanti da detto riconoscimento sono conservati e valutati in tutte le classi di stipendio successive a quella attribuita al momento del riconoscimento medesimo”.

10.3. Con la legge n. 62 del 2000, il legislatore ha sancito che il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e pubbliche degli enti locali.

Si afferma (art. 1, secondo periodo, della legge n. 62 del 2000) che «La Repubblica individua come obiettivo prioritario l’espansione dell’offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita».

Le scuole paritarie costituiscono, insieme alle scuole statali, il sistema nazionale di istruzione, secondo un modello pluralistico integrato.

La parità è riconosciuta alle scuole non statali che ne fanno richiesta e che siano in possesso dei requisiti stabiliti dalla legge, tra cui: personale docente fornito del titolo di abilitazione; contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettino i contratti collettivi nazionali di settore.

10.4. Questa Corte, con la sentenza n. 4080 del 2018. ha affermato, in tema di scuole private riconosciute, che, ai sensi dell’art. 1, commi 4 e 6, della legge n. 62 del 2000 e degli artt. 3 e 6 della legge n. 86 del 1942, l’abilitazione all’insegnamento è requisito di validità del contratto di lavoro avente ad oggetto mansioni di insegnamento; ne consegue che il mancato possesso del titolo di abilitazione rende nullo il contratto a termine concluso con una scuola paritaria e, pur accertata la illegittimità del termine, ne preclude la trasformazione in contratto a tempo indeterminato.

Le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico e sono soggette alla valutazione dei processi e degli esiti da parte del sistema nazionale, secondo standard stabiliti dalla legge; a queste condizioni la scuola paritaria è abilitata al rilascio dei titoli di studio (Corte cost., n. 220 del 2007, n. 242 del 2014).

11. Successivamente, il decreto-legge n 255 de 2001, conv. dalla legge n. 333 del 2001, nel dettare “Disposizioni urgenti per assicurare l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2001/2002”, ha stabilito che nell’integrazione delle graduatorie permanenti, i servizi di insegnamento prestati dal 1° settembre 2000 nelle scuole paritarie sono valutati nella stessa misura prevista per il servizio prestato nelle scuole statali.

12. Interveniva, quindi, l’art. 1 – bis del d.l. n. 250 del 2005, convertito dalla legge n. 27 del 2006, che sanciva come le scuole non statali di cui alla parte II, titolo VIII, capi I, II e III, del testo unico di cui al d. Igs. n. 297 del 1994, sono ricondotte alle due tipologie di scuole, scuole paritarie riconosciute ai sensi della legge 10 marzo 2000, n. 62, e scuole non paritarie.

13. L’attuale disciplina delle scuole paritarie si inserisce in una più ampia evoluzione del sistema scolastatico.

Nel tempo, l’attuazione dell’art. 33 Cost., ha visto, infatti, il legislatore modificare progressivamente un assetto organizzativo caratterizzato dal governo centrale della scuola, pervenendo, tra l’altro, ad una pluralità di centri di riferimento in ragione dell’affermazione dell’autonomia scolastica, e dell’integrazione tra scuola pubblica e scuola paritaria privata.

13.1. La Corte costituzionale ha avuto un ruolo significativo in materia, basti pensare alla pronuncia n. 42 del 2003 che ha dichiarato inammissibile la richiesta referendaria intervenuta su diverse diposizioni della legge n. 62 del 2000.

Il Giudice delle Leggi, nel ritenere inammissibile la richiesta di referendum ha affermato che «Le scuole paritarie, che, per effetto di una pronuncia popolare, si vorrebbero escludere dal sistema nazionale di istruzione, ne costituirebbero invece parte integrante alla stregua della disciplina più dettagliata che non è toccata dal quesito referendario. Ove si conformino ai prescritti standard qualitativi, esse non potrebbero infatti non concorrere, con le scuole statali e degli enti locali, al perseguimento di quello che la stessa legge definisce “obiettivo prioritario della Repubblica”, vale a dire “l’espansione della offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita”». (…) «il principio della esclusione dal sistema scolastico nazionale che si pretende di introdurre in via referendaria rende attiva una connotazione discriminatoria a carico delle scuole private, pur a fronte di una disciplina dettagliata che realizza un sostanziale regime di parità» (citata sentenza n. 42 del 2003).

