CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 maggio 2020, n. 8718
Tributi – TARSU – Regolamento comunale – Categoria di contribuenza indifferanziata locali e aree adibiti a civile abitazione e strutture alberghiere e ricettive – Delibera giunta comunale – Istituzione tariffa specifica per alberghi e strutture ricettive – Illegittimità
Fatto
La società P.D.P. S.a.s impugnò, con ricorso notificato in data 23/11/2006, la cartella di pagamento n. 05920060016796788, notificata in data 18/9/2006, con cui il Comune di Ugento aveva richiesto il pagamento della somma di euro 3.249,06 per TARSU relativa all’anno 2005.
In particolare la società si lamentava del fatto che, sebbene il regolamento comunale avesse accorpato nell’unica categoria “C” i locali e le aree adibiti a civile abitazione, ad attività ricettivo – alberghiere, a collegi, case di vacanze e convivenze, sulla base dell’art. 68 del d.lgs. n. 507 del 1993, la giunta comunale, con propria delibera, aveva creato una ulteriore categoria, con una apposita tariffa a metro quadro di superficie occupata.
La società si lamentava anche che il Comune, a differenza che per le civili abitazioni, non avesse previsto nessuna forma di riduzione o agevolazione per gli alberghi, che di fatto svolgono un’attività stagionale, essendo aperti solo nella stagione estiva.
La società contribuente, pertanto, chiese la disapplicazione della delibera di giunta e la conseguente riduzione tariffaria.
La CTP accolse il ricorso.
La CTR della Puglia – sede di Lecce, adita su appello del Comune, dichiarò inammissibile l’appello, perché esso non conteneva alcuna specifica censura alla ratio deciderteli della sentenza di primo grado, limitandosi a svolgere considerazioni generali sul potere dei Comuni in merito all’ordinamento della TARSU e alla differenza nella attitudine a produrre rifiuti tra gli alberghi e le civili abitazioni.
Il Comune ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR sulla base di due motivi.
Resiste la società con controricorso.
Diritto
1. Con il primo motivo il Comune ricorrente censura la sentenza per violazione e/ o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. vigente all’epoca della pronuncia della sentenza di primo grado, cioè prima della modifica recata all’articolo citato con l’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, convertilo in legge n. 134 del 2012.
In sostanza, secondo il Comune la CTR non avrebbe potuto dichiarare inammissibile l’appello, visto che esso conteneva l’esposizione sommaria dei fatti di causa e i motivi di impugnazione, incentrati sulla legittimità di una previsione differenziata del carico tributario cui debbono essere assoggettati gli immobili adibiti ad esercizi alberghieri, da un lato, e quelli adibiti a civile abitazione, dall’altra.
2. Con il secondo motivo, il Comune censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 68 del d.lgs. n. 507 del 1993, deducendo la legittimità della delibera di giunta comunale con la quale il Comune ha differenziato, ai fini dell’imposizione della TARSU, le tariffe applicabili agli alberghi da quelle applicabili alle civili abitazioni, nonostante le previsioni del regolamento approvato dal consiglio comunale che avevano ricompreso in un’unica categoria gli alberghi, le civili abitazioni, i collegi, le case di vacanza e le convivenze.
3. Il primo motivo è fondato.
3.1 Deve darsi atto che l’appello proposto dal Comune non era inammissibile, in quanto all’appello tributario si applica l’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, che richiede che il gravame contenga tra l’altro i “motivi specifici” dell’impugnazione, la cui mancanza o assoluta incertezza ne determina l’inammissibilità. Orbene, deve osservarsi che l’appello è un mezzo di impugnazione devolutivo a critica libera, correttamente proposto se da esso si evincono con sufficiente chiarezza le questioni o le domande, affrontate, esplicitamente o implicitamente, nella sentenza di primo grado e da questa decise in modo da determinare la soccombenza, totale o parziale, della parte appellante.
Nel caso che ci occupa, il Comune ha riproposto alla CTR, mediante l’impugnazione della sentenza di primo grado, in maniera sufficientemente precisa, le difese già spiegate in primo grado e non accolte dai primi giudici, tese a conservare l’efficacia della delibera dì giunta da essi disapplicata, sicché l’appello era ammissibile.
