CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 dicembre 2019, n. 32387
Procedura per riduzione del personale – Licenziamento – Sedi geograficamente non vicine a quella interessata dalla crisi – Comunicazione di avvio della procedura – Accordo sindacale
Fatti di causa
1. In data 28.10.2014 la “Ass. Coop Cooperativa S. O.” intimava a R.D., dipendente presso la residenza sanitaria assistenziale (rsa) di Caloveto, il licenziamento all’esito della procedura per riduzione del personale prevista dalla legge n. 223 del 1991.
2. Impugnato il recesso, il Tribunale di Castrovillari, con ordinanza emessa ai sensi dell’art. 1 co. 51 della legge n. 92 del 2012, accoglieva la domanda risarcitoria formulata dal lavoratore e, ai sensi del combinato disposto dell’art. 5 co. 3 della legge n. 223 del 1991 con l’art. 18 co. 7 della legge n. 300 del 1970, accordava una indennità commisurata a 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto goduta.
3. Il medesimo Tribunale dichiarava, poi, inammissibile l’opposizione alla citata ordinanza proposta dalla società soccombente perché ritenuta presentata oltre i termini di legge.
4. La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza n. 344 del 2018, accoglieva il reclamo formulato dalla Cooperativa e, decidendo nel merito dell’opposizione di prime cure, in riforma della sentenza impugnata, la rigettava, confermando il decisum di cui alla ordinanza emessa in fase sommaria.
5. Per quello che interessa in questa sede la Corte di merito precisava che: a) dai documenti prodotti emergeva che l’opposizione della società era stata – a differenza di quanto erroneamente ritenuto dal Tribunale- telematicamente presentata con l’osservanza dei termini di legge di talché, non ricorrendo una delle ipotesi di rimessione al primo giudice ex art. 353 e 354 cpc, essa andava respinta nel merito; b) irrilevante, perché nulla ed inefficace, era da considerarsi l’avvenuta cessione del ramo di azienda, relativo alla r.s.a. di C., avvenuta il 14.6.2014 in favore della “C. S. Società Cooperativa Sociale Onlus”; c) la comunicazione preventiva di avvio della procedura per la riduzione di personale era illegittima perché in essa non erano state espresse le ragioni che avevano indotto la Cooperativa a limitare la selezione ai soli lavoratori addetti all’unità produttiva calabrese e non anche agli addetti alle altre strutture gestite nella Regione Marche; d) il sopraggiunto accordo sindacale, diretto a limitare il licenziamento ai lavoratori della sola unità calabrese, non sanava la lacuna della comunicazione perché nulla specificava al riguardo; e) l’obbligo di coinvolgimento della procedura di riduzione del personale anche delle sedi geograficamente non vicine a quella interessata dalla crisi non poteva essere escluso atteso che, da un lato, non era stato dedotto né dimostrato che la professionalità degli addetti alla sede di Cavoleto fosse infungibile rispetto a quelli degli addetti alle sedi marchigiane e, dall’altro, perché era ben possibile che un lavoratore, pur di evitare il trasferimento, accettasse di essere trasferito; f) la tutela risarcitoria non era stata oggetto di impugnazione e la misura della indennità era da considerarsi congrua.
6. Avverso la sentenza di secondo grado proponeva ricorso per cassazione la Ass. Coop. Cooperativa S.O. affidato a cinque motivi, illustrati con memoria, cui resisteva con controricorso R.D..
7. La causa, precedentemente fissata per la decisione con le forme del rito camerale, veniva rinviata per la trattazione in pubblica udienza.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 co. 3, 5 legge n.223/1991, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che, nella lettera di avvio della procedura, fosse necessaria la specificazione delle ragioni per cui non potevano essere confrontati i dipendenti della sede soppressa con quelli delle altri sedi, quando invece il contenuto essenziale della suddetta comunicazione doveva considerarsi limitato solo a quello riguardante l’indicazione dei motivi per cui non si potevano evitare i licenziamenti; del resto si evidenzia che, nel caso in esame, il licenziamento aveva riguardato solo i lavoratori della sede di Cavoleto poiché ciò costituiva il criterio concordato in sede di accordo sindacale.
3. Con il secondo motivo la Cooperativa censura la violazione dell’art. 4 co. 12 della legge n. 223/1991, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto che l’efficacia sanante dell’accordo sindacale intervenuto con le OOSS si potesse realizzare solo nell’ipotesi in cui fosse stato esplicitato e condiviso, in sede di verbale sindacale, il vizio della comunicazione iniziale che veniva sanato, quando invece ciò che assumeva rilevanza era solo il fatto di stabilire se il deficit era stato in grado di incidere sul corretto svolgimento della consultazione sindacale e di vanificare quindi le finalità della procedura e se il vizio era da considerarsi sanato nell’ambito dell’accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.