13.2. La Corte costituzionale ha altresì affermato (sentenza n. 33 del 2005) che «la legge n. 62 del 2000, nel prevedere l’istituzione delle scuole paritarie, quali componenti del sistema nazionale di istruzione, ha altresì dettato un principio, valido per tutte le scuole inserite in detto sistema di istruzione, volto a rendere effettivo il diritto allo studio anche per gli alunni iscritti alle scuole paritarie, da essa disciplinate».

14. Senza dubbio il legislatore ha inteso riconoscere all’insegnamento svolto nelle scuole paritarie private lo stesso valore di quello che viene impartito nelle scuole pubbliche, garantendo un trattamento scolastico equipollente agli alunni delle une e delle altre, da intendere tale equipollenza non solo con riguardo al riconoscimento del titolo di studio, ma anche con riguardo alla qualità del servizio di istruzione erogato dall’istituzione scolastica paritaria.

Come già affermato dalle Sezioni Unite (Cass., S.U., n. 9966 del 2017) nel sistema così delineato, la scuola statale e quella paritaria devono garantire i medesimi standard qualitativi.

15. Tuttavia, ciò non dà luogo all’equiparazione del rapporto di lavoro che intercorre con la scuole paritaria, con quello instaurato in regime di pubblico impiego privatizzato, attesa la persistente non omogeneità dello status giuridico del personale docente, come si evince già dalla modalità di assunzione, che nel primo caso può avvenire al di fuori dei principi concorsuali di cui all’art. 97 Cost.

15.1. Sul punto è significativa la statuizione contenuta in Cass. n. 11595 del 6 giugno 2016, che ha affermato: «Va altresì rammentato che il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere totalmente assimilati (Corte cost., sentenze n. 120 del 2012 e n. 146 del 2008) e le differenze, pur attenuate, permangono anche in seguito all’estensione della contrattazione collettiva a una vasta area del lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, e che la medesima eterogeneità dei termini posti a raffronto connota l’area del lavoro pubblico contrattualizzato e l’area del lavoro pubblico estraneo alla regolamentazione contrattuale (Corte cost., sentenza n. 178 del 2015): in particolare i principi costituzionali di legalità ed imparzialità concorrono comunque a conformare la condotta della pubblica Amministrazione e l’esercizio delle facoltà riconosciutele quale datore di lavoro pubblico in regime contrattualizzato» (…) «D’altro canto la peculiarità del rapporto di lavoro pubblico, rinviene la sua origine storica, non solo nella natura pubblica del datore di lavoro, ma nella relazione che sussiste tra la prestazione lavorativa del dipendente pubblico e l’interesse generale, tutt’ora persistente anche in regime contrattualizzato».

16. Non sussiste quindi, in mancanza di una norma di legge – come invece nella fattispecie di cui all’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 – la necessaria premessa della omogeneità delle posizioni professionali per pervenire al riconoscimento del servizio pre-ruolo prestato presso le scuole paritarie in via interpretativa.

Né è applicabile l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, in quanto attiene alla diversa fattispecie delle scuole pareggiate.

17. Argomenti a sostegno della tesi delle ricorrenti non possono trarsi neppure dalla disciplina dell’art. 2, comma 2, della legge n. 333 del 2001 e dall’art. 2 del decreto-legge n. 370 del 1970, come convertito dall’articolo unico della legge n. 576 del 1970.

La prima disposizione, infatti consente di valutare il servizio preruolo, ma sempre nell’ambito della procedura che disciplina la costituzione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato.

La seconda disposizione (si v., in particolare il comma 2), riprodotta dall’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 (si v., Cass., in. 1035 del 2014) prevede, ai fini giuridici ed economici, il riconoscimento, a favore del personale docente delle scuole elementari statali, del periodo di insegnamento pre-ruolo prestato, tra l’altro, nelle scuole materne statali o comunali, e dunque regola una fattispecie che esula da quella in esame (scuole secondarie paritarie).

