CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 novembre 2019, n. 29101
Lavoro – Licenziamento individuale – Per giustificato motivo – Art. 18, comma 7, st. lav. riformulato – Manifesta insussistenza del fatto – Assenza di nesso causale fra recesso e motivo addotto – Inclusione – Fattispecie
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Milano, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, con sentenza del 26 ottobre 2016, ha confermato l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a C.J.G.A. in data 3 aprile 2015 da C.E. Spa nonché la conseguente condanna di detta società alla reintegrazione del dipendente ed al pagamento della retribuzione globale di fatto dal recesso nella misura massima di 12 mensilità, oltre contributi e accessori.
2. La Corte ha rilevato che “dalla lettura della motivazione dell’intimato licenziamento risulta che la società ha giustificato il recesso a causa dell’intervenuta chiusura del Canale C.T., ceduto a S., e per essere in conseguenza venuta meno l’attività principale di G., dedicata al telegiornale ed alle trasmissioni del canale televisivo”; come poi sostenuto dalla società in detta lettera, il G. “saltuariamente è stato coinvolto in altri progetti realizzati dalla scrivente scrivendo e correggendo testi di servizi ed anche in via residuale per il notiziario cartaceo Class News”.
Conformemente al giudizio del Tribunale, la Corte ha però ritenuto che “l’istruttoria espletata abbia smentito perentoriamente la natura residuale delle altre attività svolte da G.” e, quindi, che la giustificazione addotta nella lettera di licenziamento fosse “manifestamente insussistente, facendo riferimento, dopo la cessione del canale televisivo, ad una attività residuale di G. solo saltuaria che, invece, è risultata prevalente; ne consegue – secondo i giudici d’appello – che deve allora ritenersi insussistente il necessario nesso causale fra quella cessione ed il licenziamento di G.”.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso C.E. Spa con 2 motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso, eccependo preliminarmente la nullità del ricorso avverso, in quanto “redatto in data 23 dicembre 2016 ed in pari data notificato” mentre la procura speciale rilasciata ai difensori della società “porta, invece, la data del 26 dicembre 2016”.
La società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., sostenendo, tra l’altro, che la data del 26 dicembre apposta alla procura è frutto di un errore materiale.
Ragioni della decisione
1. La preliminare eccezione di nullità sollevata dal controricorrente non è meritevole di accoglimento in quanto la procura, secondo l’attestazione di conformità redatta dall’Avv. C., è stata notificata unitamente al ricorso per cassazione (né il G. oppone nulla in proposito) in modo tale che risulta salvaguardato il principio della anteriorità della procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione rispetto alla notificazione dello stesso, restando nella specie non rilevante la data di rilascio apposta alla stessa, in quanto si tratta di requisito non previsto a pena di nullità (cfr. Cass. n. 24422 del 2016) e plausibilmente frutto di un errore materiale, come sostenuto da parte ricorrente in memoria ex art. 378 c.p.c..
2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta che la Corte di Appello avrebbe violato e falsamente applicato l’art. 3 della l. n. 604 del 1966 “il quale impone di considerare i motivi a monte della decisione aziendale di procedere al licenziamento del dott. G., per verificare il nesso esistente tra quei motivi ed il licenziamento”.
Si sostiene che la Corte non si sarebbe resa conto che “il licenziamento scaturiva dalla complessiva riorganizzazione conseguente alla cessione del canale televisivo e dal fatto che, cessata pacificamente ed effettivamente quell’attività relativa al canale televisivo (definita come principale), le residue attività, al di là della loro opinabile qualificazione, non erano comunque tali da giustificare la persistenza della posizione lavorativa del dott. G.”.
3. La censura è infondata.
Come noto questa Corte (Cass. n. 25201 del 2016) – dopo aver ricordato la contrapposizione tra l’orientamento giurisprudenziale che, ai fini della legittimità del recesso, ritiene necessario che la modifica organizzativa sia stata disposta al fine di fronteggiare una situazione di crisi dell’azienda non contingente e l’orientamento che invece ritiene legittimo il recesso anche quando la modifica organizzativa sia stata attuata dal datore di lavoro allo scopo di ridurre i costi o di incrementare i profitti – ha affermato che “tratti comuni ad entrambi gli orientamenti sono rappresentati dal controllo giudiziale sull’effettività del ridimensionamento e sul nesso causale tra la ragione addotta e la soppressione del posto di lavoro del dipendente licenziato. Parimenti costituisce limite al potere datoriale costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità quello identificato nella non pretestuosità della scelta organizzativa”.
