CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 giugno 2019, n. 15643
Tributi – ICI – Attribuzione di rendita catastale – Mancata impugnazione – Attribuzione definitiva per acquiescenza
Fatto e diritto
La società Hotel M. s.r.l. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento emesso dal Comune di Venezia per maggiori imponibili Ici relativi all’anno 2007 (per un ammontare complessivo di E 6.785,00) determinati sulla base delle rendite catastali riguardanti 2 immobili censiti in catasto nella categoria D/2 e siti in C. e contrassegnati al nr 246 e nr 230.
Con sentenza nr 4 del 5.1.2015 la CTP di Venezia accoglieva parzialmente il ricorso annullando l’avviso di accertamento relativamente all’immobile C. (230) confermandolo per il resto.
Avverso tale sentenza proponeva appello il Comune di Venezia chiedendo che venisse accertato la legittimità del proprio provvedimento in relazione alla parte per il quale era risultato soccombente.
Si costituiva l’Hotel M. s.r.l. chiedendo il rigetto dell’appello principale e spiegando appello incidentale .
Con sentenza nr 850/2016 la CTR Veneto accoglieva l’appello principale e rigettava quello incidentale.
Il giudice di appello rilevava in ordine all’eccepita nullità delle rendite che non era stata formulata una richiesta conclusiva in tal senso e che comunque la mancata impugnativa delle stesse, malgrado l’intervenuta notifica di cui la medesima contribuente dava atto, aveva comportato la attribuzione definitiva per acquiescenza.
Nel merito riteneva corretta la richiesta di pagamento della differenza rispetto a quanto liquidato e pagato dalla contribuente relativamente all’unità immobiliare (…).
Rilevava infatti che il ricorso al criterio contabile stabilito dall’art. 5 comma terzo del d.lvo 504/1992 e fatto proprio dalla contribuente, produceva effetti provvisori sino alla comunicazione della rendita attribuita la quale impone di determinare l’imposta effettivamente dovuta anche per le annualità in precedenza sospese stante la natura meramente accertativa della notifica.
Osservava in particolare che, contrariamente a quanto affermato dall’appellante che contestava la sussistenza di modifiche sostanziali, nell’anno 1987 la rendita attribuita aveva riguardato solo una parte del bene individuata come piano PT 1-2 ma era invece mancato il classamento individuato come piano 2-3-T notificato successivamente in data 13.7.2010.
Con riguardo all’immobile di C. (246) oggetto di appello incidentale il Giudice d’appello rilevava in punto di fatto che l’immobile nel corso dell’anno 2000 poco prima che la contribuente ne divenisse proprietaria, aveva subito una radicale modifica per la quale i venditori avevano proposto una rendita con procedura DOCFA poi modificata in aumento dall’amministrazione finanziaria e portata a conoscenza della società appellata in data 17.10.2010.
Riteneva pertanto legittimo il conguaglio di imposta chiesto dal Comune in conseguenza degli effetti della rendita per le medesime ragioni già illustrate con riferimento al bene del civico 230.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Hotel M. censurando sotto due profili l’impugnata pronuncia.
Resiste il Comune di Venezia eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 360 bis nr 1) c.p.c. e chiedendo nel merito il rigetto del ricorso per la sua infondatezza.
Entrambe le parti hanno depositato memorie integrative.
Con il primo motivo parte ricorrente si duole della pretesa violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30 DPR 1142/1949 nonché dell’art. 101 comma secondo ( mancata indicazione di una questione rilevata d’ufficio) in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1 nr 4 c.p.c..
Lamenta infatti che il giudice di appello non avrebbe correttamente interpretato la portata delle domande dedotte in causa sostenendo di aver espressamente formulato sia nel corpo dell’atto che nelle conclusioni richiesta di disapplicazione degli atti presupposti all’avviso di accertamento.
Contesta poi il carattere definitivo della rendita per effetto della mancata impugnativa . Sottolinea al riguardo di aver documentato la tempestività del ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento per fanno 2005 non appena era stata posta in grado di conoscere, attraverso la notifica del 5.2.2011, l’esistenza delle nuove rendite per l’immobile di C. 246.
