CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 marzo 2022, n. 7980
Tributi – ICI – Esenzione – Immobili di proprietà della Congregazione Cristiana – Immobili adibiti ad alloggio per i religiosi della Congregazione
Fatti di causa
La Congregazione Cristiana dei T.G. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento notificato da Roma Capitale per omesso versamento dell’imposta ICI, relativamente all’anno 2008, con riferimento ad alcuni immobili di proprietà, a seguito del mancato riconoscimento del diritto all’esenzione del tributo, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 504 del 1992.
Resisteva in giudizio Roma Capitale.
L’adita CTP di Roma accoglieva parzialmente il ricorso.
Avverso tale sentenza l’ente impositore e, in via incidentale, la contribuente, proponevano appello.
Con sentenza n. 2101/09/2016, la C.T.R. del Lazio accoglieva l’appello principale e respingeva l’appello incidentale sulla base, per quanto qui ancora rileva, delle seguenti considerazioni: 1) l’autografia della sottoscrizione non è requisito essenziale della validità dell’atto impositivo se esso proviene dall’organo oggettivamente inteso dell’Ufficio comunale che ne richiede la notificazione, cosi impegnando la responsabilità della persona che ne è titolare, nella specie, la “dr.ssa A.M.R., funzionario autorizzato a formare l’atto amministrativo de quo”‘, 2) “nessuno degli immobili per cui è stato chiesto il pagamento dell’ICI rientra tra quelli a cui spetta l’esenzione non essendo destinati ad attività di culto o religiose, essendo pacifico che gli immobili sono piuttosto “adibiti ad alloggio per i religiosi della Congregazione”; 3) la contribuente “non ha dato alcuna prova sullo svolgimento negli immobili in questione di attività religiose o di culto, anzi, ha dichiarato che gli immobili erano utilizzati “come alloggi dei religiosi”.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Roma Capitale (già Comune di Roma), sulla base di nove motivi.
La Congregazione Cristiana dei T.G. ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4), violazione e falsa degli artt. 36, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 e 156 cod. proc. civ. nonché motivazione apparente in ordine al lamentato vizio di sottoscrizione dell’atto impositivo, per non aver la CTR considerato che l’avviso di accertamento impugnato risultava sottoscritto dal funzionario F.C.C. e non già dalla “dr.ssa A.M.R., funzionario abilitato a seguito di determinazione dirigenziale n. 13160 del 13/11/2009, attributiva dei poteri di accertamento e firma”.
Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3), violazione e falsa dell’art. 1, comma 87, l. n. 549 del 1995, perché la CTR erroneamente richiama l’indicata disciplina in quanto la sottoscrizione autografa dell’atto impositivo non è stata sostituita da quella a mezzo stampa del nominativo del funzionario responsabile a ciò autorizzato a mezzo provvedimento dirigenziale.
Con il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, d.lgs. n. 504 del 1992, per aver la CTR escluso che gli alloggi dei religiosi che svolgono attività di culto costituiscono immobili esenti, essendo incontestato che gli immobili sono tutti nelle adiacenze della sede nazionale della Congregazione, che molti di essi costituiscono addirittura una struttura unitaria con la sede medesima e che in ogni alloggio risiedono più Ministri, tanto da essere classificati catastalmente in Cat. B/1 (Conventi).
Con il quarto motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., per non aver la CTR considerato che la Congregazione ha giudizialmente dimostrato, sia pure mediante presunzione, lo svolgimento di attività di religione e culto negli immobili in contestazione, posto che per i religiosi che operano presso la sede centrale, occupando gli adiacenti alloggi, l’attività svolta di per sé rientra tra quelle previste dall’art. 7, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 546 del 1992.
Con il quinto motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4), violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per aver la CTR omesso di pronunciare sulla esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che, in ogni caso, agli immobili doveva essere riconosciuta la natura di pertinenze degli edifici di culto, essendo collocati nelle adiacenze della sede nazionale, in Roma, Via della B. n. 1281.
Con il sesto motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3), violazione dell’art. 7, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che l’abitazione dei religiosi determina l’esclusivo esercizio del culto all’interno dell’immobile.
Con il settimo motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4), violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per aver la CTR omesso di pronunciare sulla esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che gli immobili, nel caso specifico, erano classificati catastalmente in cat. E/7.
Con l’ottavo motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4), violazione dell’art. 36, n. 4), d.lgs. n. 546 del 1992, motivazione apparente o omessa in ordine all’accertamento della destinazione degli immobili, classificati in cat. E/7, come comprovato dalle visure catastali e riconosciuto da Roma Capitale.