4. Con il terzo motivo si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc, perché la Corte territoriale non aveva valutato le circostanze (non contestate e quindi ammesse dal lavoratore) con cui si evidenziavano la conoscenza delle OOSS e delle RSA di tutti i fatti rilevanti della fattispecie, la loro consapevole adesione all’accordo e l’efficacia sanante di tale accordo.
5. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 della legge n. 223 del 1991, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, per avere i giudici di seconde cure erroneamente ritenuto illegittima la limitazione della procedura agli addetti alla sede soppressa che dovevano essere confrontati con gli altri dipendenti Ass. Coop., con conseguente obbligo di indicazione delle ragioni di tale mancato confronto nella lettera di avvio della procedura, nonostante non esistessero sedi geografiche vicine e le ragioni organizzative della procedura fossero tutte relative alla sede di Caloveto.
6. Con il quinto motivo si eccepisce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc, perché la Corte di merito erroneamente non aveva valutato le circostanze (non contestate e quindi ammesse dal lavoratore) con cui si evidenziava che non esistevano sedi geografiche vicine e che le ragioni organizzative della procedura erano tutte relative alla sede di Caloveto.
7. Il primo motivo non è fondato.
8. Come chiarito da questa Corte, la legittimità della riduzione della platea dei lavoratori da licenziare richiede, in primo luogo, che le ragioni fondanti tale scelta siano rappresentate nella lettera di avvio della procedura di mobilità e ciò anche al fine di garantire l’effettività del confronto con le organizzazioni sindacali destinatarie della comunicazione, salvo ulteriore verifica, comunque, della loro pertinenza ed inerenza alle ragioni poste a base della procedura stessa (in termini, tra le altre, Cass n. 15749 del 2007; Cass. n. 5034 del 2009; Cass. n. 5582 del 2012; Cass. 6059 del 2013).
9. Qualora, poi, il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad una unità produttiva o ad un settore dell’azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, può essere limitata agli addetti all’unità o al settore da ristrutturare, in quanto ciò non sia l’effetto dell’unilaterale determinazione del datore di lavoro, ma sia obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione del personale (Cass. n. 2429 del 2012; Cass. n. 22655 del 2012; Cass. n. 203 del 2015); i motivi di restrizione della platea dei lavoratori da comparare devono essere adeguatamente esposti nella comunicazione ex art. 4 co. 3 della legge n. 223 del 1991 onde consentire alle OO.SS. di verificare il nesso fra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità lavorative che l’azienda intenda concretamente espellere (ex plurimis Cass. n. 203 del 2015; Cass. n. 22825 del 2009; Cass. n. 880 del 2013).
10. La Corte territoriale, ritenendo -nel caso in esame- indispensabile per un effettivo controllo sindacale della decisione di mobilità anche la comunicazione, in sede di apertura della relativa procedura, delle ragioni per cui non si era ritenuto di estendere la selezione pure agli addetti alle altre strutture che gestiva, ha rispettato i principi sopra enunciati della necessaria verifica della compatibilità, quanto al contenuto della comunicazione preventiva, della disciplina di cui all’art. 4 della legge n. 223 del 1991, estesa anche alla chiusura di un insediamento produttivo, con i risultati in concreto perseguibili in relazione a tale chiusura.
11. Il secondo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.
12. In punto di diritto, le argomentazioni della Corte territoriale sono conformi al principio di legittimità (cfr. Cass. 29.3.2018 n. 7837), cui si intende dare seguito, secondo il quale, in tema di licenziamento collettivo, la sufficienza e la adeguatezza della comunicazione di avvio della procedura vanno valutate in relazione alla finalità della corretta informazione delle organizzazioni sindacali, che può ritenersi in concreto raggiunta nel caso venga successivamente stipulato l’accordo di cui all’art. 4 comma 5 della legge n. 223 del 1991; quest’ultimo, tuttavia, non costituisce una sanatoria dei vizi della procedura, restando per il giudice l’obbligo della verifica in sede di merito circa l’effettiva completezza della comunicazione.
