CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 luglio 2019, n. 18707
Procedimenti disciplinari – Sospensioni dal servizio – lstanza di revisione – lndebita ricostituzione delle pensioni – Falsità documentali
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Roma ha rigettato il gravame avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda di F. L. di annullamento del provvedimento dell’I.N.P.S. con il quale era stata rigettata la sua richiesta di revisione dei procedimenti disciplinari di cui alle sospensioni dal servizio del 11.5.1993 e 1.7.1996 e la domanda di condanna dell’Istituto al risarcimento dei danni.
La Corte territoriale premetteva che oggetto del contendere era l’istanza di revisione avente ad oggetto la sospensione cautelare del 11.5.1993, che indicava come avente per presupposto essersi discostato il dirigente dalle disposizioni della Direzione Generale, provvedendo al riesame di numerose domande di ricostituzione di pensione interessate da una sopravvenuta sentenza della Corte Costituzionale, nonostante si trattasse di situazioni già correttamente definite con la reiezione e quindi procedendo sulla base di atti considerati erroneamente interruttivi ed in parte artatamente retrodatati.
La Corte riteneva che la sospensione cautelare fosse stata legittimamente attuata sul presupposto, previsto dal Regolamento Organico del Personale, della ricorrenza di gravi motivi, ravvisati come sussistenti stanti le condotte di cui sopra e stante inoltre che, nel provvedimento di sospensione, era stato contestato altresì che il L. non avesse informato il proprio superiore della richiesta di rinvio a giudizio avanzata nei suoi confronti per altri reati.
Quanto alla susseguente determinazione disciplinare n. 91/96 di sospensione dalla qualifica per dodici mesi, sopravvenuta nel 1996, la Corte ne ravvisava la fondatezza sulla base della sistematicità delle inadempienze e del fatto che le intervenute assoluzioni non interferivano con essa, ovverosia con l’indebita ricostituzione delle pensioni sulla base di atti artefatti, in quanto esse riguardavano altre vicende, mentre le sentenze di assoluzione per le falsità documentali si erano avute per prescrizione a quindi non smentivano gli esiti disciplinari.
Quanto poi alla successiva sospensione cautelare del 1.7.1996, adottata alla luce del rinvio a giudizio del L. per vari reati, la Corte territoriale riteneva infondato l’assunto del ricorrente secondo cui vi sarebbe stata violazione dell’art. 4 L. 97/2001, che consentiva la sospensione dal servizio per i casi di condanna non definitiva, in quanto l’art. 3 della stessa legge faceva salve le ipotesi di sospensione disposte in conformità dei rispettivi ordinamenti, come riteneva fosse avvenuto nella fattispecie in esame.
2. Avverso la sentenza il L. ha proposto tre motivi di ricorso per cassazione, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso dell’I.N.P.S., contenente anche ricorso incidentale condizionato sulla giurisdizione.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo è rubricato come «violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali – violazione artt. 112 e 277 c.p.c.» e si incentra sulla contestazione della valutazione della Corte d’Appello in ordine alla sussistenza dei gravi motivi che avrebbero giustificato la sospensione cautelare del 1993.
1.1 Si tratta di motivo inammissibile in quanto, a fronte della chiara motivazione in proposito da parte della Corte territoriale già sopra riepilogata, la censura propone (pag. 14 ss del ricorso) sostanzialmente una generica revisione delle valutazioni di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione. (Cass. S.U. 25/10/2013, n. 24148).
1.2 In prosieguo (pag. 16 ss) il motivo fa riferimento a questioni attinenti ad una possibile definizione mediante “patteggiamento disciplinare” ai sensi del Regolamento del personale, lamentando altresì di non avere mai ricevuto notifica dei corrispondenti testi regolamentari e ciò anche in relazione alla motivazione del giudice di primo grado secondo cui, avendo egli patteggiato, non avrebbe potuto poi rimettere in discussione il provvedimento “domestico”.