Con il nono motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4), violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., omessa pronuncia sul vizio di motivazione dell’avviso di accertamento, in quanto richiama genericamente ed in modo stereotipato verifiche istruttorie delle quali nulla è dato sapere.
Le prime due censure, scrutinagli congiuntamente in quanto strettamente connesse, sono inammissibili prima che infondate.
La contribuente si duole della decisione della CTR, in relazione alla dedotta illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato, per la mancata sottoscrizione dell’atto, tramite firma autografa, da parte del responsabile del procedimento, da individuarsi nella “dr.ssa A.M.R., funzionario abilitato a seguito di determinazione dirigenziale n. 13160 del 13/11/2009, attributiva dei poteri di accertamento e firma”, quale “dirigente del Servizio ICI”. Evidenzia che è il “dott. F.C.C.” il soggetto che ha sottoscritto, a mezzo stampa, l’atto impositivo e che detto funzionario non è ricompreso nella determina dirigenziale. Deduce, inoltre, che se l’avviso di accertamento fosse stato sottoscritto, sia pure a mezzo stampa, dalla R., persona autorizzata dal menzionato provvedimento dirigenziale, non vi sarebbe stato alcun vizio formale da denunciare, ma che essendo la sottoscrizione apposta sull’atto riferibile al C., soggetto non legittimato né autorizzato, non ha senso l’affermazione, contenuta nella impugnata sentenza, secondo cui “l’avviso di accertamento, anche se non contiene materialmente la sottoscrizione del responsabile del soggetto responsabile, proviene come risulta dalla documentazione versata in atti dalla dr.ssa A.M.R., funzionario autorizzato a formare l’atto amministrativo de quo”. Ne conseguirebbe, in conclusione, l’inesistenza dell’atto amministrativo per difetto di uno dei requisiti essenziali.
Questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. Cass. n. 20628/2017, con ulteriori richiami), che “L’art. 1, comma 87, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, stabilisce che «la firma autografa prevista dalle norme che disciplinano i tributi regionali e locali sugli atti dì liquidazione e accertamento è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, nel caso in cui gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati».
E’ stato, altresì, chiarito (cfr., tra le altre, Cass. n. 9079/2015; Cass. n. 6736/2015) che si tratta di norma speciale non abrogata e che conserva, pertanto, la sua efficacia.
Giova, pertanto, osservare che la CTR, allorché afferma che “appare indubbio che nella fattispecie l’avviso di accertamento, anche se non contiene materialmente la sottoscrizione del soggetto responsabile, proviene come risulta dalla documentazione versata in atti dalla dr.ssa A.M.R., funzionario autorizzato a formare l’atto amministrativo de quo”, intende dire che l’atto in questione proviene inequivocabilmente dal “Servizio ICI” del Comune di Roma diretto dalla “dr.ssa A.M.R.”, funzionario autorizzato a formare l’atto amministrativo de quo”, ancorché materialmente sottoscritto, a mezzo stampa, da altro soggetto, il “dott. F.C.C.”
Deduce l’odierna ricorrente (pag. 19 del ricorso) che si tratta di accertamento sovrapponibile a quello del “giudice di prime cure, palesemente caduto in errore”, il quale ha dichiarato legittimo l’atto “provenendo la firma dal dirigente del servizio ICI nominato con delibera n. 13160 datata 13/11/2009”.
Le censure sono inammissibili per difetto di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366, co. 1, n. 6, c.p.c., in quanto la ricorrente non mette in grado il Collegio dì verificare, senza accedere agli atti di causa, la effettiva portata delle censure contenute nel ricorso introduttivo del giudizio e poi reiterate nell’appello incidentale.
La contribuente ha omesso di trascrivere, almeno nei loro passaggi maggiormente significativi, gli atti processuali nei quali sarebbero riportati gli specifici profili impugnatori dell’avviso di accertamento.
Del resto, il giudice di prime cure si è pronunciato unicamente sulla questione concernente il mancato rispetto dell’art. 1, comma 87, l. n. 549 del 1995, avuto riguardo alla dedotta mancanza di sottoscrizione autografa.
