CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 giugno 2021, n. 16670
Tributi – Accertamento catastale – Procedura DOCFA – Impianti strumentali della centrale idroelettrica – Rendita catastale – Determinazione
Ritenuto
1. – La Commissione tributaria regionale della Toscana, con sentenza n. 606 del 19 giugno 2017, pubblicata il 20 marzo 2018, ha confermato la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Lucca, n. 319/2015, di rigetto del ricorso proposto dalla società E.P. s.p.a. avverso I’ avviso di accertamento catastale, notificato il 26 luglio 2012, recante rettifica in ragione di € 118.616,80 della rendita proposta (€ 81.322,00) dalla contribuente colla dichiarazione, modello DOCFA, in relazione agli impianti strumentali (edifici, diga, invaso, opere di presa, galleria di derivazione) della centrale idroelettrica di Torrite, siti in territorio del comune di Careggine e riportati in catasto al foglio 20, part. 4451, sub. 4.
2. – La società contribuente ha proposto ricorso per cassazione mediante atto del 22 ottobre 2018.
E, con memoria del 17 febbraio 2021, ha insistito per l’accoglimento della impugnazione.
3. – L’Avvocatura generale dello Stato ha resistito mediante controricorso del 28 novembre 2018.
Considerato
1. – La Commissione tributaria regionale ha motivato la conferma della sentenza impugnata, osservando, in relazione ai corrispondenti motivi di gravame, della contribuente: a) non è fondata l’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento catastale impugnato, formulata dalla appellante sotto il profilo del vizio della motivazione; il provvedimento di rettifica è stato adottato nell’ambito di «procedimento DOCFA che si connota di struttura fortemente partecipativa »; e correttamente la Commissione tributaria provinciale ha valutato che « la stima eseguita integra il presupposto e il fondamento motivazionale dell’avviso di accertamento »; b) nel merito la determinazione della maggiore rendita risulta fondata « sulla base di elementi fattuali, quali i sopralluoghi, il costo di produzione dei beni, il costo unitario del calcestruzzo, il criterio […] del costo a nuovo dei macchinari e il coefficiente di deprezzamento»; in conclusione la Amministrazione finanziaria ha offerto la prova dell’accertamento; c) con particolare riguardo al costo del calcestruzzo e al calcolo del deprezzamento » il primo risulta «determinato in aderenza a criteri attendibili e omogenei» alla stregua del prospetto indicato nelle controdeduzioni della Agenzia delle entrate, presentate il 12 aprile 2016, pp. 8 e 9; il criterio adottato per il calcolo del deprezzamento è stato « previamente accettato, come riferisce l’Ufficio, dalla stessa società appellante».
2. – La ricorrente sviluppa due motivi di ricorso.
2.1 – Col primo motivo denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2697 cod. civ.
La ricorrente obietta: l’Agenzia delle entrate non ha dimostrato «la correttezza e congruità dei valori attribuiti ai beni in contestazione nell’atto impugnato»; nei gradi di merito l’Ufficio non ha prodotto «alcun elemento documentale sulla scorta del quale è stata operata la rettifica»; e nella valutazione del deprezzamento ha proceduto «in modo sempolicistico […] obliterando tutte le distinzioni sussistenti tra le diverse tipologie di opere ».
2.2 – Con il secondo motivo di ricorso, la contribuente denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 10 del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, [convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249,] e in relazione all’art. 1, comma 244, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
Sulla premessa che la disposizione dell’art. 1, comma 244, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, la quale richiama le istruzioni della circolare dell’Agenzia del territorio n. 6/2012 del 30 novembre 2012, costituisce norma di interpretazione autentica, con efficacia ex tunc, sicché l’Agenzia del territorio avrebbe dovuto adottare i criteri stabiliti nella circolare «pur se emanata in data successiva all’avviso di accertamento catastale, in quanto la stessa è meramente esplicativa dei criteri forniti dall’art. 10 del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652», la ricorrente censura che I’ Ufficio avrebbe applicato «un erroneo coefficiente di deprezzamento per vetustà e […] sovrastimato il costo del calcestruzzo» e, in proposito, mediante inserimento nel corpo del ricorso, di diffuse citazioni testuali, ripropone i rilievi formulati nella relazione tecnica, redatta dall’ing. I., depositata il 27 aprile 2015 nel giudizio di prime cure.
