CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 marzo 2019, n. 6950
Rapporto di lavoro – Contratto di collaborazione coordinata e continuativa – Carenza del progetto – Ingiustificato rifiuto dell’ingegnere di sottoscrivere il progetto
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 35 del 15.3.2017 la Corte di appello di Venezia, in riforma della pronuncia del Tribunale di Verona, rilevata la carenza del progetto al contratto di collaborazione coordinata e continuativa stipulato il 16.12.2010 tra l’ing. C. E. e la società I. Italia s.p.a. ha dichiarato, ex art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato per il periodo 1.1 – 28.6.2011 con qualifica di dirigente ed ha accertato nell’ingiustificato rifiuto dell’ingegnere di sottoscrivere il progetto concordato in sede di stipulazione del contratto di collaborazione la causa dell’interruzione del rapporto fiduciario tra le parti.
2. M., T. e G. E. in qualità di eredi dell’ing. C. E. propongono ricorso affidato a nove motivi illustrati da memoria. La società resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato a sei motivi.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 (ex art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto legittimo il licenziamento intimato al dirigente nonostante la violazione delle garanzie procedimentali dettate dallo Statuto dei lavoratori, violazione rilevabile d’ufficio trattandosi di nullità del recesso.
2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 62 del d.lgs. n. 276 del 2003, 2697 cod.civ., 183, comma 7, cod.proc.civ. nonché vizio di motivazione (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, contraddittoriamente affermato, da una parte, la natura subordinata del rapporto di lavoro e, dall’altra, la idoneità del rifiuto dell’ing. E. a sottoscrivere il progetto allegato al contratto di collaborazione quale condotta idonea ad inficiare il vincolo fiduciario senza accertare la corrispondenza del progetto agli accordi intercorsi (il cui onere della prova gravava sulla società).
3. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 183, comma 7, cod.proc.civ. nonché vizio di motivazione (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto inammissibili e/o irrilevanti alcuni capitoli di prova testimoniale dedotti nel ricorso introduttivo del giudizio ai fini della prova della subordinazione del rapporto di lavoro sin dal 2008.
4. Con il quarto motivo si deduce vizio di motivazione (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto autonomo il rapporto di lavoro per il periodo 2008-2010 e subordinato per il periodo successivo.
5. Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2118, 2119 cod.civ. e 19-24 CCNL dirigenti (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) per essere stato ritenuto giustificato ed indifferibile il licenziamento intimato dalla società, dovendosi ritenere illogico, inadeguato ed incoerente il riferimento, nella lettera di recesso, alla mancata sottoscrizione del progetto.
6. Con il sesto motivo si deduce vizio di ultrapetizione (ex art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ.) per avere, la Corte distrettuale, ritenuto sussistente un licenziamento “con effetto immediato” nonostante la mancata invocazione, da parte della società, dell’art. 2119 cod.civ. e dell’indennità di mancato preavviso.
7. Con il settimo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2118, 2119 cod.civ. e 20-24 CCNL dirigenti (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) per avere, la Corte distrettuale, inammissibilmente ritenuto giustificato la risoluzione immediata del rapporto di lavoro, nonostante la lettera inviata dalla società prevedeva un preavviso di 30 giorni e, conseguentemente, dovesse interpretarsi il recesso come giustificato motivo soggettivo, con insorgenza del diritto del dirigente al pagamento del preavviso pari a euro 177.000,00, oltre differenze retributive pari a euro 144.203,00 e trattamento di fine rapporto per euro 73.149,44.
8. Con l’ottavo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2119, 2120 cod.civ. e 24 CCNL dirigenti (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod.proc.civ.) per avere, la Corte distrettuale, omesso di esaminare la domanda di condanna al pagamento del trattamento di fine rapporto.
9. Con il nono motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod.proc.civ. (ex art. 360, primo comma, nn. 3, cod.proc.civ.) per avere, la Corte distrettuale, compensato le spese di lite nonostante il riconoscimento (seppur per un periodo più limitato rispetto alla domanda) della natura subordinata del rapporto di lavoro.
10. Con i primi quattro motivi del ricorso incidentale si denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 61, 62, 69 del d.lgs. n. 276 del 276 e 1, commi 24 e 25 della legge n. 92 del 2012 (ex art. 360, primo comma, nn. 3, cod.proc.civ.) dovendosi considerare che la disciplina dettata dagli artt. 61 e ss. del d.lgs. n. 276 del 2003 non si applica ai componenti “di fatto” degli organi di amministrazione, come era l’E. Inoltre, il progetto era stato consegnato per iscritto al dirigente al momento della stipula del contratto ed era stato accettato e condiviso; la forma del progetto è libera e non necessita della sottoscrizione per la validità. Infine, la conversione del contratto a progetto in rapporto di lavoro subordinato presuppone pur sempre l’accertamento del vincolo di soggezione, trattandosi di presunzione relativa, soprattutto a fronte della disciplina dell’art. 69, primo comma, del d.lgs. n. 276 del 2003 precedente la novella del 2012.
