CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 febbraio 2019, n. 3902

Impugnazione – Termine – Decorrenza – Notifica sentenza di primo grado

Fatti di causa

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 26 marzo 2014, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione promossa da T.R., in proprio e nella qualità di legale rappresentante dell’Agenzia Ippica B.C.S. di R.T. s.n.c., in quanto depositata in data 20 maggio 2011, oltre il termine di 30 giorni decorrente dalla notifica della sentenza di primo grado effettuata in cancelleria, ai sensi dell’art. 82 del R.D. n. 37 del 1934, al procuratore costituito extra districtum che non aveva eletto domicilio nel luogo dove aveva sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio era in corso.

La Corte territoriale ha considerato che, all’epoca della costituzione in primo grado del R. ed anche allorquando la sentenza era stata notificata, non era ancora intervenuta la modifica dell’art. 125 c.p.c., che aveva previsto in via generale l’obbligo per il difensore di indicare, negli atti di parte, l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine, per cui, nonostante il difensore nella specie deduceva di esserne già in possesso e di averlo comunicato al proprio ordine, trovava ancora applicazione l’art. 82 citato.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso T.R. con 3 motivi, cui ha resistito M.C.C. con controricorso.

Ragioni della decisione

1. I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati.

1.1. Con il primo motivo si denuncia nullità della sentenza ed omessa pronuncia su eccezioni processuali e di merito formulate nel giudizio di appello; si deduce che nell’atto di appello era stato sollevato il difetto di legittimazione passiva della società convenuta in primo grado in ragione della estinzione per intervenuta cancellazione dal registro delle imprese; si rileva altresì che, a fronte della eccezione di tardività dell’appello sollevata dalla C., era stata eccepita l’inesistenza della notifica della sentenza di primo grado, la nullità della notifica della sentenza di primo grado per l’incertezza della persona fisica che aveva ritirato l’atto, la nullità della notifica effettuata nei confronti del Riva appellante in proprio; si lamenta che la Corte territoriale non abbia pronunciato su alcuna delle predette eccezioni.

1.2. Con il secondo mezzo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., ove si volesse ritenere che suddette eccezioni “siano state prese in esame dalla Corte di Appello di Milano e che siano state decise implicitamente ed implicitamente respinte mediante dichiarazione di inammissibilità del gravame”.

1.3. Con il terzo motivo si denuncia “violazione – falsa applicazione norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) – Nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.)”. Con una prima censura si lamenta che la Corte territoriale, “dichiarando inammissibile l’appello e confermando la sentenza di primo grado”, avrebbe affermato “di fatto la legittimazione sostanziale e la capacità processuale di una società di persone cancellata dal registro delle imprese”.

Con una seconda censura si denuncia “falsa ed erronea applicazione artt. 137 e 160 c.p.c.” per avere la Corte territoriale ritenuto valida ed efficace la notifica della sentenza di primo grado pur non essendo “individuabile la persona fisica che ha ritirato l’atto né la sua qualifica”.

Con una terza doglianza, contenuta nel medesimo motivo, si denuncia “violazione ed erronea applicazione art. 82 R.D. n. 37/1934 – abrogazione implicita della norma ex lege 6 agosto 2008 n. 51”.

Si deduce che tale ultima disposizione, una volta emanato per il distretto di Milano il D.M. del Ministero della Giustizia 26 maggio 2009 n. 57, avrebbe imposto la notifica della sentenza di primo grado all’indirizzo PEC del procuratore costituito, indipendentemente dall’obbligo di indicazione di tale indirizzo successivamente imposto dalla legge n. 183 del 2011, “solo a condizione che l’indirizzo di posta elettronica (fosse) comunicato ai sensi dell’art. 7 d.P.R. n. 123/2001 e quindi all’ordine di appartenenza”.

Si sostiene che, nel caso in esame, il procuratore costituito nel procedimento di primo grado aveva già dato, all’epoca della notifica della sentenza di primo grado, “comunicazione di idoneo indirizzo di posta elettronica certificata (come risulta per tabulas dagli atti dello stesso procedimento di appello in cui sono rinvenibili comunicazioni di cancelleria effettuate mediante PEC e dalla documentazione prodotta in udienza di discussione avanti alla Corte di Appello di Milano)”, per cui detta notifica non avrebbe potuto essere effettuata tramite ufficiale giudiziario presso la cancelleria del Tribunale.

2. Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica devono essere esaminate preliminarmente tali ultime due censure contenute nel terzo motivo di ricorso. Con esse infatti si pone in discussione la ritualità della notificazione della sentenza di primo grado, da cui la Corte territoriale ha fatto decorrere il termine breve per l’impugnazione in appello.

2.1. Quanto alla prima doglianza essa, oltre a presentare profili di inammissibilità derivanti dal rilievo che, non essendo affrontata la questione nella sentenza impugnata, non riporta adeguatamente i contenuti specifici degli atti processuali nel corpo dei quali detta questione era stata sollevata (v. Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004), risulta pure infondata.

