CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 giugno 2018, n. 15096
Assunzione di lavoratori senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro – Accertamento ispettivo – Cittadino extracomunitario privo di permesso di soggiorno – Illecito amministrativo – Documentazione
Fatti di causa
La Corte di appello di Lecce, con la sentenza n. 371/2013, aveva confermato, con diversa motivazione, la sentenza con la quale il Tribunale locale-sezione distaccata di N. – aveva in parte accolto, e per il resto rigettato, la opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione di pagamento (E. 10.662,00) emessa dalla Direzione provinciale del lavoro nei confronti di F. Massimo a titolo di sanzione per aver impiegato due lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro.
La Corte aveva confermato l’ingiunzione di pagamento e la sentenza del Tribunale con riferimento alla posizione del lavoratore D.J.; con riferimento all’altro lavoratore A.V., di origine rumena, aveva valutato che, attesa la presenza in atti di documentazione attestante l’illecito amministrativo in questione come accertato dagli ispettori del lavoro, doveva ritenersi che, trattandosi di cittadino straniero extracomunitario privo di permesso di soggiorno, la violazione amministrativa relativa all’utilizzo del lavoratore in assenza di denuncia del rapporto di lavoro, dovesse ritenersi assorbita dalla sanzione penale prevista per l’assenza del permesso di soggiorno. La Corte riteneva infatti che la norma penale assorbisse per intero il disvalore attribuito dal legislatore alla instaurazione di un rapporto di lavoro irregolare, si che la sanzione penale non poteva cumularsi con quella amministrativa.
Avverso la decisione il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – DPL Lecce – proponeva ricorso affidandolo a due motivi.
Il F. rimaneva intimato.
Ragioni della decisione
1) – Con il primo motivo parte ricorrente denuncia la violazione dell’art. 24 della legge n. 689/1981, dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, 1 comma n. 4 c.p.c., per aver, la Corte territoriale, rilevato d’ufficio, in assenza di specifica eccezione (sollevabile dalla parte interessata nel primo grado del giudizio), l’assorbimento dell’illecito amministrativo in quello penale. Sosteneva che, trattandosi di questione inerente la illegittimità dell’atto perché intimato dalla Autorità amministrativa priva di competenza, in ragione della sussunzione della violazione nella fattispecie della norma penale, era necessaria la eccezione specifica di parte.
2) – Il secondo motivo di censura è relativo alla violazione e falsa applicazione degli artt. 22 comma 12 d.lvo n. 286/98 in combinato con l’art. 24 L. n. 689/81 e con l’art. 2126 c.c. in relazione all’art. 360, 1 comma n. 3 c.p.c., per aver, il Giudice d’appello, erroneamente ritenuto che nel caso di cittadino straniero extracomunitario privo di permesso di soggiorno la violazione amministrativa debba ritenersi interamente assorbita dalla norma penale che ne vieta l’assunzione al lavoro (art. 22 comma 12 d.lvo n. 286/98).
Deve preliminarmente rilevarsi che la Corte territoriale ha ritenuto la norma penale relativa alla occupazione di lavoratori privi di permesso di soggiorno (art. 22,comma 12,D.lgs n. 286/1998), come assorbente dell’illecito amministrativo costituito dalla mancata denuncia del lavoratore occupato.
In realtà si tratta di due fattispecie distinte che neppure possono essere v correlate in termini di causalità o antecedenza logica dell’una rispetto all’altra, così da determinare una oggettiva connessione tra l’illecito amministrativo ed il reato.
Questa Corte, al fine di stabilire l’organo competente alla valutazione, ha infatti definito l’esatta relazione necessaria tra le due fattispecie, statuendo a riguardo che “la connessione obiettiva dell’illecito amministrativo con un reato che, ai sensi dell’art. 24 della I. n. 689 del 1981, determina lo spostamento della competenza ad applicare la sanzione dall’organo amministrativo al giudice penale, rileva esclusivamente qualora l’accertamento del primo costituisca l’antecedente logico necessario per l’esistenza del secondo mentre, in difetto di tale rapporto di pregiudizialità, la pendenza del procedimento penale non fa venire meno detta competenza” (Cass, n. 30319/2017).
Nel caso di specie alcuna connessione è possibile in quanto le due ipotesi sanzionatorie hanno riguardo a condotte tra loro differenti (occupazione di lavoratore privo di permesso di soggiorno; mancata denuncia del lavoratore occupato), considerate dal legislatore , nelle rispettive sedi, penale ed amministrativa, a tutela di distinte finalità. La norma penale è diretta a contrastare il fenomeno della immigrazione clandestina mentre la disposizione amministrativa vuole evitare il “lavoro nero”.
La sussunzione dell’una nell’altra determinerebbe una inaccettabile confusione tra divieti penali e obblighi cui è comunque tenuto il datore di lavoro, con la conseguenza che, una volta giudicato per l’assunzione di un lavoratore extracomunitario privo di permesso di soggiorno (nel caso di specie, peraltro, il datore di lavoro era stato assolto dal reato per un vizio nel procedimento), il datore di lavoro sarebbe esonerato dagli obblighi connessi alla prestazione di lavoro in “nero”.
Sul punto questa Corte ha invece statuito che nel caso di prestazioni lavorative rese dal lavoratore extracomunitario privo del permesso di soggiorno, l’illegittimità del contratto per la violazione di norme imperative (art. 2.2 del T.U. immigrazione) poste a tutela del prestatore di lavoro (art. 2126 c.c.), sempre che la prestazione lavorativa sia lecita, non esclude l’obbligazione retributiva e contributiva a carico del datore di lavoro, in coerenza con la razionalità complessiva del sistema che vedrebbe altrimenti alterate le regole del mercato e della concorrenza ove si consentisse a chi viola la legge sull’immigrazione di fruire di condizioni più vantaggiose rispetto a quelle cui è soggetto il datore di lavoro che rispetti la disciplina in tema di immigrazione” (Cass. n. 18540/2015; Cass. n. 7380/2010).
Una differente soluzione non sarebbe in coerenza neppure con disposizioni quali l’art. 2126 cc che tutela comunque la prestazione di lavoro di fatto svolta con il riconoscimento dei diritti retributivi e contributivi ad essa collegati, nonché con l’art. 36 della Costituzione che garantisce una adeguata retribuzione al lavoratore con ciò assicurando dignità solo in ragione della prestazione di lavoro e non della origine territoriale del soggetto. Il motivo deve quindi essere accolto e cassata la sentenza con riguardo allo stesso e rinvio alla Corte di appello di Bari perché, in applicazione dei principi sopra enunciati, provveda a valutare nuovamente i motivi di gravame proposti e provveda altresì alle spese del giudizio di legittimità.
Quanto al primo motivo, relativo alla eccepita assenza di specifica eccezione circa l’assorbimento dell’illecito amministrativo in quello penale, lo stesso deve ritenersi assorbito dall’accoglimento del motivo di merito sopra trattato.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo e ritiene assorbito l’altro; cassa la sentenza con riguardo al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di bari perché provveda anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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