11. Con il quinto motivo si deduce la nullità della sentenza (ex art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ.) per aver trascurato, la Corte distrettuale, l’eccezione della società (avanzata nella memoria di appello) relativa all’insussistenza della natura subordinata del rapporto e della qualifica dirigenziale a fronte dei consistenti emolumenti percepiti.
12. Con il sesto motivo si deduce vizio di motivazione (ex art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, adottato una pronuncia ingiusta visto l’incongruenza tra accertamento dell’esistenza di un progetto e constatazione della carenza della sottoscrizione.
13. Il primo motivo del ricorso principale non appare fondato.
Questa Corte ha affermato che, posto che le garanzie procedimentali dettate dall’art. 7, commi secondo e terzo, della legge n. 300 del 1970 sono applicabili anche in caso di licenziamento di un dirigente d’azienda, a prescindere dalla specifica posizione dello stesso nell’ambito dell’organizzazione aziendale, il dirigente che in primo grado abbia impugnato il licenziamento sotto profili diversi dall’inosservanza della procedura garantistica di cui all’art. 7 della legge n. 300 del 1970 non può dedurre in appello la questione della nullità del recesso per violazione del citato art. 7 in quanto tale ulteriore prospettazione del “petitum”, comportando la deduzione di un’altra e diversa causa “petendi” con l’inserimento di un fatto nuovo a fondamento della pretesa e di un diverso tema di indagine e di decisione, è preclusa dall’art. 437, comma secondo, cod. proc. civ. (cfr. Cass. n. 4614 del 2006).
Il principio non appare suscettibile di rivisitazione a seguito dei recenti arresti di questa Corte a Sezioni Unite che hanno affermato che il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di quest’ultima diversa da quella allegata dall’istante, essendo quella domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, sicché è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio (cfr. Cass. Sez.U. n. 26242 del 2014).
Invero, come affermato da questa Corte sin dal 1994 (Cass. Sez. Un. nn. 3965 e 3966 del 1994; Cass. Sez. Un. nn. 4844 e 4846 del 1994), il vizio della mancata osservanza del procedimento dettato dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970 non configura un licenziamento nullo, in quanto disposto per motivo illecito, in frode alla legge in violazione di divieti espressi, ma – più semplicemente – rende il licenziamento ingiustificato, determinando l’illegittimità del licenziamento disciplinare, sottoposto quindi alla regola (tutela reale, tutela obbligatoria, recesso libero con preavviso) prevista per l’ingiustificatezza sostanziale. La legittimità costituzionale di questa soluzione, considerata diritto vivente, è stata riconosciuta da Corte Cost. n. 388 del 1994 e Corte Cost. n. 193 del 1995.
In senso conforme si è espressa questa Corte con sentenze successive (ex multis Cass. n. 3449 del 1998, Cass. n. 5213 del 2003, Cass. n. 5855 del 2003, Cass. n. 21412 del 2006) e le Sezioni Unite n. 7880 del 1997 hanno ribadito l’applicabilità della stessa conseguenza dell’ingiustificatezza sostanziale e, quindi, per i dirigenti, che sono privi di tutela legale in proposito, solo l’indennità supplementare eventualmente prevista dal contratto collettivo applicabile.
Anche recentemente, questa Corte ha avuto modo di ribadire che la disciplina della invalidità del licenziamento è caratterizzata da specialità, rispetto a quella generale della invalidità negoziale, desumibile dalla previsione di un termine di decadenza per impugnarlo e di termini perentori per il promovimento della successiva azione di impugnativa, che resta circoscritta all’atto e non è idonea a estendere l’oggetto del processo al rapporto, non essendo equiparabile all’azione con la quale si fanno valere diritti autodeterminati; ne consegue che il giudice non può rilevare di ufficio una ragione di nullità del licenziamento diversa da quella eccepita dalla parte, trovando tale conclusione riscontro nella previsione dell’art. 18, comma 7, della l. n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, e dell’art. 4 del d.lgs. n. 23 del 2015, nella parte in cui fanno riferimento alla applicazione delle tutele previste per il licenziamento discriminatorio, quindi affetto da nullità, “sulla base della domanda formulata dal lavoratore” (Cass. n. 7687 del 2017; nello stesso senso Cass. n. 4267 del 2017).
