CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 febbraio 2019, n. 3916
INARCASSA – Concordato fiscale preventivo – Determinazione dell’imponibile contributivo – Reddito effettivo del professionista
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza dell’11 dicembre 2012, in accoglimento del gravame svolto da INARCASSA, ha rigettato la domanda proposta dall’architetto B.F. per la restituzione delle somme pretese dalla Cassa, per contributo soggettivo relativo all’anno 2003 e sanzioni.
2. La Corte di merito, sulla questione agitata in giudizio in ordine alla determinazione dell’imponibile contributivo sulla base del reddito effettivo del professionista o sulla base del reddito calcolato secondo il concordato fiscale preventivo al quale l’architetto aveva aderito, esprimeva un giudizio di rilevanza del predetto concordato ai meri fini delle imposte sul reddito e del valore aggiunto e la conseguente inutilizzabilità per fini diversi da quelli relativi al sistema tributario; rimarcava, inoltre, a sostegno del decisum, l’autonomia dell’ente previdenziale privatizzato, autorizzato ad abrogare e derogare norme di legge al fine di assicurare equilibri di bilancio e di stabilità delle gestioni.
3. Avverso tale sentenza ricorre B.F., con ricorso affidato a tre motivi, cui resiste, con controricorso, INARCASSA – Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti.
Ragioni della decisione
4. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del controricorso di INARCASSA – Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti, proposto in forza di procura di carattere generale, conferita con atto notarile, priva di ogni riferimento alla sentenza impugnata e all’impugnazione da proporsi in cassazione (trattasi di principio di diritto ampiamente consolidato, ribadito, da ultimo, da Cass., Sez. U., 27 aprile 2018, n. 10266).
5. Peraltro neanche opera, nel giudizio di legittimità, il rimedio della sanatoria ex post del difetto di procura, introdotta con la novella dell’art. 182 cod. proc. civ., trattandosi di disposizione circoscritta al giudizio dì merito, in difetto, nel giudizio dì legittimità, di previsione analoga all’art. 359 cod. proc. civ. per il giudizio di appello e in presenza, invece, di una disciplina peculiare che presidia in modo rigoroso (artt. 365, 366, n. 5, 369, n. 3 cod. proc. civ.) l’attribuzione e l’anteriorità del potere di rappresentanza processuale davanti alla Corte di cassazione (sulla coerenza della regola con i fondamentali principi di officiosità, celerità e massima concentrazione del giudizio di ultima istanza si rinvia a Cass., Sez. U., n. 10266 del 2018 cit.).
6. Tanto premesso, con il primo motivo di ricorso, deducendo nullità della sentenza ai sensi dell’art. 161 cod.proc.civ., per violazione degli artt. 3 e 24 cost. e dell’art. 101 cod.proc.civ., il ricorrente si duole che la Corte di merito ne abbia dichiarato la contumacia benché ritualmente costituito, ed abbia pretermesso l’esame delle difese e controdeduzioni svolte in sede di gravame.
7. La censura è reiterata con il secondo mezzo, nel profilo del vizio di motivazione ai sensi dell’art. 132 cod.proc.civ., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
8. Con il terzo motivo, deducendo errata e falsa applicazione dell’art. 33 del d.l. 30 settembre 2003, n.69, convertito in legge 24 novembre 2003, n.326, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere evocato un precedente giurisprudenziale di legittimità (Cass. 11947 del 2012) non pertinente perché inerente all’inestensibilità all’IRAP del concordato fiscale preventivo, laddove l’ambito applicativo della norma, nel profilo previdenziale, si evince dallo stesso dettato del comma 7, ultimo periodo, del citato articolo 33, che parla di contributi previdenziali, in genere, senza prevedere alcuna eccezione ad un istituto, il concordato, di interesse per tutte le categorie, imprese e contribuenti e, quindi, agevolativo anche dei contributi dovuti dai professionisti alle rispettive Casse di previdenza.
9. Sul primo motivo va rilevato che, come già affermato da Cass. 26 gennaio 1995, n. 912, nel caso in cui una parte, benché regolarmente costituita, sia stata dichiarata, per errore, contumace, ciò non comporta alcun vizio della sentenza, quando l’erronea declaratoria non abbia comportato alcun pregiudizio allo svolgimento dell’attività difensiva.
