CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 marzo 2019, n. 6948
Licenziamento – Violazione dell’obbligo di repechage – Assunzione di un nuovo dipendente con contratto a tempo determinato e parziale
Fatti di causa
Con sentenza in data 2 agosto 2017, la Corte d’appello di Palermo condannava la s.c.ar.l. Autoservizi A. alla riassunzione entro tre giorni di G. F. o, in mancanza, al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, di un’indennità pari a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto: così riformando la sentenza di primo grado, che (in parziale riforma dell’ordinanza che aveva accertato l’illegittimità del licenziamento intimato con lettera del 19 settembre 2014, per giustificato motivo oggettivo per crisi di liquidità con riduzione delle corse nell’invarianza delle linee di trasporto urbano esercitato in particolare nei comuni di Sambuca di Sicilia e di Santa Margherita Belice e condannato la società datrice al pagamento, in favore del lavoratore, di un’indennità risarcitoria pari a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto) aveva condannato la società cooperativa alla reintegrazione di G. F. e alla corresponsione, in suo favore a titolo risarcitorio, delle retribuzioni, commisurate all’ultima globale di fatto, dal licenziamento all’effettiva reintegrazione.
Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale escludeva preliminarmente l’ammissibilità di riesame delle eccezioni (di contumacia della società cooperativa datrice nella fase cautelare, di improcedibilità della sua opposizione e di irrituale elezione di domicilio; di ritorsività del licenziamento; di contestazione della sussistenza del giustificato motivo oggettivo; di violazione dell’obbligo di repechage) del lavoratore, in quanto meramente reiterate ai sensi dell’art. 346 c.p.c. e non oggetto di reclamo incidentale.
Essa riteneva poi applicabile il cd. “rito Fornero” anche alla tutela obbligatoria e, nel merito, la violazione dell’obbligo di repechage, per assunzione di un nuovo dipendente, ancorché a tempo determinato e parziale, in concomitanza con la decisione del licenziamento e l’applicazione della tutela suddetta, in difetto del requisito dimensionale dell’impresa.
Con atto notificato il 10 agosto 2017, il lavoratore ricorreva per cassazione con tre motivi, cui resisteva la società con controricorso, contenente ricorso incidentale con unico motivo, cui il primo replicava con controricorso. Entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 18, ottavo e nono comma I. 300/1970, come mod. dall’art. 1, comma 42 I. 92/2012, l. 142/2001, per erronea esclusione nel computo del requisito dimensionale dei soci lavoratori della cooperativa con rapporto di lavoro subordinato (con essi invece integrato), in funzione dell’applicazione della tutela reale.
2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 60 I. 92/2012, per mancato esame delle eccezioni processuali e di merito proposte dal lavoratore in primo grado dalla Corte territoriale sull’erroneo assunto della necessità di una riproposizione con reclamo incidentale, in assenza di alcuna prescrizione di decadenza (a differenza che per le ipotesi stabilite dall’art. 1, comma 58, 59 e 60) nel richiamo ai comma 51, 52 e 53 del medesimo articolo, tenuto conto della specialità del rito.
3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione ed omessa applicazione dell’art. 7 I. 604/1966, come sost. dall’art. 1, comma 40 I. 92/2012, per omissione del procedimento obbligatorio di comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro, e per conoscenza pure al lavoratore, dell’intenzione di effettuare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e delle eventuali misure di assistenza alla ricollocazione dello stesso: ben rilevabile d’ufficio, in quanto norma imperativa, in ogni stato e grado del giudizio.
4. Con unico motivo, la controricorrente a propria volta, in via di ricorso incidentale, deduce omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti e violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 5 I. 604/1966, per erronea statuizione di violazione dell’obbligo di repechage, in assenza di assunzione di personale dopo il licenziamento ed essendo A. F. semplicemente subentrato al padre socio dimissionario e lavoratore subordinato, in qualità di socio della cooperativa e con un contratto a tempo determinato e parziale dal 13 settembre al 30 novembre 2014. Essa infine deduce l’inutilizzabilità, nell’ipotesi di giustificato motivo oggettivo consistente nella generica riduzione di personale fungibile, del criterio dell’impossibilità di repechage, per l’equivalenza delle posizioni lavorative e la potenziale licenziabilità di tutti i lavoratori.