1.3 Di tali questioni non vi è menzione alcuna nella sentenza di appello.
In proposito vale il principio per cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è necessario che il ricorrente non solo dimostri che al giudice dei merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria e ineludibile, ma anche che «tali istanze, nel ricorso per cassazione, siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini, ovvero per riassunto del loro contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne la ritualità e la tempestività e la decisività delle questioni prospettatevi» (Cass. 4 luglio 2014, n. 15367; Cass. 19 marzo 2007, n. 6361).
In proposito il ricorso è del tutto inidoneo, non emergendo con precisione dove, come e quando le relative questioni fossero state sollevate, né se esse furono coltivate con l’atto di appello, di cui tanto meno si trascrivono i necessari e corrispondenti passaggi motivazionali.
2. Il secondo motivo è rubricato «nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 n. 4 c.p.c.)».
Tale motivo riguarda la decisione di secondo grado nella parte inerente il provvedimento disciplinare n. 91/96 e con esso si assume che la sentenza sia del tutto nulla perché «motivata sulla decisione della Corte di Cassazione n. 5091/06 che non doveva rilevare in decisione» in quanto essa non aveva «nulla a che vedere con il primo procedimento disciplinare, ma riguardala) solo il secondo».
2.1 Anche tale motivo è inammissibile.
Esso, infatti, basandosi (pag. 19 del ricorso, in particolare, poi, pag. 21) sull’asserita incoerenza tra oggetto degli atti disciplinari e circostanze poste a fondamento, rispetto a tali atti, della decisione della Corte d’Appello, avrebbe dovuto essere corredato, come non è accaduto, dal puntuale richiamo e trascrizione del (primo) provvedimento disciplinare esaminato in parte qua dalla Corte (il n. 91/96) di modo da farne percepire la motivazione ed il fondamento, nonché dal richiamo e trascrizione dei diversi atti disciplinari (il secondo, secondo quanto dice il ricorrente che invece si erano fondati su quella sentenza penale della Corte di Cassazione.
Ciò al fine di evidenziare, già attraverso l’argomentare del ricorso, il verificarsi in concreto dell’errore denunciato.
In mancanza, la formulazione del motivo si pone in contrasto con i presupposti giuridici e di rito di cui all’art. 366, co. 1, c.p.c. e con i principi di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, ai n. 4 e 6 della predetta disposizione, da cui si trae, nel contesto comune del principio di specificità, l’esigenza che l’argomentare sia idoneo a manifestare la pregnanza (ovverosia la decisività) del motivo, attraverso non solo il richiamo ai documenti che possono sorreggerlo, ma con l’inserimento logico del contenuto rilevante di essi nell’ambito del ragionamento impugnatorio.
Oltre a ciò, nel prosieguo il motivo si diffonde in argomentazioni rispetto alla trattazione delle pratiche di ricostituzione delle pensioni, proponendo, attraverso richiami a plurime risultanze istruttorie, una nuova valutazione del merito sul punto, che è ancora inammissibile in sede di legittimità.
3. Il terzo motivo è infine rubricato quale denuncia di «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio – art. 360 n. 5 c.p.c.».
3.1 Esso tuttavia consiste in un insieme di difese, su molteplici aspetti del giudizio, di cui talora sfugge il nesso immediato rispetto a quanto deciso in secondo grado. Nulla a che vedere, insomma, con la puntuale e specifica individuazione di ben precisi fatti di cui sia stato omesso l’esame e rispetto ai quali sia possibile organizzare c svolgere una valutazione di decisività, nei termini di cui all’art. 360 n. 5 su cui viene fondata la censura.
4. Infine si rileva, ad abundantiam, come la memoria difensiva finale si concentri sull’identificazione dell’errore revocatorio che indica come «quello oggi invocato» (pag. 1), a ulteriore riprova (è evidente che se gli errori denunciati fossero di natura revocatoria, non potrebbe per essi proporsi ricorso per cassazione) della complessiva irritualità dell’iniziativa giudiziaria dispiegata in questa sede.
5. L’inammissibilità del ricorso principale manda assorbito il ricorso incidentale condizionato con cui l’I.N.P.S. ha riproposto la questione di giurisdizione, sul presupposto che il contendere dovesse essere radicato presso il giudice amministrativo.
6. Le spese del giudizio di legittimità restano regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito l’incidentale e condanna il ricorrente principale al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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