CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 marzo 2020, n. 6943
Liste di mobilità – Licenziamento – Erogazione dell’indennità di mobilità – Contribuzioni versate alla gestione separata – Attività di amministratore di società oggetto di iscrizione all’Inps – Recupero dell’indennità di mobilità – Rigetto della domanda di pensione di anzianità per carenza del requisito contributivo
Fatti di causa
1. L’INPS di Senigallia corrispondeva a G.M., quale iscritto nelle liste di mobilità a seguito del licenziamento intimatogli dalla CMS di Senigallia, l’indennità di mobilità per il periodo dal 8 settembre 2008 al 30 settembre 2010. A seguito di una verifica della situazione contributiva del M. effettuata in sede di istruttoria della sua domanda di pensione di anzianità, l’istituto accertava che in costanza dell’erogazione dell’indennità di mobilità risultavano contribuzioni versate alla gestione separata di cui all’articolo 2 comma 26 della I. n. 335 del 1995, per lo svolgimento dell’attività di amministratore di società oggetto di iscrizione all’Inps dal 1.7.1996. Provvedeva allora al recupero dell’indennità di mobilità e al rigetto della domanda di pensione di anzianità per carenza del requisito contributivo.
2. La Corte d’appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto da G.M. e condannato l’INPS alla restituzione della ripetuta indennità di mobilità, con accessori di legge, ed aveva altresì dichiarato il diritto del ricorrente alla pensione di anzianità con decorrenza dal 31 dicembre 2010.
La Corte territoriale argomentava che ai sensi degli artt. 7 comma 5 e 8 comma 6 della legge n. 223 del 1991 lo svolgimento di attività di lavoro autonomo non determina la cancellazione dell’iscrizione nella lista di mobilità, né l’esclusione del diritto a percepire la relativa indennità.
3. Per la cassazione della sentenza l’INPS ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui G.M. ha resistito con controricorso.
4. Le parti hanno depositato anche memorie ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
5. L’Inps deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 7 commi 5 e 12 e 9 comma 9 della L n. 223 del 1991, in relazione agli articoli 77 del r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, convertito, con modificazioni, della I. 6 aprile 1936 numero 1155, e 52 e seguenti del R.d. 7 dicembre 1924 n. 2270, come vigenti ratione temporis.
Richiama le pronunce di questa Corte che hanno affermato che anche lo svolgimento di attività autonoma suscettibile di redditività fa cessare lo stato di bisogno connesso alla disoccupazione involontaria e comporta il venir meno tanto del diritto all’indennità di disoccupazione quanto del diritto all’indennità di mobilità.
6. Il ricorso non è fondato.
Con riferimento alla normativa applicabile ratione temporis alla presente controversia, questa Corte nella sentenza del 14 agosto 2004, n. 15890, cui hanno fatto seguito più recentemente Cass. nn. 20827 del 2014, 20826 del 2014; 20520 del 2015 e 2497 del 2018 ha chiarito quanto segue:
– il trattamento di mobilità, di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, riconosciuto in favore dei lavoratori dipendenti di imprese rientranti nel campo di applicazione dell’integrazione salariale straordinaria che, in possesso di una determinata anzianità aziendale, si trovino ad essere disoccupati in conseguenza dell’impossibilità da parte dell’impresa, che si sia avvalsa dell’intervento straordinario delle Cassa integrazione guadagni, di reimpiegare tutti i lavoratori sospesi, ovvero siano stati licenziati, indipendentemente dall’intervento di integrazione salariale, per riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, sostituisce ogni altra prestazione di disoccupazione (art. 7, comma 8, L. cit.) ed è erogata dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), con il concorso finanziario del datore di lavoro;
– la legge n. 223 del 1991, artt. 7, 8 e 9, disciplina l’istituto dell’indennità di mobilità, spettante ai lavoratori collocati in mobilità ed iscritti nelle apposite liste di cui all’art. 6, presso le quali i medesimi lavoratori vengono iscritti e cancellati a seconda che si tratti di cancellazioni per così dire sanzionatorie (art. 9, comma 1) o di cancellazioni c.d. fisiologiche (art. 9, sesto comma) (Cass. 1 settembre 2003, n. 12757);
– tali norme non si sono occupate espressamente della compatibilità della indennità con lo svolgimento di altre attività subordinate od autonome (e della cumulabilità della indennità con i redditi provenienti da questa attività), se non in determinati casi:
1) per stabilire la sospensione della indennità per le giornate di lavoro svolte dai lavoratori assunti a tempo parziale o a tempo determinato (art. 8, comma 7); 2) per stabilire la corresponsione di un assegno integrativo mensile, per un periodo complessivo massimo di dodici mesi, per i lavoratori che abbiano accettato un lavoro inquadrato in un livello retributivo inferiore (art. 9, comma 5); 3) per stabilire il diritto, per i lavoratori di cui all’art. 7, comma 6, che svolgano attività di lavoro subordinato od autonomo, di cumulare l’indennità di mobilità con il reddito derivante da tali attività, entro il limite della retribuzione spettante al momento della messa in mobilità (art. 9, comma 9) (per quest’ultima ipotesi, v. Cass. 9 agosto 2005 n. 16762).