Se è vero, difatti, che l’ufficiale giudiziario deve indicare, nella relazione prevista dall’art. 148 c.p.c., la persona alla quale ha consegnato la copia dell’atto nonché il rapporto di essa con il destinatario della notificazione, con la conseguenza che, se manchi l’indicazione delle generalità del consegnatario, la notificazione è nulla, a norma dell’art. 160 c.p.c., per incertezza assoluta su detta persona, è altrettanto vero che tale incertezza assoluta va esclusa se la persona del consegnatario sia sicuramente identificabile attraverso la menzione del suo rapporto con il destinatario (v. Cass. n. 12806 del 2006; Cass. n. 4962 del 1987).

Nella specie, dunque, l’esame della relata di notifica riportata nello stesso ricorso per cassazione consente di rilevare che la notificazione è stata effettuata dall’ufficiale giudiziario “presso la cancelleria del Tribunale di Milano sezione lavoro via P. Milano a mani di … canc.” cui segue l’indicazione di un nominativo che, sebbene non agevolmente leggibile perché aggiunto a penna, non determina assoluta incertezza in quanto segue la dicitura di “impiegato … che si incarica della consegna”. Sussistevano perciò elementi che rendevano sicuramente identificabile la persona del consegnatario dell’atto, tenuto altresì conto che detta persona era evidentemente addetta all’ufficio di cancelleria quale incaricato appunto di ricevere gli atti e di consegnare gli stessi, non venendo meno la presunzione che il consegnatario avesse titolo per portare a conoscenza del destinatario l’atto ricevuto (cfr. Cass. n. 10030 del 2014; Cass. n. 322 del 2007; Cass. n. 1079 del 2004).

2.2. Quanto poi alla doglianza con cui si lamenta che la notificazione della sentenza di primo grado ad opera della controparte non avrebbe potuto essere effettuata presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria adita bensì presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore, indirizzo comunicato al competente consiglio dell’ordine, la stessa risulta inammissibile per difetto di autosufficienza in quanto si fonda su documenti – “comunicazioni di cancelleria effettuate mediante PEC e … documentazione prodotta in udienza di discussione avanti alla Corte di Appello di Milano” – solo genericamente indicati alla pag. 14 del ricorso, senza che ne siano specificati i contenuti e senza che ne sia indicata l’esatta localizzazione affinché i medesimi possano essere reperiti nel giudizio di cassazione (v. Cass. n. 8569 del 2013; Cass. n. 4220 del 2012; Cass. n. 6937 del 2010; Cass. n. 15808 del 2008; Cass. n. 12239 del 2007; per la conseguente inammissibilità v. Cass. n. 19069 del 2011; Cass. n. 20535 del 2009; Cass. n. 15628 del 2009; Cass. n. 29279 del 2008; Cass. n. 22726 del 2011; Cass. n. 19157 del 2012).

3. Parimenti inammissibili appaiono le censure contenute nel primo motivo (riguardanti le eccezioni che sarebbero state sollevate dall’appellante R. a fronte della eccezione di tardività dell’appello sollevata dalla C.) nonché il secondo motivo di ricorso.

Per quanto riguarda le prime anche per esse non sono riportati i contenuti  specifici degli atti processuali nei quali sarebbero state proposte che ne consentano la delibazione, in violazione del canone dell’autosufficienza.

Né può soccorrere alla parte ricorrente la qualificazione giuridica del vizio lamentato come error in procedendo, in relazione al quale la Corte è anche “giudice del fatto”, con la possibilità di accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito. Invero le Sezioni unite della Cassazione hanno statuito che, nei casi di vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, il giudice di legittimità, pur non dovendo limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, “è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4” (Cass. SS. UU. n. 8077 del 2012). Dunque la parte ricorrente è tenuta ad indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, affinché il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (Cass. n. 9888 del 2016; Cass. n. 19410 del 2015; Cass. n. 17049 del 2015; Cass. n. 9734 del 2004; Cass. n. 6225 del 2005), senza limitarsi a meri stralci o generici rinvii (Cass. n. 17252 del 2016).

Circa il secondo mezzo di gravame si propone irritualmente nelle forme del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., che attiene esclusivamente all’omesso esame di un fatto decisivo che riguarda la vicenda storica che ha dato luogo alla controversia, ciò che si prospetta essere un errore di attività del giudice nel processo, che avrebbe dovuto essere denunciato secondo i criteri imposti dal n. 4 dell’art. 360 c.p.c., specificando anche le ragioni per le quali esso avrebbe dovuto determinare la nullità della sentenza o del procedimento.

4. Una volta che la sentenza della Corte milanese ha superato il vaglio di legittimità avuto riguardo alla pronuncia in rito di inammissibilità dell’appello perché proposto oltre il termine perentorio previsto per l’impugnazione, il definitivo passaggio in giudicato della sentenza di primo grado rende inammissibili tutte le residue censure del ricorso per cassazione riguardanti il difetto di legittimazione passiva della società per intervenuta cancellazione dal registro delle imprese nonché la pretesa “inesistenza” della sentenza di primo grado.

5. Conclusivamente il ricorso va respinto; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso spese forfettario al 15% ed accessori secondo legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.