CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 giugno 2019, n. 15610
Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato – Inquadramento nella qualifica di collaboratore fisso ex art. 2 CCNL giornalisti – Diritto alle differenze retributive
Fatti di causa
1. Con sentenza non definitiva la Corte d’appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accertato la esistenza tra S. C., originario ricorrente, e A. s.p.a., società editrice del quotidiano “L’A.”, di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con inquadramento del lavoratore nella qualifica di collaboratore fisso ex art. 2 c.c.n.I. giornalisti, a decorrere dal settembre 1992, ed ha condannato la società al pagamento, in relazione al periodo settembre 1992/31dicembre 2004 delle conseguenti differenze retributive da quantificarsi in prosieguo di causa.
1.1. Il giudice di appello, respinta la eccezione di prescrizione avanzata dalla società, ha ritenuto sulla base di articolata disamina delle emergenze istruttorie che l’attività prestata dal C. in favore della A. s.p.a. fosse riconducibile alla figura del collaboratore fisso ex art. 2 c.c.n.l.g. con diritto del suddetto alle relative differenze retributive; ha respinto le ulteriori domande con le quali l’originario ricorrente aveva chiesto: a) il risarcimento del danno da demansionamento, prospettato sub specie di riduzione, a partire dall’anno 2002, del numero di articoli pubblicati rispetto al periodo precedente; b) il rimborso delle spese telefoniche e chilometriche, pacificamente riconosciuto dalla società datrice di lavoro nel periodo fino al 2001.
2. Con sentenza definitiva la Corte di merito ha condannato A. s.p.a. al pagamento dell’importo, pari alla 13A mensilità, da calcolarsi, secondo quanto previsto dall’art. 15 c.c.n.l.g., sul minimo contrattuale in relazione al periodo settembre 1992/marzo 1993 e, in relazione al periodo successivo, su quanto effettivamente percepito dal C., oltre accessori dalle singole scadenze al saldo.
2.1. Il giudice di appello ha limitato le differenze retributive a quanto spettante per 13A mensilità, senza riconoscere le maggiori somme richieste dal C. ritenute frutto della non corretta interpretazione dell’art. 2 del c.c.n.l.g. il quale, secondo la Corte di merito, aveva inteso solo stabilire un “minimo di retribuzione” in presenza di almeno otto (o quattro) <<pezzi>> al mese scritti dal collaboratore ma non anche indicare il valore unitario per ciascun pezzo (valore unitario sulla base del quale verosimilmente erano stati sviluppati i conteggi allegati dal lavoratore).
3. Per la cassazione di entrambe le sentenze ha proposto ricorso A. s.p.a. sulla base di un unico motivo; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso e ricorso incidentale affidato a tre motivi; A. s.p.a. ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale.
4. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
Ricorso principale
1. Con l’unico motivo di ricorso principale A. s.p.a. deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione dell’art. 2094 cod. civ. e, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Premesso di non voler invocare una diversa lettura delle emergenze probatorie assume l’errore del giudice di appello per avere condiviso una ricostruzione dei fatti insanabilmente in contrasto con le acquisizioni della prova orale e documentale laddove aveva configurato come di natura subordinata la collaborazione inter partes. Si duole, in particolare, del mancato accertamento della esistenza di uno specifico accordo che comportasse l’obbligo giuridico del C. di mettere a disposizione della società A. le proprie energie lavorative anche nell’intervallo di tempo tra una prestazione e l’altra, non potendo la sussistenza di siffatto accordo desumersi dalla mera assiduità della collaborazione.
Sintesi dei motivi di ricorso incidentale
2. Con il primo motivo di ricorso incidentale S. C. deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di legge e contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro con riferimento all’art. 2 e all’art. 5 c.c.n.l.g. 11.4.2001, già art. 2 c.c.n.l.g. reso efficace erga omnes con d. P.R. 16/01/1961 n. 153 e, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti. Censura la decisione per avere escluso la riconducibilità dell’attività espletata a quella di redattore, attività quest’ultima evincibile dalle specifiche modalità della prestazione resa con cadenza quotidiana e con contributo alla preparazione di una o più pagine del giornale.