13. Nel caso in esame, con accertamento congruamente e correttamente motivato, la Corte di merito ha evidenziato che, nell’accordo sindacale intervenuto nell’ottobre del 2014, le OO.SS. non erano state poste in grado di partecipare alla trattativa con piena consapevolezza a causa delle insufficienze della iniziale comunicazione, specificando altresì che il deficit informativo della comunicazione inziale, quanto alle ragioni che imponevano la delimitazione dell’ambito territoriale dei licenziandi solo alla sede di Cavoleto, si era riverberato sulla validità dell’accordo, di talché esso si era limitato, sostanzialmente, ad essere una presa d’atto della decisione datoriale senza alcun efficace confronto tra le parti sociali.
14. Come detto, trattasi di ricostruzione relativa al merito della vicenda, non viziata sotto il profilo motivazionale e giuridicamente esatta, che non può, pertanto, essere sindacata in sede di legittimità.
15. Il terzo motivo è inammissibile.
16. L’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012 n. 83 conv. in legge 7 agosto 2012 n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (per tutte Cass. n. 8053 del 2014).
17. Tale vizio non ricorre nella fattispecie perché la circostanza – secondo cui la delimitazione dell’ambito territoriale dei licenziamenti fosse stata espressa dal datore di lavoro e condivisa e/o non contestata dai sindacati- è stata esclusa dalla Corte di merito in quanto nell’accordo con i sindacati nulla si diceva al riguardo, ritenendo quindi non colmata la lacuna che affliggeva la comunicazione iniziale.
18. Il fatto, quindi, nella sua storicità è stato esaminato e valutato, privilegiando, sotto il profilo istruttorio, le risultanze documentali e ciò rende inammissibilmente formulato il vizio denunciato perché esso si sostanzierebbe unicamente in una diversa ricostruzione dei fatti che è invece di competenza dei giudici di merito.
19. Il quarto motivo è infondato.
20. La Corte territoriale si è adeguata al principio di legittimità (Cass. n. 17177 del 2013), condiviso, per le argomentazioni svolte, anche da questo Collegio, secondo cui, in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, non assume rilievo, ai fini dell’esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, la circostanza che il mantenimento in servizio di un lavoratore appartenente alla sede soppressa esigerebbe il suo trasferimento in altra sede, con aggravio di costi per l’azienda e interferenza sull’assetto organizzativo, atteso che, ove sia mancato l’accordo sui criteri di scelta con le organizzazioni sindacali, operano i criteri legali sussidiari previsti dall’art. 5 comma 1 della legge n. 223 del 1991, che non contempla tra i suoi parametri la sopravvenienza di costi aggiuntivi connessi al trasferimento di personale o la dislocazione territoriale delle sedi, rispondendo la regola legale all’esigenza di assicurare che i procedimenti di ristrutturazione delle imprese abbiano il minor impatto sociale possibile e non potendosi aprioristicamente escludere che il lavoratore, destinatario del provvedimento di trasferimento a seguito del riassetto delle posizioni lavorative in esito alla valutazione comparativa, preferisca una diversa dislocazione alla perdita del posto di lavoro.
21. Né può rilevare l’assunto che, nel precedente giurisprudenziale citato, non era stato raggiunto un accordo sindacale perché, per quanto sopra evidenziato, l’accordo nel caso de quo era viziato e, quindi, non può spiegare alcuna influenza nell’ambito della regolarità della procedura di cui è giudizio.
22. Il quinto motivo è, analogamente al terzo, inammissibile perché la Corte territoriale ha valutato la circostanza denunziata ritenendo che non era stato dedotto, né nella comunicazione di avvio del procedimento né nel successivo accordo sindacale, che la professionalità degli addetti alla sede di Cavoleto fosse infungibile rispetto a quella degli addetti alle sedi marchigiane, e reputando, quindi, illegittima la scelta di non coinvolgere questi ultimi nella procedura di licenziamento collettivo. I giudici di seconde cure hanno proceduto, quindi, all’accertamento ad essi devoluto correttamente, sui due piani di analisi richiesti dalla legge: quello della individuazione dell’unità o del reparto da sopprimere e quello della fungibilità dei lavoratori addetti agli stessi, senza attribuire carattere decisivo alla lontananza geografica delle altre sedi presso le quali avrebbero potuto essere trasferiti i dipendenti coinvolti e senza ritenere preclusive alla comparazione tra tutti i lavoratori dislocati sul territorio, dotati di uguale professionalità, le ragioni organizzative relative alla sola sede di Cavoleto.
23. Alla stregua di quanto sopra esposto il ricorso deve essere rigettato.
24. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
25. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie della misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.