3. – Il ricorso è infondato.
3.1 – Priva di fondamento è la denunzia della violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.
Nella giurisprudenza di legittimità è, per vero, affatto consolidato l’orientamento secondo il quale « la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata»; mentre non sono riconducibili alla previsione in parola del codice di rito le censure che – esattamente al pari di quelle sviluppate della ricorrente – investono « la valutazione che il giudice abbia svolto» circa il merito della prova (Sez. 3, sentenza n. 13395 del 29/05/2018, Rv. 649038 – 01; Sez. 4, sentenza n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541 – 01; Sez. 3, sentenza n. 15107 del 17/06/2013, Rv. 626907 – 01; Sez. 5, sentenza n. 2935 del 10/02/2006, Rv. 586772 – 01; Sez. 3, sentenza n. 13618 del 22/07/2004, Rv. 575433 – 01; Sez. 5, sentenza n. 6055 del 16/04/2003, Rv. 562210 – 01; Sez. 3, sentenza n. 2155 del 14/02/2001, Rv. 543860 – 01; Sez. 1, sentenza n. 11949 del 02/12/1993, Rv. 484583 – 01).
Epperò risulta palese che la Commissione tributaria regionale non è incorsa nella denunziata violazione di legge, in quanto sotto nessun profilo ha contravvenuto alla regola della distribuzione dell’ onere probatorio.
3.2 – Il secondo motivo, prospettato in termini di «violazione e falsa applicazione» delle disposizioni di legge indicate, è inammissibile.
3.2.1 – Non è per vero fondata l’eccezione in tal senso formulata dalla Avvocatura generale dello Stato (v. controricorso, pp. 14 – 15), sotto il profilo della novità della questione non prospettata nel libello introduttivo e implicitamente introdotta in prime cure colla relazione tecnica depositata il 28 aprile 2015: la disposizione dell’art. 1, comma 244, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, è norma di interpretazione autentica (Sez. 6-5, sentenza n. 3166 del 18/02/2015, Rv. 634604 – 01) e costituisce ius superveniens sicché non opera il divieto delle domande nuove (v. in generale Sez. 2, sentenza n. 29099 del 18/12/2020, Rv. 660115 – 01; Sez. 5, sentenza n. 22016 del 13/10/2020, Rv. 659078 – 01; Sez. 2, sentenza n. 8284 del 25/03/2019, Rv. 653161 – 01; Sez. U, sentenza n. 21691 del 27/10/2016, Rv. 641723 – 01; Sez. 5, sentenza n. 11470 del 23/05/2014, Rv. 630980 – 01)
3.2.2 – Giova, invece, considerare che non è controverso, in punto di fatto, che l’Agenzia del territorio ha operato la rettifica della rendita proposta mediante « stima diretta per ogni singola unità », secondo quanto prescritto dall’art. 10, primo comma, del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, e che alla stima ha proceduto secondo il metodo del costo di riproduzione deprezzato, in relazione alla vetustà e/o alla obsolescenza degli impianti (ai sensi dell’art. 28, secondo comma, del Regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano, approvato con d.P.R. 1° dicembre 1949, n. 1142).
3.2.3 – Orbene le censure, sviluppate dalla ricorrente sulla scorta delle riprodotte osservazioni della difesa tecnica, esulano palesemente dall’ambito della violazione e/o della falsa applicazione delle norme di diritto e investono, invece, il merito – sotto i profili della congruenza e della esattezza – della stima in concreto operata dalla Agenzia del territorio.
Sicché il motivo di impugnazione, non riconducibile alla previsione dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. non deve ritenersi consentito nel presente giudizio di legittimità alla luce del consolidato orientamento secondo cui « il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa» (Sez. 1, ordinanza n. 6519 del 06/03/2019, Rv. 653222 – 01; Sez. 6-2, ordinanza n. 11603 del 14/05/2018, Rv. 648533 – 01; Sez. 5, sentenza n. 25332 del 28/11/2014, Rv. 633335 – 01; Sez. 6-5, ordinanza n. 19959 del 22/09/2014, Rv. 632466 – 01).
4. – Le spese del presente giudizio, congruamente liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.
5. – La reiezione del ricorso comporta, infine, trattandosi di impugnazione notificata dopo il 31 gennaio 2013, la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 – bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro cinquemila/00 per compensi, oltre rimborso spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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