3. Con il secondo motivo di ricorso incidentale deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di legge e di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro con riferimento all’art. 2103 cod. civ. e agli artt. 2 e 5 c.c.n.l.g. 11.4.2001, nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc.civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, con violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., in relazione al procedimento logico alla base del ragionamento presuntivo. Censura la decisione per avere escluso che vi fosse demansionamento pur avendo accertato la consistente sottrazione di mansioni determinata dalla riduzione del numero di articoli a partire da una certa data.
Assume, inoltre, la errata interpretazione della domanda relativa al demansionamento.
4. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di legge e di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro con riferimento all’art. 36 Cost., all’art. 2103 cod. civ., all’art. 2 e agli artt. 5, 10, 11, 12, c.c.n.l.g. 11/02/2001, nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, con violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. in relazione al procedimento logico alla base del ragionamento presuntivo. Censura la sentenza definitiva in punto determinazione del quantum per avere ritenuto di utilizzare quale parametro base per il relativo computo, la retribuzione minima riconosciuta dal contratto collettivo al collaboratore fisso che ha fornito quattro o otto collaborazioni al mese, senza considerare la misura mensile della retribuzione concordata tra le parti quantificata, secondo intese con il datore di lavoro, in base ad un valore unitario per singolo articolo. Ciò aveva determinato una inammissibile modifica in peius del trattamento sino a quel momento goduto dal lavoratore con violazione dell’art. 2103 cod. civ. Censura il rigetto della domanda relativa al rimborso delle spese fondata sulla prassi aziendale “non essendoci accordo scritto”.
Esame del motivo di ricorso principale
5. Il motivo di ricorso principale è infondato.
5.1. La Corte di appello ha ritenuto accertata la esistenza di un rapporto di lavoro subordinato riconducibile alla collaborazione fissa ex art. 2 c.c.n.l.g. sulla base di una serie di indici, tratti dalle emergenze istruttorie, i quali avevano evidenziato: a) la messa a disposizione del C. per un apprezzabile lasso temporale al fine della soddisfazione sistematica di un’esigenza informativa della testata giornalistica; b) la soggezione al potere direttivo ed organizzativo del datore di lavoro desumibile dal fatto che i pezzi scritti dal C. venivano controllati dal redattore il quale ne poteva chiedere anche la modifica e la correzione o anche la riscrittura; 3) il carattere esclusivo dell’attività di lavoro prestata per la testata “L’A.” ed il fatto che la continuità di collaborazione avesse indotto il caposervizio all’epoca del settore “provincia” a proporre per i collaboratori più assidui, quali il C., il riconoscimento di un minimo mensile. Il giudice di secondo grado ha, inoltre, escluso che sulla configurabilità del rapporto come di natura subordinata potessero incidere alcune circostanze quali l’assenza di uno specifico orario di lavoro da osservare, il fatto che il C. non fosse tenuto a chiedere di assentarsi per le ferie (in quanto in questi casi egli lasciava un numero di articoli da pubblicare giornalmente).
5.2. L’accertamento di fatto alla base della qualificazione come di natura subordinata del rapporto dedotto, non è stato validamente censurato in quanto parte ricorrente chiede, in realtà, una sostanziale rivisitazione delle emergenze della prova orale, senza individuare, come prescritto dall’attuale configurazione del vizio motivazionale denunziabile ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc civ. (Cass. Sez. Un. 7/4/2014 n. 8053), alcun fatto storico, di rilevanza decisiva, oggetto di discussione tra le parti, il cui esame – omesso dal giudice di merito- avrebbe comportato con giudizio di certezza e non di mera probabilità un diverso esito della lite (Cass. 26/06/2018 n. 16812; Cass. 28/09/2016 n. 19150).