14. Il secondo motivo è inammissibile.
Deve rimarcarsi che in tema di ricorso per cessazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa, ex aliis: Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).
Nella specie è evidente che i ricorrenti lamentano la erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque un vizio motivo da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma n. 5 cod.proc.civ., che lo circoscrive all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. sez. un. 22 aprile 2014, n. 19881), riducendo al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez.un. 7 aprile 2014, n. 8053.
La sentenza impugnata ha ampiamente esaminato i fatti controversi ed accertato (pagg. 13-15) che ring. E. “non ha voluto firmare una bozza sulla quale aveva inizialmente dato il consenso”, emergendo dalla risultanze istruttorie (sia documentali che testimoniali) che “il differimento della firma non era giustificato da una difformità dei contenuti del progetto rispetto a quanto concordato, difformità solo genericamente allegata in giudizio, mai provata e protestata dall’originario appellante solo nel maggio 2011 (anteriori contestazioni al riguardo, infatti, non sono emerse) ma all’incrinarsi dei rapporti sul piano operativo”.
15. Il terzo motivo è inammissibile.
La censura è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto dei capitoli di prova testimoniale dedotti nel ricorso introduttivo del giudizio non ammessi dal giudice di merito ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell’impugnata sentenza (cfr. ex plurimis Cass. n. 6440/2007, 17915/2010, 13677/2012, ord. n. 48/2014).
Questa Corte ha affermato che l’omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito (Cass. n. 27415 del 2018; Cass. n. 11457 del 2007).
La sentenza impugnata ha rilevato (pag. 9) che gli elementi istruttori, di fonte testimoniale e documentale, non hanno consentito di accertare “l’esercizio di qualsivoglia forma di potere direttivo nei confronti dell’appellante” [ing. E.].
16. Il quarto motivo è inammissibile.
In ordine alla lamentata incongruità della motivazione della sentenza impugnata, è stato più volte ribadito che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (cfr. Cass. SS.UU. n. 24148 del 2013, Cass. n. 8008 del 2014). Secondo il novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ. (come interpretato dalle Sezioni Unite n. 8053 del 2014), tale sindacato è configurabile soltanto qualora manchi del tutto la motivazione oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non permettere di individuarla”.
Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori. La sentenza impugnata ha affermato che non sono stati raccolti indici della natura subordinata del rapporto di lavoro (in tutto il periodo della sua esplicazione) ma ha qualificato, secondo “altro ordine di considerazioni”, come subordinato il rapporto svolto dall’1.1.2011 in applicazione dell’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003 ossia in considerazione della mancanza di un progetto al contratto di collaborazione coordinata e continuativa.
17. Il quinto, il sesto ed il settimo motivo sono inammissibili ove richiedono una rivalutazione del materiale probatorio e, per la parte residua, infondati.
I motivi non contengono una specifica censura alla sentenza impugnata bensì si risolvono in una (ormai del tutto inammissibile alla luce del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. La valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice del merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre e nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (cass. n. 13177 del 2011).
Inoltre, sempre con riguardo a profili di inammissibilità, la censura contenuta nel sesto motivo è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto delle clausole del contratto collettivo (artt. 20-24 del CCNL dirigenti aziende produttrici di beni e servizi) che si assumono violate (in specie, ai fini delle modalità e della quantificazione della pretesa indennità di mancato preavviso), potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 cod.proc.civ., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 cod.proc.civ., comma 2, n. 4. Va, altresì, rilevato – ai fini della procedibilità del ricorso – che il ricorrente indica la produzione (quale doc. 62 del fascicolo di primo grado) del suddetto contratto collettivo di settore stipulato nell’anno 2004 senza precisare – come contestato dal controricorrente – l’applicabilità ratione temporis di tale assetto negoziale ad un rapporto di lavoro sorto sette anni dopo.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che – considerata la particolare configurazione del rapporto di lavoro dirigenziale – la nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo del licenziamento della legge n. 604 del 1966, ex art. 1; conseguentemente, fatti o condotte non integranti una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento con riguardo ai generali rapporti di lavoro subordinato ben possono giustificare il licenziamento, per cui, ai fini della giustificatezza del medesimo, può rilevare qualsiasi motivo, purché apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore, nel cui ambito rientra l’ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente. La valutazione dell’idoneità del fatto materiale ad integrare la giustificatezza è rimessa al giudice di merito ed in sede di legittimità resta sindacabile solo per vizi di motivazione (cfr. Cass. n. 4614 del 2006; in senso conforme, nel senso che la giustificatezza si identifica con la ragionevolezza e non arbitrarietà o pretestuosità, cfr. Cass. n. 18245 del 2007; Cass. n. 18998 del 2010; Cass. n. 3547 del 2012; Cass. n. 13918 del 2013).