7. Questa Corte ha inoltre chiarito che l’art. 7, comma 5 – il quale prevede la possibilità per il lavoratore che intenda intraprendere un’attività autonoma o associarsi in cooperativa, di richiedere la corresponsione anticipata dell’indennità di mobilità, nella misura di cui al primo e secondo comma della stessa disposizione, detraendone il numero di mensilità già godute – non riconosce implicitamente la compatibilità tra il diritto all’indennità di mobilità e lo svolgimento di lavoro autonomo, giacché l’indennità di mobilità è regolata dalla normativa che disciplina l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, in quanto applicabile, nonché dalle disposizioni di cui alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 37, e l’art. 7 richiamato «ha la funzione di indirizzare ed incentivare il disoccupato in mobilità verso attività autonome, al fine di ridurre la pressione sul mercato del lavoro subordinato, risolvendosi in un contributo finanziario, destinato a sopperire alle spese iniziali di un’attività che il lavoratore in mobilità svolgerà in proprio» (cfr., ex plurimis, Cass. 25 maggio 2010 n. 12746; Cass. 18 settembre 2007 n. 19338; Cass. 21 luglio 2004 n. 13562; Cass. 28 gennaio 2004 n. 1587; Cass. 10 settembre 2003 n. 13272; Cass. 20 giugno 2002 n. 9007). In sostanza, secondo la riferita giurisprudenza, l’erogazione in un’unica soluzione ed in via anticipata dei vari ratei dell’indennità non è più funzionale al sostegno dello stato di bisogno che nasce dalla disoccupazione, cosicché l’indennità perde la connotazione tipica – che le è propria – di prestazione di sicurezza sociale, per assumere la natura di contributo finanziario, destinato a sopperire alle spese iniziali di un’attività che il lavoratore in mobilità svolgerà in proprio (ovvero associandosi a una cooperativa) nell’obiettivo perseguito dalla citata disposizione legislativa (configurante un’ipotesi tipica di legislazione promozionale) di creare i presupposti affinché nuovi soggetti assumano l’iniziativa di attività di natura imprenditoriale o professionale riducendo, in tal modo, l’eventualità di un intervento del sistema previdenziale in forma meramente assistenzialistica e, sotto altro profilo, sollecitando una partecipazione “attiva” da parte del lavoratore nella ricerca di una nuova occupazione.
8. Da tali premesse questa Corte, nelle pronunce valorizzate anche dall’Inps nelle proprie difese, ha tratto la conseguenza dell’incompatibilità della percezione dell’indennità di mobilità con lo svolgimento di lavoro autonomo, in quanto «anche lo svolgimento di un’attività lavorativa autonoma, suscettibile di redditività, fa cessare lo stato di bisogno connesso alla disoccupazione involontaria e comporta il venir meno tanto del diritto all’indennità di disoccupazione quanto del diritto all’indennità di mobilità» (Cass. 02/10/2014, n. 20826 e n. 20827, Cass. n. 2497 del 01/02/2018, Cass. n. 9321 del 16/4/2018).