5.3. In punto di diritto, osservato che nel giudizio di cassazione la qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato è sindacabile esclusivamente sotto il profilo dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, si rileva che la sentenza impugnata è conforme alla elaborazione della giurisprudenza di questa Corte in relazione ai parametri ai quali ancorare l’accertamento della subordinazione nell’ambito del rapporto di lavoro giornalistico. Secondo quanto chiarito da numerose pronunzie di legittimità, infatti, nell’ambito del lavoro giornalistico il carattere della subordinazione risulta attenuato per la creatività e la particolare autonomia qualificanti la prestazione lavorativa, nonché per la natura prettamente intellettuale dell’attività stessa di talché, ai fini dell’individuazione del vincolo della subordinazione, rileva specificamente l’inserimento continuativo ed organico delle prestazioni nell’organizzazione d’impresa, l’avere assicurato, quantomeno per un apprezzabile periodo di tempo, la soddisfazione di un’esigenza informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche, con il permanere nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, la disponibilità del lavoratore alle esigenze del datore di lavoro (Cass. 7/10/2013 n. 22785; Cass. 2/4/2009 n. 8068; Cass 12/2/2008 n. 3320; Cass. 6/3/2006 n. 4770; Cass. 9/4/2004 n. 6983; Cass. 29/11/2002 n. 16997; Cass. 12/8/1997 n. 7494; Cass. 9/8/1996 n. 7372; Cass. 28/7/1995 n. 8269).
5.4. Gli elementi valorizzati dal giudice di merito – costante messa a disposizione delle proprie energie lavorative da parte del C. in funzione della soddisfazione sistematica di una specifica esigenza informativa della testata giornalistica (e cioè la “copertura” informativa dell’area est della provincia di Verona), continuità di collaborazione, soggezione alle direttive della datrice di lavoro stante la possibilità del redattore di chiedere la modifica e la correzione o anche la riscrittura degli articoli – sono del tutto coerenti con le indicazioni dei richiamati precedenti di legittimità di talché la sentenza sul punto deve essere confermata.
5.5. Alla luce del rigetto nel merito del ricorso principale restano assorbite le eccezione di inammissibilità e improcedibilità dello stesso articolate dal controricorrente C. con riferimento alla produzione del contratto collettivo.
Esame dei motivi di ricorso incidentale
6. Il primo motivo di ricorso incidentale è infondato in relazione al denunziato errore di diritto. Si premette che il giudice di appello ha escluso la configurabilità dell’attività di redattore sul rilievo che il ricorrente non era tenuto al rispetto di un determinato orario di lavoro, non aveva obbligo o necessità di presenza in redazione, non era tenuto ad una prestazione oltre che continuativa anche quotidiana, non aveva partecipato quotidianamente alla attività di redazione concorrendo con la redazione alla formazione della pagina giornalistica.
6.1. I parametri ai quali la sentenza impugnata ha ancorato la verifica della riconducibilità dell’attività prestata dal C. alla figura del collaboratore fisso anziché del redattore sono conformi alle condivisibili indicazioni di questa Corte secondo la quale, ai fini della integrazione della qualifica di redattore e della sua distinzione dalle altre figure di giornalisti, è imprescindibile il requisito della quotidianità della prestazione in contrapposizione alla semplice sua continuità, caratterizzante la figura del collaboratore fisso, mentre non è di per sé sufficiente lo svolgimento di compiti propri di ogni attività giornalistica; la qualifica di redattore si caratterizza per il particolare tipo di notizie richieste e per il particolare inserimento nell’organizzazione e programmazione necessaria per la formazione del prodotto finale, con prestazione dell’attività lavorativa quotidiana e con l’osservanza di un orario di lavoro (Cass. 13/11/2018 n. 29182; Cass. 08/02/2011 n. 3037; Cass. 09/03/2004 n. 4797).
6.2. La denunzia del vizio di motivazione, pure articolata con il motivo in esame, risulta inammissibile in quanto non conforme all’attuale configurazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. , applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, alla stregua della quale in sede di legittimità è denunziabile esclusivamente l’omesso esame di un fatto storico di rilevanza decisiva, oggetto di discussione, tra le parti, dedotto nei rigorosi termini indicati dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. Un. 7/4/2014 n. 8053), fatto neppure concretamente individuato dall’odierno ricorrente incidentale il quale, in sintesi, si limita ad invocare un diverso apprezzamento di fatto delle emergenze istruttorie, sindacato precluso al giudice di legittimità.
7. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso da respingere.