In conformità ai principi di diritto affermati da questa Corte, il giudice di merito, inquadrate le mansioni dell’ing. E. come di livello dirigenziale, ha ritenuto – alla luce degli elementi probatori raccolti – sussistente un profilo di giustificatezza del licenziamento del dipendente apicale; ha, inoltre, rilevato che “l’atteggiamento assunto dall’ingegner E. ha giustificato il venir meno in modo immediato del rapporto fiduciario, non essendo ammissibile siffatto atteggiamento da parte di un soggetto che collaborava direttamente con i vertici societari”. Dovendo, dunque, valutare, ex post; ossia secondo il modello del vincolo di subordinazione (seppur afferente alla qualifica apicale), l’atto di risoluzione del contratto (intervenuto sulla scorta della disciplina negoziale stipulata tra le parti, che prevedeva 30 giorni di preavviso), la Corte territoriale ha ritenuto – anche ai fini della valutazione della domanda di condanna al pagamento dell’indennità di preavviso – essere intervenuto un evento che giustificava l’interruzione repentina del rapporto di lavoro, ben potendosi qualificare la comunicazione della società del 28.6.2011 quale diffida ad adempiere intimata alla parte inadempiente.
18. L’ottavo motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo appare fondato nella sostanza perché ricorre l’omessa pronuncia, denunciata però erroneamente, perché non si fa riferimento nel motivo alla nullità e nella rubrica è erroneamente richiamata la violazione di legge
Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. Sez.U., n. 17931 del 2013).
19. Il nono motivo è fondato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che nel regime normativo posteriore alle modifiche introdotte all’art. 91 cod.proc.civ. dalla legge n. 69 del 2009, in caso di accoglimento parziale della domanda il giudice può, ai sensi dell’art. 92 cod.proc.civ., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte, nonostante l’esistenza di una soccombenza reciproca per la parte di domanda rigettata o per le altre domande respinte, poiché tale condanna è consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionale di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa (cfr. Cass. ord. n. 1572 del 2018; Cass. ord. n. 26918 del 2018)
Nella fattispecie, la domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso dal 2008 a luglio 2011 e di illegittimità del licenziamento con condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro o, in subordine, al pagamento dell’indennità supplementare, del trattamento di fine rapporto e di differenze retributive è stata accolta limitatamente alla natura subordinata del rapporto di lavoro per il periodo da gennaio a luglio 2011 e dunque, in quest’ottica, non avrebbe potuto condannarsi il vincitore, sia pure parziale, al pagamento dei due terzi delle restanti spese di lite liquidate.
20. I primi quattro motivi del ricorso incidentale presentano profili di inammissibilità e, per la parte residua, sono infondati.
Preliminarmente, la configurazione del rapporto di lavoro dell’ingegnere E. in qualità di amministratore “di fatto” della società nonché le vicende relative alla mancata sottoscrizione del progetto costituiscono circostanze di fatto il cui accertamento è riservato al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità nei limiti previsti dall’art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ., che – nella versione ratione temporis applicabile – lo circoscrive all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), riducendo al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014). I primi due motivi di ricorso appaiono, dunque, inammissibilmente formulati, per avere ricondotto sotto l’archetipo della violazione di legge censure che, invece, attengono alla tipologia del difetto di motivazione ovvero al gravame contro la decisione di merito mediante una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale.
In ordine agli altri due motivi, occorre premettere che l’art.61 del d.lgs. n.276 del 2003 (nella versione di testo applicabile ratione temporis, anteriormente alle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 23, legge n. 92 del 2012), così dispone:
«Ferma restando la disciplina per gli agenti e i rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa».
L’art. 69, sotto la rubrica “Divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici e conversione del contratto” prevede che:
«1. I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza ‘individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’articolo 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.
2. Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell’articolo 61 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti.
3. Ai fini del giudizio di cui al comma 2, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento della esistenza del progetto, programma di lavoro o fase di esso e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente».