4. Il secondo motivo è infondato.
4.1 L’art. 68, comma 1, lett, a), del d.lgs. n. 507 del 1993, dispone che “per l’applicazione della tassa i comuni sono tenuti ad adottare apposito regolamento che deve contenere: a) la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la medesima misura tariffaria”.
A sua volta, il comma 2 dell’articolo citato dispone: “L’articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie è effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto, in via di massima, dei seguenti gruppi di attività o di utilizzazione: a) locali ed aree adibiti a musei, archivi, biblioteche, ad attività di istituzioni culturali, politche e religiose, sale teatrali e cinematografiche, scuole pubbliche e private, palestre, autonomi depositi di stoccaggio e depositi di macchine e materiale militari; b) complessi commerciali all’ingrosso o con superfici espositive, nonché aree ricreativo-turistiche, quali campeggi, stabilimenti balneari, ed analoghi complessi attrezzati; c) locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri…”.
Dunque, la fonte normativa statale demanda al comune l’adozione di un regolamento che, in materia di TARSU, contenga una classificazione degli immobili per gruppi (e, eventualmente, sottogruppi) omogenei, in base alla loro attitudine a produrre rifiuti e, dunque, ad incidere sui costi del servizio.
Tale classificazione costituisce la base per differenziare le tariffe tra le varie categorie o sottocategorie di immobili, previste nel regolamento e presenti sul territorio comunale.
A sua volta, l’art. 42 del testo unico sugli enti locali, approvato con d.lgs. n. 267 del 2000, con riferimento alle attribuzioni del consiglio comunale, prevede, al comma 2, lett. f), che il consiglio ha competenza limitatamente a determinati atti fondamentali, tra cui (lettera f) vi sono l’istituzione e l’ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote.
Non vi è dubbio che la classificazione degli immobili al fine, poi, di differenziare i parametri tariffari per l’applicazione della Tarsu rientra nella nozione di “ordinamento dei tributi”.
Sicché la giunta può concretamente determinare le tariffe da applicare agli immobili sulla base della categoria alla quale essi appartengono in virtù della classificazione operata dal regolamento comunale adottato dal consiglio; ma non può operare essa stessa tale classificazione o modificare la classificazione contenuta nel regolamento del consiglio, perché invaderebbe un campo di competenza di un altro ergano, in violazione dell’ordine delle competenze stabilite per legge.
Questa Corte, peraltro, ha avuto modo di stabilire che “in tema di TARSU, ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. f), del d.lgs. n. 267 del 2000, spetta al Consiglio comunale l’istituzione e l’ordinamento dei tributi, oltre alla disciplina generale delle tariffe per la fruizione di beni e di servizi, mentre è di competenza della Giunta la determinazione delle relative aliquote” (Cass. n. 22532/2017; per la competenza della giunta in merito alla determinazione delle tariffe, nella vigenza della legge n. 142 del 1990, v. Cass. n. 8336/2015; v. anche Cass. n. 28675/2018).
Di converso, l’affermazione, costante nella giurisprudenza della Suprema Corte, che, “in tema di TARSU, è legittima la delibera comunale che preveda una tariffa per la categoria degli esercizi alberghieri notevolmente superiore a quella applicata alle civili abitazioni, in quanto costituisce un dato di comune esperienza la maggiore capacità produttiva di rifiuti propria di tali esercizi” lascia impregiudicato il profilo di giudizio, specificamente affrontato nella presente causa, relativo al rispetto dell’ordine legale delle competenze tra il consiglio e la giunta, nei Comuni situati in Regioni a statuto ordinario, con riferimento alla classificazione degli immobili tassabili ai fini TARSU e alla determinazione del concreto trattamento tariffario (cfr. anche Cass. n. 913/2016, che ha ritenuto legittima l’applicazione, con riferimento agli alberghi, di un regime tariffario differenziato e più oneroso per il contribuente rispetto a quello previsto per le civili abitazioni, affermando, parimenti, come legittima, da parte della giunta del Comune di Palermo, nell’ambito dell’ordinamento a statuto speciale della Regione Sicilia, la concreta determinazione tariffaria).