7.1. La sentenza impugnata, premesso che il demansionamento era stato configurato dal C. come volontaria riduzione da parte del giornale della “pubblicazione” degli articoli inviati a partire dall’anno 2002 (v. sentenza pag. 23, ultimo capoverso), osservato che non erano venuti meno, in ragione di tale riduzione, i caratteri tipici delle mansioni di collaboratore fisso, ha ritenuto non r configurabile un demansionamento per il solo fatto della diminuzione del numero di collaborazioni non essendo rinvenibile, né nella legge, né nelle pattuizioni collettive, il diritto del collaboratore ad un certo numero di pezzi annuo; ha evidenziato che, in ogni caso, il numero di articoli pubblicati, a parte l’apice raggiunto negli anni centrali del rapporto -dal 1997 al 2001- era risultato mediamente lo stesso nei periodi anteriori e successivi.
7.2. La doglianza con la quale parte ricorrente deduce la non corretta interpretazione della domanda giudiziale relativa al demansionamento, in quanto ridotta al mero dato quantitativo, è inammissibile alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte il quale, premesso che la interpretazione della domanda giudiziale costituisce accertamento di fatto riservato al giudice di merito, richiede per la valida censura di tale accertamento la prospettazione di un vizio motivazionale (Cass. 6328 del 16/05/2000, n. 6328; Cass. 18/04/2000, n. 5034; Cass. 23/04/1999, n. 4064), vizio neppure formalmente dedotto con riferimento al profilo in esame dal ricorrente incidentale.
7.3. La censura relativa alla violazione delle norme di contratto collettivo muove dalla inesatta ricostruzione del percorso argomentativo del giudice di appello nell’escludere il ricorrere di un’ipotesi di demansionamento. Tale esclusione è stata fondata sulla premessa – non specificamente contestata dall’odierno ricorrente – che nessuna norma di legge o di contratto collettivo riconosce il diritto del collaboratore fisso ad uno specifico numero di pezzi annuo.
Con argomentazione aggiuntiva la Corte di merito ha osservato che anche ove, in base alla previsione collettiva, si volesse sostenere che il collaboratore fisso ha diritto ad un minimo di 8 o 4 collaborazioni a 96 o 48 collaborazioni annuali, si dovrebbe concludere che il C. aveva sempre fornito ed avuti pubblicati un numero di pezzi molto più elevati. Da tanto deriva che la doglianza con la quale si assume la inesatta interpretazione dell’art. 2 c.n.n.I.g. sul rilievo che con essa le parti collettive avevano solo inteso stabilire un minimo retributivo ma non anche fissare il numero minimo mensile di pezzi da parte del collaboratore fisso non investe la effettiva ratio decidendi alla base del rigetto della domanda relativa al demansionamento, ratio rappresentata dall’inconfigurabilità dello stesso in presenza di una riduzione solo quantitativa dell’attività, riduzione, peraltro, contenuta nei limiti corrispondenti alla media del periodo precedente all’apice rappresentato dagli anni 1997/2001, e non implicante anche un riflesso sugli aspetti qualitativi della prestazione resa.
7.4. Parimenti, priva di pertinenza con le effettive ragioni del decisum sopra rappresentate è la deduzione di violazione dell’art. 2103 cod. civ. non corredata, peraltro, dalla specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, come prescritto (Cass. 26/6/2013, n. 16038; Cass. 28/2/2012, n. 3010; Cass. 28/11/2007, n. 24756; Cass. 31/5/ 2006, n. 12984). Occorre, infatti, ribadire che, come sopra evidenziato, il rigetto della domanda relativa al demansionamento, scaturisce da un accertamento di fatto e non è frutto né dell’interpretazione del precetto portato dall’art. 2103 cod. civ. in contrasto con quella generalmente condivisa né di un difetto di sussunzione nella fattispecie astratta della fattispecie ricostruita sulla base delle emergenze in atti. La norma in esame non impone affatto, come sembra, al contrario, prospettare il ricorrente, di connettere ad ogni riduzione quantitativa di attività la violazione del precetto relativo all’obbligo di adibizione del lavoratore alle mansioni di assunzione o ad altre equivalenti in quanto, posto che l’esercizio dello “¡us variandi” datoriale, vigente l’art. 2103 c.c. nella formulazione anteriore alla novella operata con il d.lgs. n. 81 del 2015, trova il suo limite nella salvaguardia del livello professionale raggiunto dal prestatore, la verifica del pregiudizio di tale livello professionale non può che essere frutto di un accertamento concreto del giudice di merito (Cass. 06/11/2018, n. 28240; Cass. 03/02/2015, n. 1916; Cass. 04/03/2014, n. 4989; Cass. Sez. Un. 24/11/2006, n. 25033). Il concreto accertamento di fatto alla base della decisione impugnata poteva, pertanto,essere incrinato solo dalla deduzione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n, 5 cod. proc. civ., nel testo novellato, applicabile ratione temporis, dell’omesso esame di un fatto di rilevanza decisiva, oggetto di discussione fra le parti, evocato nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366 comma 1 n. 6 cod. proc. civ. (Cass. Sez. Un. 8053/2014 cit.), caratteristiche non declinabili rispetto alle circostanze invocate nel ricorso incidentale (v. pagg. 60, ultimo capoverso e sg.), già prima facie prive di decisività e, in ogni caso, non richiamate nel rispetto delle rigorose indicazioni della giurisprudenza sopraindicata.