Questa Corte ha già affermato che ragioni di carattere teleologico, lessicale e sistematico (Cass. n. 17127 del 2016) palesano l’intenzione .del legislatore delegato di vietare (in armonia con la finalità enunciata dall’art.4, comma 1, lett. c), nn. 1-6, legge n. 30 del 2003) il ricorso a collaborazioni coordinate e continuative che non siano riconducibili a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso, allo scopo di porre un argine all’abuso della figura della collaborazione coordinata e continuativa, in considerazione della frequenza con cui giudizialmente ne veniva accertata la funzione simulatoria di rapporti di lavoro subordinato. Invero, la relazione introduttiva alla legge delega n.30 del 2003 espressamente richiama l’esigenza di esentare dalla disciplina generale del lavoro dipendente, solo le collaborazioni “senza vincolo di subordinazione e aventi ad oggetto un progetto o un programma di lavoro o una fase di esso”; il tenore lessicale del primo comma dell’art. 69 consente di rinvenire una vera e propria disposizione sanzionatoria per il caso di mancata riconducibilità del rapporto coordinato e continuativo ad uno specifico progetto o programma, disponendo tout court che il rapporto “è considerato” di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dall’origine, tipica dei casi di c.d. “conversione” del rapporto ope legis (quali ad es. le fattispecie interpositorie o di illegittima apposizione del termine finale di durata al contratto di lavoro); la differenza strutturale tra il primo ed il secondo comma dell’art. 69 sottolinea come, nella prima fattispecie, rileva il dato formale della mancanza di uno specifico progetto a fronte di una prestazione lavorativa che, in punto di fatto, rientra nello schema generale del lavoro, laddove nella seconda rilevano le modalità di tipo subordinato con cui, nonostante l’esistenza di uno specifico progetto, è stata di fatto resa la prestazione lavorativa (vedi in tal senso, in motivazione Cass. n. 9471 del 2016; Cass. n. 12820 del 2016; Cass. 11429 del 2017; Cass. n. 4337 del 2018).
E’ stato, pertanto, affermato il principio secondo cui l’art.69, primo comma del d.lgs. n.276 del 2003 si interpreta nel senso che, allorquando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa venga instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni della autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso (Cass. n. 17127 del 2016).
21. Il quinto motivo del ricorso incidentale è inammissibile.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione… ” (Cass. 3.8.2007 n. 17125 e negli stessi termini Cass. 25.9.2009 n. 20652).
In ordine al quinto motivo, difetta la necessaria riferibilità delle censure alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte territoriale non ha affermato che gli elementi istruttori raccolti (di fonte testimoniale e documentale) provassero la sussistenza di un vincolo di subordinazione tra le parti (vincolo, anzi, escluso per insussistenza di un potere direttivo in capo al datore di lavoro; cfr. pag. 9 della sentenza impugnata) bensì ha ritenuto che il rapporto di lavoro (decorrente dal gennaio 2011) dovesse “considerarsi” di natura subordinata in applicazione della sanzione prevista dall’art. 69, primo comma, del d.lgs. n. 276 del 2003.
Il motivo non coglie la ratio deciderteli perché la ricorrente insiste sull’insussistenza degli indici della subordinazione.
22. Il sesto motivo del ricorso incidentale è inammissibile.
Va rammentato nuovamente che il controllo di logicità del giudizio di fatto è, nella presente fattispecie, consentito alla luce dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5 cdo.proc.civ. nella formulazione successiva alla novella introdotta con il d.l. n. 83 del 2012 (conv. nella L. n. 134 del 2012), trattandosi di sentenza depositata dopo il giorno 11 settembre 2012. Come precisato dalle Sezioni Unite (n. 8053/2014) è, in tal caso, denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. E tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
La Corte distrettuale ha, a seguito di approfondito accertamento istruttorio, rilevato che non poteva ritenersi dimostrata la tesi difensiva della società secondo la quale la prova scritta del progetto poteva ricavarsi aliunde per relationem (pag. 10 della sentenza impugnata).
Non è, quindi, ravvisabile alcuna lacuna o contraddizione motivazionale secondo il parametro del c.d. minimo costituzionale attualmente imposto dal novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.
23. In conclusione, va accolto il nono motivo del ricorso principale, rigettati gli altri motivi e rigettato il ricorso incidentale; l’impugnata sentenza va pertanto cassata, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, il giudizio può essere deciso nel merito ex art. 384 cod.proc.civ. con la integrale compensazione delle spese di lite relative al secondo grado del giudizio. Le spese del presente giudizio di legittimità sono compensate tra le parti in considerazione della sostanziale reciproca soccombenza.
24. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
Accoglie il nono motivo del ricorso principale, rigettati gli altri motivi; rigetta il ricorso incidentale; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara interamente compensate tra le parti le spese del secondo grado del giudizio di merito; rigetta il ricorso incidentale; compensa le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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