9. A diverse conclusioni deve però giungersi nel caso, non esaminato nei richiamati arresti e che ricorre nella fattispecie in esame, nel quale il lavoratore in mobilità già svolgesse, nella costanza del lavoro subordinato, anche lavoro autonomo con esso compatibile, ed abbia continuato a svolgerlo anche dopo il collocamento in mobilità. In tal caso, infatti, deve ritenersi che il lavoratore licenziato acquisti comunque il diritto all’iscrizione nelle liste di mobilità ed alla percezione della relativa indennità.
10. La differenza di trattamento tra le due ipotesi trova giustificazione nel fatto che la perdita del lavoro subordinato provoca comunque, anche nel caso in cui il lavoratore già prestasse attività autonoma con esso compatibile, la perdita della retribuzione e la decurtazione del reddito percepito prima del licenziamento e destinato alle esigenze di vita, che costituisce la giustificazione dell’intervento dell’ammortizzatore sociale in questione. Inoltre, l’iscrizione nelle liste di mobilità, con gli incentivi per le imprese che da esse assumono, costituisce un’agevolazione per il reingresso nel mondo del lavoro che deve comunque essere applicata al lavoratore in tal modo licenziato.
11. Non osta alla soluzione adottata il richiamo alla normativa sulla disoccupazione effettuato dall’art. 7, comma 12 della I. n. 223 del 1991, che non fa venire meno le peculiarità che contraddistinguono i due istituti della mobilità e della disoccupazione. Le stesse Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza del 6 dicembre 2002, n. 17389 – che ha ritenuto applicabili alla domanda per ottenere l’indennità di mobilità i termini di decadenza stabiliti dalla normativa in materia di disoccupazione involontaria, sul presupposto che il richiamo alla normativa che disciplina l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria effettuato dal comma dodicesimo dell’art. 7 citato dimostra che la medesima deve considerarsi inserita a tutti gli effetti formali e sostanziali nella nuova norma istitutiva dell’indennità di mobilità – hanno precisato che l’inciso «in quanto applicabile» «..rappresenta una opportuna precisazione del legislatore che, posta la diretta applicabilità all’indennità di mobilità della specifica normativa che disciplina l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, ha sottolineato che a tale generale applicabilità fanno eccezione quelle disposizioni intrinsecamente incompatibili, per il loro contenuto, con la disciplina generale».
Incompatibilità che attiene certamente alle condizioni obiettive costituenti il presupposto per l’indennità di mobilità rispetto a quelle per l’indennità di disoccupazione.
12. Nel caso, dunque, l’esercizio sin dal 1996 dell’attività di amministratore di s.p.a. (attività non subordinata né parasubordinata, come chiarito da Cass. S.U. n. n. 1545 del 20/01/2017), che è stata pacificamente assoggettata all’obbligo di iscrizione nella gestione separata ex art. 2, comma 26 della I. n. 335 del 1995, non escludeva l’iscrizione del lavoratore licenziato nelle liste di mobilità, né la concessione della relativa indennità.
13. Non osta alla soluzione adottata la coesistenza tra contribuzione effettiva e figurativa che in tal modo si realizza per il medesimo periodo, che l’Inps ritiene inammissibile richiamando l’arresto di questa Corte n. 705 del 2012: tale arresto ha affermato infatti la non spettanza della contribuzione figurativa relativa a periodi di congedo per maternità avvenuti al di fuori del rapporto di lavoro, ove i medesimi periodi siano già coperti da contribuzione volontaria, in ragione della rilevanza sociale dell’assistenza alla maternità, che resta assolta ove tale periodo sia comunque riconosciuto utile a fini pensionistici; diversamente, nel caso in questione, si tratta di coesistenza di contribuzioni legate a presupposti differenti, ovvero l’iscrizione nelle liste di mobilità e la prestazione di lavoro autonomo, che tuttavia per i motivi esposti possono coesistere, ferma la computabilità della relativa contribuzione ai fini della maturazione dei requisiti per la pensione e del suo ammontare secondo le norme nel tempo applicabili.
14. Il ricorso deve quindi essere rigettato.
15. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore del difensore in virtù della dichiarata anticipazione.
16. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 4.000,00 per compensi professionali, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. M.M.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
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