Il Collegio non ignora che, con ordinanza n. 938 del 2019, questa sezione è andata di contrario avviso, ritenendo che, anche in assenza di una diversa classificazione, da parte del regolamento consiliare, delle civili abitazioni rispetto agli esercizi alberghieri, la giunta potesse fissare aliquote diverse, ai fini TARSU, in relazione alle une e agli altri.
Tuttavia, si deve notare che tale orientamento è stato espresso in relazione all’art. 32, comma 2, lett. g, della legge n. 142 del 1990, e non in relazione all’art. 42, comma 2, lett. f) del d.lgs. n. 267 del 2000, applicabile ratione temporis nella presente causa.
In particolare, con la espressa menzione dell’esclusione dalla competenza del consiglio comunale del potere di determinazione delle aliquote, il nuovo testo unico degli enti locali ha voluto precisare che al consiglio comunale, che è l’organo elettivo dell’ente locale, e dunque direttamente rappresentativo della comunità locale, spetta la definizione dei criteri generali e degli indirizzi di principio relativi alla tassazione degli immobili che si trovano sul territorio (criteri tra i quali rientra l’eventuale distinzione o meno, ai fini del trattamento fiscale, degli immobili indicati nell’art. 68, comma 2, lett. c del d.lgs. n. 507 del 1993, accomunati dalla caratteristica di essere destinati lato sensu all’uso abitativo), fermo restando che la concreta determinazione dei parametri per la quantificazione dell’onere tributario spetta alla giunta, organo tecnico-esecutivo.
4.2 Orbene, è pacifico tra le parti che il regolamento approvato dal consiglio comunale di Ugento in tema di TARSU non distingue, ai fini della determinazione delle tariffe, le civili abitazioni dagli alberghi, limitandosi a riproporre pedissequamente la previsione di legge e ad accorpare i relativi immobili in un’unica complessiva categoria fondata sull’uso lato sensu abitativo delle aree e dei locali che vi rientrano.
Ne consegue che la giunta poteva sì concretamente determinare o rideterminare le tariffe, ma non poteva motu proprio, senza invadere le attribuzioni di competenza consiliare e senza che il consiglio comunale modificasse previamente il regolamento della TARSU, creare, tra gli immobili adibiti ad uso lato sensu abitativo, ulteriori sottocategorie ai fini della determinazione e dell’applicazione di tariffe differenziate.
Opinare diversamente e ritenere che, di fronte ad un regolamento consiliare riproduttivo della norma primaria, la giunta possa essa stessa classificare gli immobili, ai fini della successiva differenziazione del trattamento tributario degli stessi, significherebbe, di fatto, accedere ad una interpretatio abrogans delle competenze consiliari stabilite nell’art. 42, comma 2, lett. f) del d.lgs. n. 267 del 2000, tra le quali rientra il potere di raggruppare gli immobili comunali in distinte categorie tipologiche, ed eventualmente anche in sottocategorie, per poi consentire alla giunta di determinare, per ciascuna di esse, il concreto trattamento tributario ai fini TARSU.
5. La fondatezza del primo motivo di ricorso implica la cassazione della sentenza impugnata. Tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, alla stregua delle considerazioni rassegnate supra sub 4.1 e 4.2, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell’appello a suo tempo proposto dal Comune.
La sentenza di primo grado, infatti, ha legittimamente disapplicato, ai sensi dell’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992, la delibera di giunta in quanto adottata in violazione dei criteri contenuti nel regolamento del consiglio, decidendo la controversia coerentemente con tale disapplicazione.
6. Atteso l’andamento complessivo del giudizio, sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di appello.
Le spese del presente giudizio, invece, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, rigetta il secondo.
Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’appello a suo tempo proposto dal Comune di Ugento.
Compensa le spese del giudizio di appello.
Condanna il Comune di Ugento al pagamento, in favore della società contribuente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in euro millequattrocento per onorari, oltre al rimborso delle spese generali, iva e epa come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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