Tanto che, secondo il richiamato arresto, “resta saldo il controllo sulla effettività e non pretestuosità della ragione concretamente addotta dall’imprenditore a giustificazione del recesso”, per cui se si accerta che la ragione addotta a giustificazione del licenziamento “non sussiste, il recesso può essere dichiarato illegittimo dal giudice del merito non per un sindacato su di un presupposto in astratto estraneo alla fattispecie del giustificato motivo oggettivo, bensì per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità o sulla pretestuosità della ragione addotta dall’imprenditore.
Ovverosia l’inesistenza del fatto posto a fondamento del licenziamento così come giudizialmente verificata rende in concreto il recesso privo di effettiva giustificazione“.
Parimenti “deve sempre essere verificato il nesso causale tra l’accertata ragione inerente l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro come dichiarata dall’imprenditore e l’intimato licenziamento in termini di riferibilità e di coerenza rispetto all’operata ristrutturazione. Ove il nesso manchi, anche al fine di individuare il lavoratore colpito dal recesso, si disvela l’uso distorto del potere datoriale, emergendo una dissonanza che smentisce l’effettività della ragione addotta a fondamento del licenziamento”.
Non si pone in contrasto con i principi così enunciati, costantemente ribaditi da questa Corte (v., tra molte, Cass. n. 4105 del 2017; Cass. n. 10699 del 2017; Cass. n. 13808 del 2017; di recente v. Cass. n. 8661 del 2019), la sentenza impugnata.
Essa, come risulta dallo storico della lite, sulla base di un accertamento in fatto non certo sindacabile in questa sede di legittimità, ha ritenuto che la giustificazione addotta dalla società nella lettera di licenziamento del G. risultasse smentita dall’istruttoria espletata in quanto, alla data del recesso, l’attività “decisamente prevalente rispetto alla realizzazione del telegiornale di C.T.” era dedicata dal dipendente “a tutto l’altro lavoro di redazione destinato al network esterno”, venendo meno il necessario nesso causale tra la cessione del canale televisivo ed il licenziamento.
Sicché i giudici del merito, ai quali compete, hanno correttamente effettuato in concreto una valutazione circa l’effettività della ragione addotta dall’imprenditore a giustificazione del recesso, traendo dalla mancanza di nesso causale con la posizione lavorativa del lavoratore una dissonanza che svela l’uso distorto del potere datoriale.
4. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 7, l. n. 300 del 1970, come modificata dalla l. n. 92 del 2012, per avere la Corte territoriale applicato la tutela reintegratoria a fronte di circostanze che escludevano la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo “e senza aver illustrato le ragioni che l’hanno condotta comunque a ritenere il fatto alla base del licenziamento manifestamente insussistente”.
5. Il motivo non può trovare accoglimento.
Posto che tocca al giudice del merito “verificare se sia manifesta ossia evidente l’insussistenza anche di uno solo degli elementi costitutivi del licenziamento, cioè della ragione inerente l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa che causalmente determini un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa, ovvero della impossibilità di una ovvero della impossibilità di una diversa utilizzazione del lavoratore licenziato in mansioni diverse” (Cass. n. 10435 del 2018; Cass. n. 32159 del 2018), la ritenuta mancanza di un nesso causale tra il progettato ridimensionamento e lo specifico provvedimento di recesso è stata già ritenuta da questa Corte tale da ricondurre il licenziamento nell’alveo di quella particolare evidenza richiesta per integrare la manifesta insussistenza del fatto che giustifica, ai sensi dell’art. 18, comma 7, l. n. 300/1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, la tutela reintegratoria attenuata (v. Cass. n. 31496 del 2018; conf. Cass. n. 8661 del 2019).
6. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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