10. Ne consegue che, dovendo la proposizione di qualsiasi impugnazione essere sorretta da idoneo interesse, identificabile nella possibilità di conseguire, attraverso la rimozione della statuizione censurata, un risultato giuridicamente apprezzabile, e non già in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi pratici sulla soluzione adottata, va negata la sussistenza di siffatta condizione di ammissibilità rispetto ad un ricorso che si limiti alla deduzione dell’erroneità della dichiarazione di contumacia, senza indicare quale limitazione la stessa abbia comportato all’esercizio del diritto di difesa, né quale incidenza abbia potuto avere sull’esito della lite, vale a dire quali evenienze processuali sarebbero derivate, come potenzialmente idonee a determinare una diversità dell’esito suddetto, dalla corretta soluzione della questione, così da consentire alla Corte ^ un effettivo controllo di causalità dell’errore lamentato e da sottrarre la doglianza all’astrattezza di una sua prospettazione meramente teorica (v., anche Cass., Sez. U., 27 febbraio 2002, n. 2881 e successive conformi).
11. Inoltre è appena il caso di aggiungere (sulla scia di quanto statuito, fra le altre, da Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663), passando così a delibare anche il secondo mezzo d’impugnazione con il quale si insiste con la doglianza già rappresentata con il primo, che la mancanza di motivazione su una questione di diritto – e non di fatto – è irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame, elaborando la ratio decidendi a prescindere dalle opposte tesi difensive delle parti o pretermettendo, come additato nel mezzo di censura, la difesa di una delle parti in giudizio.
12. Passiamo alla questione cruciale all’esame della Corte, posta con il terzo motivo, che può semplificarsi nell’asserita delimitazione della base reddituale, in riferimento alla quale computare il contributo soggettivo dovuto alla Cassa previdenziale per l’anno 2003, tenuto conto non già del reddito effettivo conseguito dal professionista (costituente, di norma, l’imponibile contributivo), sibbene del reddito calcolato agli effetti del concordato preventivo fiscale.
13. Come già ha avuto modo di chiarire Cass. 13 luglio 2012, n. 11947 (seguita da altre decisioni conformi), il concordato preventivo biennale, introdotto in forma sperimentale («in attesa dell’avvio a regime del concordato preventivo triennale») dall’art. 33 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326), concerne essenzialmente le imposte sui redditi, trattandosi di beneficio concesso ai titolari di reddito d’impresa o di reddito di lavoro autonomo, ed ha limitati effetti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto: ciò si evince, in particolare, dalla disciplina normativa degli effetti dell’osservanza degli obblighi connessi all’adesione al concordato (comma 3), dell’espresso rilievo dell’adeguamento «ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto» (comma 4), dell’oggetto del concordato, riferito a ricavi e compensi, intendendosi espressamente per tali, rispettivamente, quelli di cui all’art. 53 e all’art. 50 del d.P.R. n. 917 del 1986 (commi 4, 5, 9, 12, 14), della parziale inibizione, per i periodi d’imposta soggetti a concordato, dei poteri di accertamento spettanti all’amministrazione finanziaria ex artt. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, 54 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972 (comma 8) (in tal senso Cass. n. 11947 del 2012 che ha escluso, dalla portata applicativa del concordato preventivo biennale di cui all’art. 33 cit., effetti preclusivi ai fini del diritto al rimborso dell’IRAP).
14. La stessa decisione, pur richiamando argomenti estrapolati da circolare applicativa dell’Agenzia delle entrate, ha evidenziato l’intento del legislatore di consentire di effettuare, attraverso il concordato preventivo biennale, un adeguamento di tipo extra contabile al fini della determinazione della base imponibile per le imposte sul reddito e relative addizionali comunali e regionali, nonché ai fini dell’IVA.
15. Dell’architettura giuridica dello strumento concordatario, delineato dall’art. 33 del decreto legge n. 269, e a valere su due periodi d’imposta, introdotto in via sperimentale in attesa dell’esercizio della potestà legislativa delegata con la legge di delegazione per la riforma del sistema fiscale statale (art. 3, legge aprile 2003, n. 80 del 2003) e per quanto rileva ai fini della controversia ora all’esame della Corte, può rimarcarsi che, nella sostanza, alla rinuncia, per l’erario, della possibilità di utilizzare alcuni strumenti accertativi e di pretendere, dal contribuente, l’assolvimento di alcuni obblighi di documentare fiscalmente i proventi conseguiti, corrisponde, per quest’ultimo, l’adeguamento ad un minimum sul quale si fonda la richiesta di versamento delle imposte che diventa, dunque, imponibile ai fini fiscali.