La ricorrente si duole altresì della rilevazione d’ufficio da parte della CTR della definitività dell’attribuzione della rendita per mancata impugnativa pur in assenza di una specifica deduzione sul punto ad opera del Comune in contrasto con le previsioni dell’art. 101, II comma c.p.c. che impone l’assegnazione alle parti a pena di nullità di un termine non inferiore a 20 giorni e non superiore ai 40 giorni per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione.
Con un secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 74 comma 1, L. 2000 nr. 342 e art. 3 L. 212/2000 in relazione all’art. 360 comma 1 e 3 e violazione e/o falsa applicazione degli art. 101 comma 2 e art. 115 comma 2 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c.. comma 1 nr 3.
In particolare critica gli effetti retroattivi della variazione di classamento riconosciuti dal giudice dell’appello sulla base di una lettura non corretta dell’art. 74 della legge 342/2000 del quale non avrebbe colto la portata applicativa ai fini del calcolo dell’imposta dovuta.
Sostiene infatti che il computo dell’Ici per il periodo antecedente la notifica del 2010 avrebbe dovuto essere effettuato per l’immobile C. 230 applicando la rendita catastale del 1987 o in alternativa il criterio provvisorio ex art. 5, comma 3 del DIvo 504/1992.
Con riguardo all’immobile sito a C. 246 la ricorrente contesta la violazione dell’art. 74 citato e quindi l’applicazione retroattiva della rendita rilevando, da un lato, la mancata notifica del provvedimento attributivo,dall’altro la circostanza per cui la rendita proposta da precedente proprietario non produrrebbe effetti nei confronti della ricorrente, quale nuova proprietaria.
Per priorità logica va esaminata la questione di rito.
Il Comune eccepisce l’inammissibilità ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.. n. 1. in quanto la sentenza impugnata sarebbe stata resa in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare o confermare tale orientamento.
L’eccezione è infondata.
A tal fine va ricordato che nell’ipotesi in cui mediante il ricorso per cassazione venga dedotto come nella specie anche il vizio di motivazione della pronuncia impugnata non può trovare applicazione l’art. 360-bis n. 1 c.p.c., in presenza dei presupposti del quale è ammessa la declaratoria di inammissibilità del ricorso quando vengano in rilievo solo questioni di diritto (cfr Cass. 2018 nr 22326).
Con riguardo al primo motivo la censura non coglie nel segno.
Occorre ricordare che il processo tributario è strutturato secondo le regole proprie del processo impugnatorio di provvedimenti autoritativi e, in particolare, di quelli enumerati all’art. 19 d. 1gs. 31 dicembre 1992 n. 546, per cui l’oggetto del giudizio, da promuovere nei confronti del soggetto che ha emanato l’atto, è circoscritto agli elementi della sequenza procedimentale propria del provvedimento impugnato, con rigida preclusione di qualsiasi contestazione coinvolgente fasi precedenti, sì che la legittimità di un atto a contenuto concreto ed autonomamente impugnabile davanti al giudice adito, non reso oggetto di diretta ed autonoma impugnazione. non è suscettibile di delibazione in base a cognizione meramente incidentale, essendo consentita la disapplicazione (e quindi, la cognizione meramente incidentale) solo di atti e provvedimenti a contenuto normativo o generale (Cass. 21 aprile 2011 n. 9183).
Correttamente in questo quadro la CTR al di là della esplicita formulazione delle conclusioni che si assumono mancanti, ha rilevato che le contestazioni mosse dal contribuente all’atto di attribuzione della rendita erano infondate perché quell’atto non era stato impugnato.
L’impugnativa infatti avrebbe dovuto proporsi nei confronti dell’Agenzia del Territorio unico legittimato a contraddire ad essa.
La conclusione raggiunta dal Giudice di appello è frutto di una mera valutazione degli atti di causa così come ricostruita dalle parti sicché non è configurabile alcun vizio di ultra petizione nei termini invocati dalla ricorrente.
L’appellata nella parte narrativa aveva riconosciuto di aver ricevuto la notifica delle rendite relative ai due immobili e la CTR ha constatato che nessuna impugnativa era stata svolta dalla contribuente traendo da tale l’atto le conseguenze sul piano giuridico in termini di definitività per acquiescenza.