7.5. Infine del tutto generica e non argomentata è la deduzione di violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., non articolata in conformità dell’insegnamento di questa Corte secondo il quale spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, (v., tra le altre, Cass. 27/10/2010, n. 21961; Cass. 02/04/2009, n. 8023; Cass. 21/10/2003, n. 15737).
8. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non si confronta con le ragioni sulle quali riposa la statuizione di rigetto della domanda intesa al conseguimento delle differenze retributive diverse dal diritto alla tredicesima mensilità.
8.1. La sentenza impugnata ha premesso che le differenze retributive richieste dal C., secondo quanto risultante dai conteggi allegati alla domanda, dovevano, pur in assenza di esplicitazione, ritenersi calcolate sulla base di un corrispettivo minimo per ogni pezzo, e che tale minimo era stato ricavato prendendo come base di calcolo l’importo stabilito dal c.c.n.l.g. per il numero di collaborazioni minime mensili (otto) il quale era stato diviso per otto e poi moltiplicato per il numero di articoli effettivamente scritti ogni mese; la pretesa del C. aveva ad oggetto la differenza tra l’importo così ricavato e quello effettivamente corrisposto dalla società. In adesione alle difese della società datrice di lavoro, il giudice di appello ha, quindi, ritenuto, con affermazione conforme alla giurisprudenza di legittimità (Cass. 22/10/2018, n. 26676; Cass 09/01/2014, n. 290), che quello previsto per i collaboratori fissi ex art. 2 c.c.n.l.g. costituisce un ” minimo mensile” in riferimento ad otto collaborazioni mensili ma non implica che la norma collettiva preveda anche un compenso a pezzo. In particolare la sentenza impugnata, pur non ritenendo irrilevante la concreta produzione di articoli effettuata nel periodo dedotto assume che non è possibile calcolare il dovuto attribuendo un valore unitario a ciascun pezzo sulla base del contratto collettivo.
8.2. In contrasto con quanto effettivamente statuito dalla Corte di merito, parte ricorrente, senza in alcun modo contrastare la ricostruzione dei criteri di elaborazione dei conteggi operata dalla sentenza impugnata, con il motivo in esame (v., in particolare, controricorso e ricorso incidentale, pag. 62, 4° capoverso) ascrive al giudice di appello l’errore di avere utilizzato quale parametro di base la retribuzione minima riconosciuta al collaboratore fisso <<che ha fornito 4 o 8 collaborazioni al mese >> e di avere reputato del tutto irrilevante, ai fini del decidere, quella che era stata la retribuzione mensile concordata tra le parti e corrisposta al C. nel corso del rapporto di lavoro. Tali censure, come già ricordato, non investono la effettiva ratio decidendi della sentenza (definitiva) incentrata esclusivamente sulla incongruità delle differenze retributive richieste sulla base di conteggi fondati sulla errata lettura della norma collettiva, ragione alla quale è estranea ogni questione connessa ad una pretesa modifica in peius del trattamento retributivo del dipendente. Parimenti inammissibile per la sua genericità la deduzione di violazione del canone di proporzionalità ex art. 36 Cost., sia con riguardo alle differenze retributive reclamate sia con riguardo ai rimborsi negati dal giudice di seconde cure.
9. Al rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale segue la compensazione delle spese di lite.
10. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002 nei confronti della ricorrente principale e del ricorrente incidentale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa le spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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