16.Si tratta, dunque, di una determinazione concordata del reddito d’impresa, riferito a particolari periodi d’imposta, concordata, per l’appunto, tra l’erario e il contribuente, in riferimento all’obbligazione tributaria oggetto di una negoziazione che, per tale natura, non può investire il diverso rapporto obbligatorio contributivo tra il professionista e la Cassa di previdenza in riferimento al quale nessun intervento normativo primario, o delegificato, ha stabilito di derogare al reddito effettivo imponibile utilizzando come parametro, per l’imponibile contributivo, il reddito predeterminato agli effetti del concordato preventivo biennale fiscale.
17. L’articolo 33, comma 7, ultimo periodo, del citato decreto-legge n. 269 (che recita: «Sul reddito che eccede quello minimo determinato secondo le modalità di cui al comma 4 non sono dovuti contributi previdenziali per la parte eccedente il minimale reddituale; se il contribuente intende versare comunque i contributi, gli stessi sono commisurati sulla parte eccedente il minimale reddituale»), sul quale il ricorrente fonda l’estensione della previsione agevolativa, va letto alla luce di quanto il legislatore medesimo ha premesso nell’art. 33, comma 3, lett. a) (che recita: «L’osservanza degli obblighi fiscali intrinseca all’adesione al concordato preventivo comporta: a) la determinazione agevolata delle imposte sul reddito e, in talune ipotesi, dei contributi») espressamente disponendo non già un’indiscriminata estensione della determinazione agevolata alle obbligazioni contributive, sibbene l’applicazione in talune ipotesi.
18. Che nel novero delle ipotesi eccettuative non possano porsi le obbligazioni contributive nei confronti della Cassa di previdenza, e che a tanto neanche possa giungersi in via interpretativa della fonte normativa primaria, lo dimostra:
– il d.lgs 30 giugno 1994, n. 509 (recante attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza) modificato, per quanto qui rileva, dal d.l. 28 marzo 1997, n. 79, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 28 maggio 1997, n. 140, che all’art. 1, comma 6-bis, aggiunto dalla legge di conversione, ha disposto che: «Nell’ambito del potere di adozione di provvedimenti, conferito dal D. Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, art. 2, comma 2, possono essere adottate dagli enti privatizzati di cui al medesimo decreto legislativo deliberazione in materia di regime sanzionatorio e di condono per inadempienze contributive, da assoggettare ad approvazione ministeriale ai sensi del cit. d.lgs. art. 3, comma 2»; lo spazio di autonomia delle Casse di previdenza comprendente l’adozione di un regime sanzionatorio e di eventuali condoni per inadempienze contributive;
i poteri funzionali ad assicurare l’equilibrio finanziario della gestione delle Casse, ossia poteri necessariamente incidenti sul versante delle prestazioni come su quello dei contributi, specificamente estesi sia al profilo sanzionatorio che a quello del condono per inadempienze contributive (v., in tema, Cass. 10 gennaio 2008, n. 265);
gli equilibri economici finanziari per le Casse privatizzate costituenti principio fondamentale della gestione sicché la determinazione del reddito imponibile, concordata ab externo, costituirebbe violazione dell’autonomia delle Casse e della normativa speciale previdenziale che demanda alle Casse medesime la potestà di sanzionare omissioni contributive o di condonarle introducendo misure premiali.
19. Il precedente di legittimità invocato dal ricorrente, Cass. 13 aprile 2011, n. 8464, offre ben altra lettura da quanto asserito, giacché questa Corte, in quell’occasione, si è limitata a riconoscere l’interesse ad agire, con azione di mero accertamento, per l’iscritto ad una delle Casse privatizzate che, al fine di non incorrere in eventuali sanzioni, aveva richiesto una statuizione in ordine all’applicabilità, o meno, nei confronti della Cassa, del concordato fiscale agli effetti dell’imponibile contributivo, e, dunque, non vi è uno specifico precedente di legittimità intervenuto sulla questione ora dibattuta.
20. In conclusione, il ricorso va rigettato.
21. Non si provvede alla regolazione delle spese in considerazione della premessa delibazione di inammissibilità del controricorso.
22. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1 – bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1 – bis.
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