Ciò posto passando all’esame del secondo profilo di censura va evidenziato che il giudice d’appello, sulla scorta della documentazione prodotta ,ha accertato relativamente al fabbricato nr 230 l’attribuzione di una rendita che era stata riferita ad una sola porzione dell’immobile (PT 1-2) mentre il classamento per la rimanente ( 2-3-T) era stato notificato in data 13.7.2010.
La complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata. Non può essere messa in discussione contrapponendo a quella ivi operata una propria diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Cass. 2017 nr. 15190).
Così delimitato l’ambito cognitorio va osservato che controversia originata dalla notifica dell’avviso di accertamento ICI, da parte del Comune di Venezia – vede la contribuente contestare l’attribuzione della rendita, recepita dall’atto impositivo impugnato. sotto il solo profilo della sua inefficacia per le annualità anteriori alla notifica della rendita medesima, pur essendo essa attribuita o modificata dopo il 1 gennaio 2000.
La questione va dunque risolta alla luce del principio affermato da questa Corte, a partire dalla sentenza n. 3160/2011 delle Sezioni Unite, secondo cui “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), la L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, comma 1, nel prevedere che, a decorrere dal 1° gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, va interpretato nel senso dell’impossibilità giuridica di utilizzare una rendita prima della sua notifica al fine di individuare la base imponibile dell’ICI, ma non esclude affatto l’utilizzabilità della rendita medesima, una volta notificata, a fini impositivi anche per annualità d’imposta “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso“;
secondo quanto puntualizzato dalle Sezioni Unite nella sopra indicata sentenza, “il metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili, previsto dal Dlgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D. non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, vale sino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, mentre, dal momento in cui fa la richiesta, il proprietario, pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale, sicché può essere tenuto a pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tali sensi), o avere diritto di pagare una somma minore, potendo, quindi, chiedere il relativo rimborso nei termini di legge”;
Nel solco della sopra ricordata pronuncia, questa Corte ha ulteriormente precisato che, per gli atti comunque attributivi e modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati la necessità della notificazione. ai sensi della L. n. 342 del 2000, art. 74, costituisce condizione di efficacia degli stessi solo a decorrere dal primo gennaio 2000, mentre per gli atti comportanti attribuzione di rendita adottati entro il 31 dicembre 1999, il Comune può legittimamente richiedere l’imposta dovuta in base al classamento, che ha effetto dalla data di adozione e non da quella di notificazione (Cassazione civile, sez. trib. 2018 nr 4613; Cass. 09/06/2017, n. 14402, Cass.2016 n. 18056; 2016 n. 12330; Cass. 2012 n. 12753; ;Cass. n. 5621/2014;)” e ciò in quanto gli atti attributivi della rendita hanno funzione meramente accertativa della concreta situazione catastale dell’immobile (cfr. 12029 del 25 maggio 2009; n. 16031/2009; Cass. n. 4335 del 2015 Cass. ord. n. 14773 del 2011; Cass. n. 23600 del 2011; 12753 del 2014; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 23600 del 11/11/2011; Cass. S.U. n. 3160/2011; Cass. n. 18056/2016; n. 12320/2016; n. 12753/2014; n. 9203/2007; Cass.. Sez. 5. Sentenza n. 18056 del 14/09/2016; Cass. n. 14402 del 2017; Cass 2018 nr 4613).
L’inciso “solo a decorrere dalla loro notificazione” – su cui il ragionamento della contribuente fa leva – se, da un lato, è indicativo della impossibilità giuridica di utilizzare una rendita che non risulti previamente notificata, dall’altro non esclude affatto la utilizzabilità della rendita (una volta notificata) a lini impositivi, anche per annualità d’imposta anteriori (“sospese”, nel lessico impiegato dalle sezioni unite) ancora suscettibili di accertamento, di liquidazione o di rimborso (cfr Cass 2017 nr 29198).