5. In via preliminare, occorre esaminare l’eccezione di inesistenza o nullità del ricorso per cassazione, in quanto: notificato a mezzo p.e.c., non sottoscritto e in formato (.doc) modificabile; con notifica priva della dicitura “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994” ; con procura alle liti in formato .PDF ottenuta mediante scansione dell’originale cartaceo sottoscritto, senza firma digitale; con attestazione di conformità dell’atto notificato via p.e.c. dell’originale cartaceo priva di firma digitale.
5.1. Essa deve essere disattesa, siccome infondata.
5.2. Ed infatti, qualora l’originale del ricorso per cassazione rechi la firma del difensore munito di procura speciale e l’autenticazione, ad opera del medesimo, della sottoscrizione della parte che gli ha conferito la procura, la mancanza degli stessi elementi sulla copia notificata determina l’inammissibilità del ricorso soltanto in caso di assoluta incertezza sull’identificazione della parte e del difensore (Cass. s.u. 29 luglio 2003, n. 11632; Cass. 24 febbraio 2011, n. 4548; Cass. 18 febbraio 2014, n. 3791): nel caso di specie da escludere per la redazione dell’atto in forma analogica (cartacea) e la notificazione a mezzo p.e.c. (con indirizzo risultante da pubblico elenco).
5.3. Non si pone poi una questione di sottoscrizione con firma digitale, richiesta a pena di nullità per l’atto nativo digitale notificato, nel diverso caso di ricorso predisposto in originale in forma di documento informatico e notificato in via telematica (Cass. s.u. 24 settembre 2018, n. 22438); neppure rilevando per l’attestazione di conformità dell’atto notificato via p.e.c. dell’originale, regolarmente sottoscritto dando atto della sua redazione in forma analogica.
5.4. Integra quindi una mera irregolarità, e non una nullità, la mancata indicazione, nell’oggetto del messaggio di PEC, della dizione “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994”, qualora tra le parti sia avvenuto il perfezionamento della notifica e così pure la modalità di redazione (in “estensione.doc”, anziché in “formato.pdf”) dell’atto, se la consegna telematica abbia comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass. s.u. 18 aprile 2016, n. 7665; Cass. 31 agosto 2017, n. 20625; Cass. s.u. 28 settembre 2018, n. 23620).
6. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 18, ottavo e nono comma I. 300/1970 come mod. dall’art. 1, comma 42 I. 92/2012 e 2 I. 142/2001 per erronea esclusione nel computo del requisito dimensionale dell’impresa cooperativa dei soci lavoratori subordinati, è fondato.
6.1. Reputa questa Corte che debba essere superato il precedente indirizzo, seguito dalla Corte territoriale, di esclusione dal computo dei dipendenti di un’impresa cooperativa ai fini dell’applicabilità della disciplina limitativa dei licenziamenti, sull’essenziale rilievo della tutela del posto di lavoro dei soci lavoratori non in base alla stabilità del rapporto ma allo stesso patto sociale (Cass. 17 luglio 1998, n. 7046).
E ciò per effetto della disciplina innovativa introdotta dalla legge 3 aprile 2001, n. 142 (di revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore), assunta a discrimine della (im)possibilità di qualificazione dei soci di cooperative di produzione e lavoro alla stregua di dipendenti delle medesime, per le prestazioni rivolte a consentire ad esse il conseguimento dei fini istituzionali e rese secondo le prescrizioni del contratto sociale, appunto in riferimento al regime anteriore a quello introdotto dalla legge citata (Cass. 21 ottobre 2003, n. 15750; Cass. 19 agosto 2004, n. 16281; Cass. 24 febbraio 2009, n. 4415).
