CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 giugno 2018, n. 15098
Ricorso per revocazione in udienza pubblica – Non pregiudizievole dei diritti di azione e difesa delle parti – Errore di fatto quale motivo di revocazione – Falsa percezione della realtà, obiettivamente e immediatamente rilevabile da atti e documenti, che ha portato ad affermare l’esistenza di un fatto decisivo – Escluso l’errore revocatorio per inesatto apprezzamento delle risultanze processuali – Revocazione delle sentenza della Cassazione – Configurabilità nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza del 5.10.2012, ha accolto la domanda di impugnazione del licenziamento, proposta da G.M. nei confronti di C.L., condannando quest’ultimo al pagamento delle retribuzioni maturate dal 20.8.2009 alla data della sentenza nonché al pagamento delle retribuzioni maturate dal 20.8.2009 alla data della sentenza nonché al pagamento dei relativi contributi; ha accolto, altresì, parzialmente la domanda riguardante le differenze retributive.
2. La Corte di appello di Catanzaro, con la pronuncia n. 1697/2013, ha accolto parzialmente l’appello di C.L. limitatamente all’obbligo di risarcimento del danno e ha confermato per la restante parte la sentenza impugnata.
3. Questa Corte, con la sentenza n. 2814/2017, ha rigettato il ricorso per cassazione proposto sempre dal L. In particolare, con riguardo alla censura relativa al rigetto della domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti del lavoratore in via riconvenzionale, il Collegio ha rilevato l’inammissibilità del motivo quanto al dedotto vizio di motivazione e la infondatezza della violazione delle norme di diritto invocate; con riguardo alla interpretazione della volontà del datore di lavoro nel senso del licenziamento orale, ha dedotto la inammissibilità delle censure sia perché attinenti all’accertamento del fatto sia perché mal posto in relazione alle denunziate violazioni di legge; con riguardo alla statuizione sul risarcimento del danno, ha ravvisato la mancanza di censure su specifiche statuizioni della sentenza alla luce di principi di diritto chiaramente individuati; in ordine, infine, alla statuizione di condanna al pagamento delle differenze retributive, ha dichiarato l’inammissibilità del motivo perché tendente alla ricostruzione del fatto operata dal giudice del merito.
4. Per la revocazione di tale sentenza ha proposto ricorso C.L. ai sensi dell’art. 395 n. 4 cpc.
5. Si è costituito con controricorso G.M. chiedendo il rigetto del ricorso ex adverso proposto.
Ragioni della decisione
1. Con l’articolata istanza di revocazione si sostiene che, in relazione al 1° motivo dell’originario ricorso per cassazione, testualmente formulato “ex art. 360 n. 5 cpc l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Omessa valutazione della condotta ex artt. 1175, 1375 e 2105, in relazione all’art. 2094 cc. Violazione degli artt. 2697 cc e 115 cpc e 416 comma 3 cpc”, erroneamente il motivo stesso era stato suddiviso in due censure con la conseguente trattazione di una norma non pertinente e di una analisi su cui erano stati sviluppati una serie di principi affatto aderenti alle richieste formulate.
2. In particolare viene dedotto che: a) era incontrovertibile l’inesistenza di “fatti”accertati che potessero giustificare la pronuncia di inammissibilità ai sensi dell’art. 348 ter cpc, se non era stato mai consentito l’accesso alla prova per dimostrare i suddetti fatti (domanda riconvenzionale spiegata dal L.); b) in ordine alla mancata prova del L. circa i danni, avrebbe dovuto essere applicato il principio di non contestazione, come stabilito dagli artt. 115 e 416 c. 3 cpc in relazione alle cui disposizioni era stata denunciato il vizio previsto dall’art. 360 n. 5 cpc; c) l’avere ritenuto infondata la censura sotto il profilo della violazione di norme di diritto era stato un errore della Corte; d) anche il riferimento all’art. 116 cpc costituiva un errore dei giudici di legittimità; e) parimenti il richiamo all’art. 2697 cc costituiva un errore revocabile stante la non contestazione dei fatti posti a fondamento della pretesa del M.
3. Preliminarmente è opportuno precisare che -come già ritenuto da questa Corte (Cass. n. 13299 del 2011; Cass. SS.UU. n. 4413 del 2016) – l’avvenuta fissazione della trattazione di un ricorso per revocazione in udienza pubblica – anziché in camera di consiglio – è pienamente legittima, in quanto non determina alcun pregiudizio ai diritti di azione e difesa delle parti, considerato che l’udienza pubblica rappresenta, anche nel procedimento davanti alla Corte di cassazione, lo strumento di massima garanzia di tali diritti, consentendo ai titolari di questi di esporre compiutamente i propri assunti. Inoltre in tale evenienza, ove il ricorso sia ritenuto ammissibile e fondato, non occorre il rinvio per la fase rescissoria potendo la Corte, nella stessa udienza pubblica, decidere il ricorso per revocazione ed eventualmente, in caso di suo accoglimento, anche il ricorso in precedenza deciso con la pronuncia oggetto di revocazione.
4. Tanto premesso, va rimarcato che questa Corte ha ripetutamente affermato che l’errore di fatto previsto dall’art. 395 n. 4 cpc, idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; l’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi di errore di giudizio; esso presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, ne consegue che non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico o siano frutto di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (cfr. Cass 3.4.2017 n. 8615 e i precedenti richiamati).
5. Con specifico riferimento alla revocazione delle sentenza della Corte di cassazione, si è poi affermato che l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto, individuandosi l’errore meramente percettivo risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da avere indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati, con la conseguenza che non risulta viziata da errore revocatorio la sentenza della Corte di cassazione nella quale il Collegio abbia dichiarato l’inammissibilità del ricorso per motivi attinenti al merito delle questioni e a valutazioni di diritto, e segnatamente alla asserita erronea applicazione di norme processuali, vertendosi, in tali casi, su errori di giudizio della Corte, con conseguente inammissibilità del ricorso per revocazione (cfr. anche Cass. SS.UU. n. 26022 del 2008).
6. In applicazione delle premesse in diritto sopra individuate, il ricorso è inammissibile in quanto l’errore in tesi imputato alla sentenza della quale è chiesta la revocazione non è riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 395 n. 4 cpc, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391 bis cpc.
7. E difatti il ricorrente, come sopra evidenziato in ordine alle doglianze mosse, si duole, in sostanza, che i giudici di legittimità abbiano male compreso i motivi dell’originario ricorso: ma ciò, per quanto detto, non può essere oggetto di errore revocatorio perché un vizio di questo tipo costituirebbe errore di giudizio e non un errore di fatto ai sensi dell’art. 395 comma 1 n. 4 cpc (cfr. Cass. 15.6.2012 n. 9835; Cass. 3.4.2017 n. 8615).
8. Inoltre, il L. deduce, in pratica, che la decisione della Corte sia conseguenza di una errata valutazione ed interpretazione delle risultanze processuali, sotto il profilo del principio di non contestazione, ma anche in questo caso deve sottolinearsi che è esclusa dal novero degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione e non sulla percezione di esistenza o inesistenza di un fatto (cfr. Cass. 31.8.2017 n. 20635) che la realtà effettiva, quale documentata in atti, induce rispettivamente ad escludere o affermare (cfr. Cass. 31.1.2012 n. 1383).
9. In conclusione, quindi, non venendo in rilievo errori di percezione che abbiano indotto il giudice a supporre l’esistenza di un fatto decisivo che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, ma riguardando, invece, la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile (Cass. 10.6.2009 n. 133678).
10. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, analogamente come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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