CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 maggio 2018, n. 11434
Tributi – IRPEF – Redditi di impresa – Determinazione del reddito – Plusvalenze patrimoniali – Cessione di azienda con costituzione di rendita vitalizia – Plusvalenza – Configurabilità
Fatti di causa
V.G. e F.S. propongono ricorso per cassazione con sei motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento con il quale era stato rettificato il reddito d’impresa del G., ai fini dell’IRPEF e dell’ILOR per il 1996, per effetto della contestata plusvalenza di lire 440.000.000, non dichiarata, realizzata con la cessione di una farmacia ad una società in nome collettivo composta dai figli del contribuente, contro la costituzione di una rendita vitalizia di lire 4.000.000 al mese.
Parte contribuente lamentava infatti la violazione dell’art. 54 tuir, non essendo ravvisabile nella specie una differenza tra il valore finale dell’azienda ceduta ed il corrispettivo percepito, costituito dalla sola rendita vitalizia: non potendosi quantificare un corrispettivo aleatorio legato alla durata della vita del ricorrente, l’ufficio non poteva assoggettare a tassazione la cessione; la tassazione della rendita ex art. 47 del tuir avrebbe inoltre comportato una duplicazione d’imposta.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Con la memoria depositata in prossimità dell’udienza di discussione i ricorrenti, in relazione alla riforma del sistema sanzionatorio recata dal d. Igs. n. 158 del 2015, chiedono l’applicazione dello ius superveniens in ossequio al principio del favor rei.
Ragioni della decisione
Col primo motivo i ricorrenti, denunciando la violazione degli artt. 54, primo comma, e 75, primo comma del tuir, assumono che il trasferimento dell’azienda a fronte della costituzione di rendita vitalizia non comporterebbe in capo al cedente/vitaliziato una plusvalenza imponibile ai sensi delle disposizioni in rubrica; con il secondo motivo, negano, in particolare, che il corrispettivo asseritamente conseguito a titolo di plusvalenza dal cedente un’azienda sia pari al valore di avviamento dell’azienda stessa dedotto in contratto; con il terzo motivo censurano la sentenza, sotto il profilo dell’error in iudicando e dell’error in procedendo, per aver posto a fondamento del proprio dictum la presunzione secondo cui nell’accertamento ai fini dell’IRPEF delle plusvalenze realizzate a seguito di trasferimento di azienda, “il valore di avviamento resosi definitivo ai fini dell’imposta di registro assume carattere vincolante per l’amministrazione finanziaria”, laddove a tale presunzione non avrebbe invece fatto ricorso l’ufficio né nella motivazione dell’accertamento né nel pregresso grado di giudizio, sicché il giudice d’appello si sarebbe illegittimamente sostituito all’ufficio nel motivare la pretesa erariale di cui è controversia; con il quarto motivo lamenta la violazione del principio dell’onere della prova per avere il giudice d’appello sostenuto che in forza della cessione dell’azienda il cedente avrebbe conseguito una plusvalenza pari al valore di avviamento; con il quinto motivo censura la decisione in quanto, nell’ipotesi di trasferimento di azienda con contestuale costituzione di rendita vitalizia, si darebbe luogo ad una duplicazione IRPEF, per essere assoggettate a tassazione tanto la plusvalenza conseguita a fronte del trasferimento, quanto la rendita vitalizia corrisposta ogni anno dal cessionario; con il sesto motivo, formulato in via subordinata, chiede che in ipotesi di rigetto dei precedenti motivi, siano in ogni caso dichiarate non dovute le sanzioni irrogate, dovendosi ravvisare obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria.
I motivi del ricorso, che vanno esaminati congiuntamente in ragione dello stretto legame che li avvince, sono infondati.
Questa Corte ha infatti da tempo chiarito come “in tema di imposta sui redditi, è configurabile una plusvalenza da avviamento commerciale tassabile anche nel caso di cessione a titolo oneroso di azienda (nella specie, una farmacia) a fronte della costituzione di una rendita vitalizia, posto che essa costituisce il corrispettivo di un’alienazione patrimoniale che, pur assicurando un’utilità aleatoria quanto all’ammontare concreto delle erogazioni che verranno eseguite, ha un valore economico accettabile mediante calcoli attuariali. Ne deriva, inoltre, l’imputazione per competenza del corrispettivo assumendo rilievo il momento di perfezionamento del contratto attesa la natura intrinsecamente onerosa dell’atto traslativo”; “nè può essere considerato di ostacolo alla tassazione il rischio di doppia imposizione, essendo la rendita vitalizia assimilabile a fini fiscali al reddito da lavoratore dipendente, in quanto il divieto di doppia imposizione scatta al momento della concreta liquidazione della seconda imposta e solo nel caso in cui l’Amministrazione ritenga di avere diritto a ricevere il doppio pagamento” (Cass. n. 387 del 2016, n. 27179 del 2014, n. 5886 del 2013, n. 1175 del 2012).
Quanto al sesto motivo, si osserva in particolare che “in tema di responsabilità amministrativa tributaria, la condizione d’inevitabile ” incertezza normativa tributaria” sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, che costituisce causa di esenzione, consiste in un’oggettiva impossibilità, accertabile esclusivamente dal giudice, d’individuare la norma giuridica in cui sussumere un caso di specie, mentre resta irrilevante l’incertezza soggettiva, derivante dall’ignoranza incolpevole del diritto o dall’erronea interpretazione della normativa o dei fatti di causa” (Cass. n. 13076 del 2015).
Con riguardo al trattamento sanzionatorio, nella memoria i ricorrenti invocano l’applicazione delle modifiche apportate alla misura edittale della sanzione per l’infedele dichiarazione dall’art. 15, lett. a), del d.lgs. n. 158 del 2015, al fine di ottenere la rideterminazione della sanzione in misura pari al 90%, e non al 100%, delle imposte accertate.
Il rilievo è formulato correttamente, essendo stato prodotto l’avviso di accertamento recante l’irrogazione delle sanzioni con le relative motivazioni.
Questa Corte ha infatti affermato che “in tema di sanzioni amministrative per violazione delle norme tributarie, le modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015, applicabili ai processi in corso in virtù degli artt. 3, comma 3, e 25, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, non operano in maniera generalizzata in “favor rei”, rendendo la sanzione irrogata illegale, sicché deve escludersi che la mera deduzione, in sede di legittimità, dello “ius superveniens”, senza altra precisazione con riferimento al caso concreto, imponga la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, dovendo il contribuente allegare e, se necessario, provare la sussistenza dei fatti costitutivi e/o eventualmente modificativi, ovvero estintivi, necessari per la concreta applicazione di dette norme, atteso che il giudice non può introdurre nella controversia, di sua iniziativa, elementi di fatto diversi da quelli dedotti e dimostrati dalle parti” (Cass. n. 20141 del 2016).
I motivi del ricorso devono pertanto essere rigettati e la causa rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia per la determinazione delle sanzioni ai sensi del d.lgs 24 settembre 2015, n. 158.
P.Q.M.
Decidendo sul ricorso, ne rigetta i motivi e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia per la determinazione delle sanzioni ai sensi del d. Igs. 24 settembre 2015, n. 158.
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