CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 luglio 2019, n. 18706
Licenziamento disciplinare – Operatore giudiziario – Continuità delle condotte addebitate – Proporzionalità della sanzione
Fatti di causa
1. S.D. ha proposto ricorso per cassazione, con due motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo che, riformando la pronuncia del Tribunale di Termini Imerese, ha respinto l’impugnativa del licenziamento disciplinare intimato alla lavoratrice per avere reiteratamente ricevuto dall’utenza, nel corso dell’attività svolta come operatore giudiziario, denaro contante, in misura pari ai diritti di copia, di cui poi si era appropriata, distruggendo, occultando e sopprimendo altresì gli atti di richiesta delle copie.
La Corte territoriale, andando di contrario avviso sul punto che aveva fondato la pronuncia di prime cure, rilevava come con D.P.C.M. 84/2015 vi fosse stata individuazione della Direzione generale del personale e della formazione quale ufficio competente anche per i procedimenti disciplinari, così prestando osservanza all’art. 55-bis, co. 4, d. lgs. 165/2001 nella parte in cui esso imponeva la previa individuazione, per ragioni di terzietà, dell’ufficio che doveva condurre e definire il procedimento, come era poi avvenuto nel caso di specie ove appunto il Dirigente generale aveva proceduto e provveduto in tal senso, mentre era irrilevante, data la sussistenza della legittimazione nei termini sopra detti, che il Dirigente non avesse manifestato nel provvedere la propria formale qualificazione in tal senso. Il giudice d’appello riteneva poi infondate le censure attinenti al merito dei fatti, sul presupposto che le circostanze contestate fossero da ritenere comprovate sulla base degli elementi di indagine desumibili dall’ordinanza applicativa degli arresti domiciliari a carico della ricorrente e che la sanzione fosse altresì adeguatamente proporzionata tenuto conto della delicatezza delle mansioni e della continuità delle condotte addebitate.
Il Ministero è rimasto intimato.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo adduce, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 69 d. lgs. 150/2009, in relazione all’art. 55-bis, co. 4, d. lgs 165/2001 e motivazione contraddittoria ex art. 360 n. 5 c.p.c., per essersi ritenuta legittimo il licenziamento nonostante la sanzione fosse stata irrogata dal Direttore Generale, quale titolare della Direzione Generale del Personale e della Formazione, senza alcun riferimento all’Ufficio per i procedimenti disciplinari e senza che risulti l’indicazione, quale unico componente del medesimo ufficio, di tale Direttore.
2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente sostiene, richiamando l’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 27, co. 2 della Costituzione, dell’art. 13, co. 8, del C.C.N.L. 2002/2005 e dell’art. 27 del C.C.N.L. 2006/2009 e denunciando contraddittorietà della motivazione, sul presupposto che la sentenza impugnata abbia indebitamente desunto la sua responsabilità dal contenuto dell’ordinanza di custodia cauetalare emessa dal G.I.P. di Termini Imerese, senza attendere il formarsi del giudicato penale, neanche in relazione alla sentenza di patteggiamento poi intercorsa.
3. Non è fondato l’assunto, di cui al primo motivo, secondo cui l’individuazione dell’U.P.D. nel Direttore della Direzione Generale del Personale sarebbe inadeguata perché non risulterebbe che l’incarico riguardasse il solo dirigente a capo della struttura come persona fisica.
3.1. L’art. 5 D.P.C.M. 84/2015 su cui ha fatto leva la Corte territoriale è esplicito nel riconoscere la competenza per i procedimenti disciplinari più gravi in capo alla Direzione Generale del personale della formazione.
Non essendovi altre specificazioni, tale competenza non può poi che essere ravvisata nell’organo di vertice di tale Direzione, come è avvenuto.
3.2 D’altra parte, una volta certa la legittimazione in capo a chi ha sottoscritto l’atto, è del tutto irrilevante che la qualità del medesimo sia stata indicata in riferimento alla veste ricoperta all’interno dell’ente e non rispetto all’U.P.D., anche perché non vi è questione alcuna rispetto al fatto che si trattasse di atto disciplinare, la cui pertinenza all’U.P.D. va presunta, né può essere smentita dal solo rilievo attinente alle indicazioni formali riguardanti la qualifica del firmatario.
4. Quanto al secondo motivo, non vi è ragione giuridica per cui l’U.P.D. non potesse formare il proprio convincimento sulla base degli elementi tratti dal provvedimento con cui fu disposta la misura cautelare penale a carico della D., richiamando in particolare le intercettazioni audio e video e i riscontri della polizia giudiziaria.
L’istruttoria disciplinare non è da condursi secondo un sistema di prove tipiche e dunque qualunque elemento sia ritenuto motivatamente idoneo al convincimento può essere utilizzato.
4.1 Il motivo di ricorso fa peraltro leva anche sul fatto che il C.C.N.L. prevede quali ipotesi di licenziamento quelle riconnesse a fatti per i quali vi sia stata condanna penale passata in giudicato per un reato commesso in servizio.
La questione è inammissibile, perché la ricorrente non riporta, al fine di impedire che essa sia da ritenere nuova (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675), i passaggi dei gradi di merito attraverso i quali tale aspetto fosse stato precedentemente evidenziato quale vizio della sanzione finale.
Essa poi anche infondata nel merito.
Infatti l’art. 13, co. 7, del C.C.N.L. richiamato dalla stessa ricorrente fa salva la possibilità che la sanzione disciplinare sia applicata, nel rispetto dei principi generali fissati dalla medesima norma, anche al di fuori dalle ipotesi espressamente tipizzate e dunque consente, allorquando il fatto consista in un reato per il quale non sia ancora intervenuta condanna penale o comunque condanna in giudicato, che la P.A. provveda sulla base di una valutazione di gravità e proporzionalità autonoma rispetto alle casistiche tipizzate, come è accaduto nel caso di specie.
4. Nulla sulle spese, in quanto il Ministero è rimasto intimato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13.
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