Peraltro, un’interpretazione più ampia della norma (Corte cost., sentenza n. 228 del 1986, Cass., n. 1035 del 2014), richiederebbe un’omogeneità (si v. anche Cass. n. 16623 del 2012, relativa all’art. 1 del d.l. n. 370 del 1970), nella specie di status giuridico dei docenti, in mancanza della quale «una differenza di trattamento appare giustificata sul piano obiettivo e funzionale relativamente al complessivo sistema scolastico unitariamente considerato» (Cass. n. 16623 del 2012).

18. In ragione della infondatezza delle censure sin’ora esaminate, va esaminata il profilo di impugnazione relativo alla revocabilità dei decreti con cui era stata inizialmente disposta la ricostruzione della carriera, prospettata in particolare con il primo motivo di ricorso.

19. La censura non è fondata.

Anche se gli atti di gestione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato sono regolati da schemi di diritto privato, ciò non esclude che l’Amministrazione possa riesaminarli.

Osserva il Collegio che la Pubblica Amministrazione, nell’ambito dei rapporti di lavoro pubblico contrattualizzato, non può agire con gli istituti dell’autotutela, non potendo trovare applicazione, peraltro in mancanza di provvedimenti autoritativi, la legge n. 241 del 1990 (cfr. Cass., n. 15444 e n. 16088 del 2016).

Tuttavia, l’adozione da parte della Pubblica Amministrazione, nella gestione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, di un atto negoziale di diritto privato, con il quale venga attribuito al lavoratore un determinato trattamento economico, non è sufficiente di per sé, a costituire un diritto soggettivo in capo al lavoratore medesimo, poiché la misura economica deve trovare fondamento nella contrattazione collettiva, e si legittima in ragione della conformità a quest’ultima, diversamente incorrendo nel vizio di nullità per contrarietà a norme imperative (cfr., Cass., S.U., n. 21744 del 2009, Cass., n. 15444 del 2016).

Il più ampio contesto pubblicistico in cu si collocano i rapporti di lavoro stipulati dalla pubblica amministrazione iure privatorum, implica che per gli stessi operano i canoni di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione, quali criteri che devono conformare anche l’attività di diritto privato dell’Amministrazione, in ragione della persistenza anche in regime contrattualizzato di una significativa relazione tra la prestazione lavorativa del dipendente pubblico e l’interesse generale, insieme ai canoni della correttezza e della buona fede che caratterizzano le relazioni negoziali tra l’Amministrazione datore di lavoro e il lavoratore.

20. Infine, va esaminata la censura relativa alla dedotta mancanza delle condizioni per la restituzione dell’indebito.

La stessa non è fondata.

21. Occorre procedere ad un corretto inquadramento giuridico della fattispecie in esame, rilevando che l’indebito retributivo, per cui è causa, deve essere ricondotto nell’ambito dell’art. 2033 cod. civ., che stabilisce che chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda.

22. Con la sentenza n. 166 del 1996 la Corte costituzionale ha affermato che l’art. 2033 cod. civ., per se stesso, non è censurabile in riferimento ad alcun parametro costituzionale (nella specie erano invocati gli artt. 3 e 38, secondo comma, Cost.), essendo improntato al principio di giustizia che vieta l’arricchimento senza causa a detrimento altrui.

23. La giurisprudenza di legittimità (v., Cass., n. 8338 del 2010, n. 29926 del 2008) ha affermato che “in materia di impiego pubblico privatizzato, nel caso di domanda di ripetizione dell’indebito proposta da una amministrazione nei confronti di un proprio dipendente n relazione alle somme corrisposte a titolo di retribuzione, qualora, risulti accertato che l’erogazione è avvenuta sine titulo, la ripetibilità delle somme non può essere esclusa ex art. 2033 cc per la buona fede dell’accipiens, in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi“.

Con le sentenze n. 4230 del 2016 e n. 4086 del 2016, che richiamano la citata sentenza Cass. n. 8338 del 2010, questa Corte ha riaffermato il suddetto principio.

La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione del principio enunciato da questa Corte, con conseguente rigetto della esaminata censura.

24. Il ricorso deve essere rigettato.

25.  La complessità della questione e i diversi approdi della giurisprudenza di merito, inducono a compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

26. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.