6.2. Con la nuova normativa è stata infatti introdotta una diversa visione della prestazione lavorativa del socio, non più quale mero adempimento del contratto sociale, ma piuttosto radicata in un “ulteriore” rapporto (appunto) di lavoro, ai sensi dell’art. 1, terzo comma I. cit. Essa ha così assunto una propria autonomia, segnando un’espansione degli istituti e delle discipline propri del lavoro subordinato in funzione protettiva del socio lavoratore, in virtù di una ridefinizione del rapporto associativo e di lavoro alla stregua di un collegamento negoziale, sia pure nella fase estintiva unidirezionale, nel senso dell’ineluttabile cessazione del rapporto di lavoro per effetto della cessazione del rapporto associativo, ma non viceversa. Tuttavia, non in modo tale da obliterare la rilevanza di quello di lavoro anche nella fase estintiva: si è ritenuto, infatti, non essere preclusa dall’omessa impugnativa della delibera di esclusione dalla società cooperativa, qualora per le medesime ragioni afferenti al rapporto lavorativo siano stati contestualmente emanati la delibera e il licenziamento, la tutela risarcitoria stabilita dall’art. 8 l. 604/1966, ma soltanto quella restitutoria della qualità di lavoratore (Cass. s.u. 20 novembre 2017, n. 27436).
6.3. In continuità con una tale impostazione è stato quindi ritenuto che il rapporto di lavoro del socio lavoratore di cooperativa sia assistito dalla garanzia di stabilità, poiché, in caso di licenziamento, la maggiore onerosità per il conseguimento della tutela restitutoria, legata, oltre che all’impugnativa del licenziamento stesso, anche alla tempestiva opposizione alla contestuale delibera di esclusione, non può essere, di per sé, definita equivalente ad una condizione di metus caratterizzante lo svolgimento del rapporto lavorativo, tale da indurre il socio lavoratore a non esercitare i propri diritti per timore di perdere il posto di lavoro (Cass. 9 luglio 2018, n. 17989).
6.4. Occorre inoltre considerare come, nel novellato testo dell’art. 18, ottavo e nono comma I. 300/1970 (e prima nell’art. 1, primo e secondo comma I. 108/1990), sia assente, in riferimento alla peculiare figura di lavoratori in esame, alcuna esplicita esclusione dalla previsione di computo dei dipendenti per la dimensione rilevante ai fini dell’applicazione della tutela reale, al di fuori del coniuge e dei parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e collaterale; e che anzi è stabilita espressamente l’applicazione, ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato, della legge 300/1970, con la sola “esclusione dell’art. 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo” (art. 2, primo comma I. 142/2001).
6.5. Ed allora, la vigente disciplina deve essere intesa nel senso della sua integrale applicazione, in costanza di rapporto associativo, ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato: sicché, anch’essi devono essere computati ai fini del requisito dimensionale.
6.6. Né conclusivamente si può escludere, come preteso dalla società controricorrente, la mancanza comunque dell’integrazione del requisito minimo di rilevanza per l’applicazione del regime di tutela reale del rapporto (“più di quindici dipendenti”, a norma dell’art. 35, primo comma I. 300/1970), sul rilievo dell’accertamento dalla Corte territoriale del mancato raggiungimento della soglia per la non computabilità “tra i lavoratori addetti ai fini della tutela reale” dei “soci effettivi P. C., A. V. e M. M. A.”, posto che “rivestivano anche la qualità di Consiglieri di Amministrazione nelle rispettive qualità di Presidente, Vice Presidente e Consigliere di Amministrazione” (così al terzultimo capoverso di pg. 9 della sentenza).
Ed infatti, non sussiste una preclusione pregiudizialmente ostativa alla cumulabilità delle qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali, purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale e colui che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato essendo onerato della prova del vincolo dì subordinazione, ossia dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società (Cass. 6 novembre 2013, n. 24972; Cass. 30 settembre 2016, n. 19596).
6.7. In esito alle superiori argomentazioni il motivo deve essere pertanto accolto, in applicazione, previo l’accertamento del giudice di rinvio di un eventuale rapporto di lavoro subordinato prestato anche dagli amministratori della società cooperativa predetti ai fini dell’integrazione del requisito dimensionale, del seguente principio di diritto :
“In una società cooperativa, anche i soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato devono essere computati ai fini del requisito dimensionale per l’applicazione del regime di stabilità del rapporto di lavoro: con la conseguenza della fruibilità anche dai lavoratori dipendenti non soci della tutela prevista dall’art. 18 I. 300/1970, nel testo novellato dall’art. 1, comma 42 I. 92/2012”.
7. Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 60 I. 92/2012 per mancato esame delle eccezioni processuali e di merito proposte dal lavoratore in primo grado sull’erroneo assunto della necessità di una riproposizione con reclamo incidentale, è inammissibile.
7.1. Esso difetta di specificità, in violazione della prescrizione dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., in assenza di una specifica indicazione, né tanto meno di trascrizione degli atti processuali nei quali sarebbero contenute le eccezioni non esaminate, così da inibirne a questa Corte di cassazione un esame diretto ex actis (Cass. 15 luglio 2015, n. 14784; Cass. 27 luglio 2017, n. 18679).
8. Il terzo motivo, relativo a violazione ed omessa applicazione dell’art. 7 I. 604/1966 come sost. dall’art. 1, comma 40 I. 92/2012 per omissione del procedimento obbligatorio di comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro dell’intenzione di effettuare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è parimenti inammissibile.
8.1. Esso pone una questione nuova, che non è stata trattata dalla sentenza impugnata, neppure avendo il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per tale ragione, assolto all’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde consentire alla Corte di Cassazione di controllare direttamente dagli atti la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 12 settembre 2000, n. 12025; Cass. 2 aprile 2004, n. 6542; Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 9 agosto 2018, n. 20694).
9. L’unico motivo incidentale, relativo ad omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti e violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 5 I. 604/1966, per erronea statuizione di violazione dell’obbligo di repechage, in assenza di assunzione di personale dopo il licenziamento, è inammissibile.
9.1. In via di premessa, occorre ribadire (come ancora recentemente da: Cass. 25 ottobre 2018, n. 27094) che, qualora la riorganizzazione imprenditoriale sia modulata, non già sulla soppressione tout court della posizione lavorativa, ma piuttosto sulla riduzione di personale in una porzione dell’ambito organizzativo, si pone una questione (invece inconferente nella diversa ipotesi di soppressione di posizione lavorativa: Cass. 7 giugno 2017, n. 14178) di valutazione comparativa tra lavoratori di pari livello, interessati dalla riduzione ed occupati in posizione di piena fungibilità (Cass. 21 dicembre 2016, n. 26467; Cass. 14 giugno 2007 n. 13876; Cass. 3 aprile 2006, n. 7752). E che essa deve essere compiuta nel rispetto del principio di correttezza e buona fede nell’individuare il dipendente da licenziare (Cass. 13 ottobre 2015, n. 20508; Cass. 11 giugno 2004 n. 11124): anche attingendo ai criteri indicati dall’art. 5 della I. 223/1991, quale standard idoneo ad assicurare una scelta conforme a tale canone, non potendo tuttavia escludersi l’utilizzabilità di altri criteri, purché non arbitrari, improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati (Cass. 28 marzo 2011, n. 7046; Cass. 7 dicembre 2016, n. 25192).
9.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato in fatto una nuova assunzione, sia pure a tempo determinato e parziale, di un lavoratore da parte della società cooperativa e ritenuto irrilevante la sua successione nella posizione di socio della cooperativa al padre dimissionario, in concomitanza con il licenziamento impugnato (per le ragioni esposte dal secondo capoverso di pg. 8 all’ultimo di pg. 9 della sentenza). Né parte datrice ha offerto alcuna prova dell’inutilizzabilità aliunde del lavoratore licenziato, con indicazione, in relazione alle assunzioni effettuate, delle qualifiche e mansioni affidate ai nuovi dipendenti né dimostrazione che queste ultime non fossero da ritenersi equivalenti a quelle svolte dal lavoratore licenziato, tenuto conto della professionalità da questi raggiunta (Cass. 1 agosto 2013, n. 18416).
9.3. Infine, non si configura l’omesso esame di alcun fatto, alla luce del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), quanto piuttosto una contestazione probatoria e dell’accertamento in fatto, di esclusiva competenza del giudice di merito, congruamente argomentato e pertanto insindacabile in sede di legittimità.
10. Dalle superiori argomentazioni discende l’accoglimento del primo motivo di ricorso principale, l’inammissibilità degli altri e del ricorso incidentale, con la cassazione della sentenza in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso principale, dichiara inammissibili gli altri motivi e il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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