In ogni caso, le doglianze incentrate sul difetto di autografia sono state correttamente disattese dal giudice di appello, il quale ha richiamato in sentenza la giurisprudenza di legittimità (“Cass. n. 21954/2004, n. 5684/2000, n. 9394/97, n. 13375/09”) che supporta l’affermazione concernente “la non essenzialità ontologica del requisito della sottoscrizione degli atti amministrativi ai fini della esistenza e validità degli stessi”, essendo sufficiente che l’atto “proviene dall’organo oggettivamente inteso e reca contrassegni che impegnano la responsabilità della persona titolare dell’organo, come, per esempio, la carta intestata ovvero le impronte dell’ufficio ovvero la notificazione a richiesta dell’ufficio medesimo quando si tratta di atti destinati a terzi”.
Inoltre, la circostanza che il nominativo apposto sull’avviso fosse quello del C., funzionario diverso dal soggetto (la R.) regolarmente investito – con determina dirigenziale – della responsabilità del Servizio ICI del Comune di Roma ma non estraneo al suddetto ufficio, non viene affatto negata dal giudice di appello il quale, piuttosto, ne svalutata la decisività, in considerazione sia della provenienza dell’atto dal soggetto abilitato, ritenuta sicura e da intendersi come riferita alla provenienza dell’atto dall’Ufficio oggettivamente considerato, sia della possibilità della delega di firma, che non è delega di funzioni da attribuire esclusivamente ad un dirigente (Cass. n. 8814/2019), questione diversa da quella incentrata dalla contribuente sul difetto di firma autografa (art. 1, comma 87, l. n. 549 del 1995).
La terza, quarta e quinta censura, scrutinabili congiuntamente in quanto ruotano attorno alla sussistenza dei presupposti dell’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 546 del 1992, negata dal giudice di appello, sono fondate.
La sentenza impugnata basa l’affermata legittimità della pretesa impositiva azionata dall’ente territoriale sul fatto che gli immobili per cui è causa non fossero destinati ad attività di culto o religiose in quanto dichiaramente adibiti ad alloggi per i religiosi della Congregazione.
Questa Corte, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), ha precisato che l’esenzione prevista dall’art. 7, comma primo, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992, è subordinata alla compresenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate dal legislatore ai fini dell’esenzione, e di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (art. 87, comma primo, lett. c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, cui il citato art. 7 rinvia).
La sussistenza del requisito oggettivo – che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare – non può essere desunta esclusivamente sulla base di documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale (Cass.n. 20776/2005, n. 19072/2019).
La sussistenza del requisito oggettivo deve essere accertata in concreto, verificando che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale (Cass. n. 4502/2012, n. 14226/2015.
La CTR ha fatto riferimento unicamente alla destinazione degli immobili a foresteria dei ministri di culto, equiparando di fatto i beni ad abitazioni private non soggette alle pratiche di culto religioso.
Va, tuttavia, ricordato che anche le attività assistenziali e recettiva possono determinare, al pari di quelle di religione o di culto, l’esenzione ICI, in base all’invocato art. 7, comma primo, lett. i), d.lgs. n. 504/1992.
Questa Corte già in passato ha statuito che l’esenzione in esame, prevista per gli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento delle attività di religione o di culto di cui all’art. 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, spetta ad un ente ecclesiastico in relazione ad un immobile destinato ad abitazione di membri della propria comunità religiosa, con modalità assimilabili all’abitazione di una unità immobiliare da parte del proprietario e dei suoi familiari, comportando tale destinazione lo svolgimento di un’attività non commerciale, ma diretta alla “formazione del clero e dei religiosi”, espressamente compresa nell’elencazione di cui all’art. 16, lett. a) cit. ed avente altresì le caratteristiche di attività “ricettiva”, parimenti inclusa nell’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) cit. e da intendersi riferita all’ospitalità ed accoglienza di persone in genere, non necessariamente terze ed estranee all’ente proprietario (Cass. n. 26654/2009 e, con riferimento alle parti in causa, Cass. n. 19180/2019).
La valutazione (in concreto e non solo documentali) del corredo probatorio offerto dalla contribuente, è del tutto mancata nella decisione impugnata e poiché essa deve riferirsi agli specifici immobili per cui è causa, nonché alla annualità d’imposta per cui è causa, neppure ha pregio il richiamo al precedente della Corte sopra richiamato.
L’accoglimento dei motivi di ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata per nuovo esame della causa da parte del giudice di rinvio cui demanda la liquidazione delle spese processuali.
Le residue censure, mediante le quali la contribuente tende ad ottenere il riconoscimento, per altra via, del regime esonerativo negato, restano assorbite.
P.Q.M.
Accoglie il terzo, quarto e quinto motivo, rigetta il primo e secondo, dichiara assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
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