La notificazione della rendita attribuita, in definitiva, costituisce il presupposto (oltre che per l’impugnazione da parte del contribuente) per l’utilizzo della stessa da parte dell’amministrazione comunale che agisca per il pagamento dell’Ici; e ciò con riguardo anche alle annualità pregresse (ed a maggior ragione per quella ancora in corso al momento della notificazione) in ordine alle quali la posizione lei non risulti essere stata definita proprio in attesa dell’attribuzione della rendita notificata.
Poste tali premesse va osservato che nel caso di specie la rendita catastale, sulla base della quale è stata riliquidata l’ICI per l’anno 2007 , è stata messa in atto dal 12.11.2009,com’è ricavabile dalle visure catastali, e notificata il 13.7.2010, per cui la sentenza impugnata appare conforme ai sopra richiamati principi perché non trascura la rilevanza del momento di attribuzione della rendita catastale e della notificazione alla contribuente del relativo atto da parte dell’Agenzia del territorio, sicché è corretta la liquidazione della maggiore imposta da parte del Comune anche in relazione alle annualità d’imposta anteriori all’attribuzione della rendita in questione.
Il criterio contabile previsto dall’art. 5, comma terzo del decreto legislativo 504/1992 utilizzato dalla contribuente produce effetti provvisori in attesa di attribuzione della rendita in via definitiva.
Nessun rilievo può assumere il controllo effettuato nei riguardi del contribuente nell’anno 2000 non essendo stata a quell’epoca ancora notificata la rendita definitiva.
Le considerazioni sin qui esposte valgono anche per l’immobile nr 246 ove come si è detto il classamento è pacificamente avvenuto attraverso la procedura DOC.FA ed è stata registrata, come tale, negli atti catastali in epoca antecedente all’atto di acquisto da parte dell’odierna ricorrente.
Ne consegue pertanto che il ricorso alla procedura DOCFA, prevista dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701, ai fini del classamento dell’immobile, abilita il Comune ad emettere direttamente avviso di liquidazione I.C.I. senza dover procedere alla preventiva notifica della rendita catastale proposta, trovando applicazione il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11 che autorizza l’ente territoriale ad effettuare accertamenti sulla base di dati comunque acquisiti.
La peculiarità del procedimento di determinazione della rendita, fondato sulla collaborazione del contribuente, porta inoltre, ad escludere l’autonoma impugnabilità dell’atto impositivo (Cass. n. 19943 del 2010).
La S.C. ha da tempo precisato. infatti, che: “Il contribuente che si avvalga della procedura DOCFA ai fini della determinazione della rendita catastale, ai sensi del D.M. 19 aprile 1994, n. 701 pone in essere un’attività collaborativa che comporta soltanto, in caso di variazione della rendita originaria, la non applicazione di sanzioni (salvo nel caso in cui lo scarto ecceda la misura del 30%), ma abilita il Comune ad emettere avviso di liquidazione, senza necessità di preventiva notifica della rendita“. (Cass. 2018 n. 25576).
La rendita proposta non rettificata veniva iscritta in catasto in via definitiva dal 2001 e sulla somma così determinata il Comune provvedeva al recupero del conguaglio della maggiore imposta. Posto che nel caso in esame è pacifico che la contribuente si sia avvalsa della suindicata procedura, da parte del comune, in sede di variazione, non vi era alcun obbligo di notifica.
Nessuna rilevanza assumono poi gli accordi intercorsi fra le parti in sede di compravendita inidonei a modificare la rendita catastale che può essere variata solo attraverso la procedura DOC.FA o la rettifica in autotutela .
Né si può affermare che il Comune fosse obbligato ad una nuova notifica della rendita a seguito del trasferimento della titolarità del bene.
La procedura DOCFA esplica i suoi effetti in relazione allo specifico immobile a prescindere dai trasferimenti di proprietà .
Con riguardo poi agli effetti della nuova rendita valgono le considerazioni sopra esposte relativamente alla portata applicativa dell’art 74, comma 1 L. 342/2000.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese di questa fase seguono la soccombenza e si liquidano secondo i criteri del DM 37/2018.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore del Comune di Venezia delle spese processuali che si liquidano in complessivi E 2.900,00 oltre accessori di legge ed al 15% per spese generali;
dà atto ,ai sensi del DPR nr 115 del 2002, art. 13, comma quater della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo dì contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
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