CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 ottobre 2018, n. 25254
Tributi – Accertamento – Reddito di impresa – Cessione terreno – Contratto di permuta – Registrazioni contabili
Fatti di causa
L’Agenzia delle entrate contestò alla s.r.l. I.S. in liquidazione, in relazione all’anno 2000, la sottofatturazione per £ 40milioni della cessione di un fabbricato; l’omessa fatturazione di ricavi scaturenti da un contratto di appalto-permuta; l’omessa fatturazione dell’acquisto di sanitari extracapitolato e l’omessa contabilizzazione di ricavi derivanti dall’iscrizione in bilancio di passività inesistenti.
La società impugnò il relativo avviso di accertamento, ottenendone il parziale accoglimento dalla Commissione tributaria provinciale di Novara, che reputò infondato il solo primo rilievo dell’Agenzia, confermando i restanti.
La Commissione tributaria regionale del Piemonte ha poi respinto il successivo appello principale proposto dalla contribuente limitatamente al secondo rilievo, scaturente, nella prospettiva dell’avviso di accertamento, dal fatto che la società aveva stipulato con le controparti T.C. e T.S. un contratto di appalto-permuta, avente a oggetto l’esecuzione di opere di completamento di un fabbricato contro la cessione della proprietà di alcuni terreni.
Il giudice d’appello ha ravvisato nell’operazione una permuta e ha identificato il momento impositivo ai fini dell’iva con la cessione del terreno e ai fini delle imposte dirette e dell’irap con quello in cui l’impresa, impegnatasi a cedere gli appartamenti futuri, ha incassato il corrispettivo della cessione, coincidente con l’acquisizione del terreno.
Ha, poi, rigettato l’appello concernente il terzo rilievo della pretesa impositiva, in base alla considerazione che qualsiasi richiesta di migliorie costruttive eccede il capitolato, determinando costi aggiuntivi per l’acquirente.
Ha, invece, ritenuto infondata la ripresa dell’Ufficio compendiata nel quarto rilievo dell’avviso di accertamento, relativa all’omessa contabilizzazione di ricavi derivanti dall’iscrizione in bilancio di passività inesistenti, perché ha fatto leva sulla dichiarazione dei venditori, contenuta nell’atto di acquisto, di aver percepito il corrispettivo concordato.
La Commissione tributaria regionale ha poi respinto l’appello incidentale dell’Agenzia, perché la fatturazione delle prestazioni eseguite dal piastrellista e dall’idraulico erano eccessivamente generiche e quindi inidonee a sostenere il relativo capo della pretesa impositiva.
Contro questa sentenza propone ricorso la società per ottenerne la cassazione, che affida a tre motivi, cui l’Agenzia replica con controricorso e ricorso incidentale, anch’esso articolato in tre motivi, il primo dei quali consistente in due subcensure, che la contribuente contrasta con controricorso.
La società deposita altresì memoria ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
- – Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso principale in relazione al Ministero, estraneo al giudizio.
- – Infondata è poi l’eccezione d’inammissibilità del ricorso principale, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto in controricorso, i fatti sono compiutamente delineati.
- – Col primo motivo del ricorso principale, proposto ex art. 360, 1° comma, n. 3,c.p.c., la società denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1° comma, e 1363 c.c., nonché dell’art. 109, 1° comma e 2° comma,lett. b), del d.P.R. n. 917/86, in combinazione con l’art. 1665 c.c.
Sostiene che erroneamente l’operazione descritta nel contratto stipulato con le controparti T. sia stata qualificata come permuta: in realtà, a suo avviso, si tratta di un contratto misto avente, per gli aspetti in questione, gli elementi della vendita e dell’appalto; sicché, in base al testo dell’allora art. 75 del d.P.R. n. 917/86, successivamente numerato come 109, il corrispettivo dell’appalto si deve intendere conseguito alla data in cui la prestazione è stata ultimata, ossia, nel caso in esame, nel 2001, quando la costruttrice ha completato l’edificio.
La censura è fondata.
3.1. – Questa Corte ravvisa la permuta di un bene esistente con un bene futuro nel contratto avente a oggetto il trasferimento della proprietà di un’area in cambio di un fabbricato o di alcune sue parti da costruire sull’area stessa, a cura e con mezzi del cessionario, se il sinallagma negoziale sia consistito nel trasferimento reciproco, con effetto immediato sulla proprietà dell’area e differito della cosa futura, e l’assunzione dell’obbligo di erigere l’edificio sia rimasta su di un piano accessorio e strumentale.
Si assume quindi come rilevante lo schema dello scambio tra la proprietà dell’area fabbricabile e una porzione della proprietà della erigenda costruzione e sulla causa tipica di esso si ritiene non destinata a incidere la clausola in virtù della quale gli appartamenti da costruire insistano non solo sull’area fabbricabile trasferita dal cedente, ma anche su un terreno acquistato da terzi dallo stesso permutante costruttore (Cass. 25 ottobre 2013, n. 24172).
È in relazione, dunque, a questo schema di scambio, che pur sempre riguarda precipuamente, in tutto o in parte, la medesima area fabbricabile, che si riconosce la mera strumentala dell’obbligazione di costruire assunta dal permutante. Ed è logico, perché, a seguito della cessione dell’area edificabile al costruttore, la realizzazione dell’edificio ne comporta l’acquisizione della proprietà per accessione; sicché occorre che il costruttore trasferisca la proprietà dell’immobile al soggetto che gli ha ceduto l’area.
3.2. – Nel caso in esame, invece, emerge dalla narrativa della sentenza impugnata che col contratto del quale si discute la società <<si era impegnata per l’esecuzione di opere di completamento di un fabbricato entro il 14/9/2000 contro la cessione di un terreno per £ 160.000.000…>>.
E, col motivo in questione, la società, facendo leva sul testo del contratto, che integralmente riproduce, sottolinea appunto che la prima parte di esso si riferisce all’appalto concernente il completamento di un edificio di proprietà dei committenti, in cambio della cessione della proprietà di altre aree edificabili: a tanto aggiunge che la parte del contratto dedicata alla permuta si riferisce ad altro, ossia allo scambio di diritti di servitù di passaggio pedonale, carraio, di cavi e tubazioni tra i terreni confinanti ceduti in corrispettivo alla realizzazione dell’opera.
Si è trattato, quindi, di un edificio che era e che è rimasto di proprietà dei committenti, giacché il costruttore si doveva limitare a completarlo.
3.3. – In questo contesto, la laconica statuizione in fatto del giudice d’appello, il quale assume assertivamente che la cessione del terreno sia stata fronteggiata dall’obbligo di cedere in cambio gli appartamenti futuri, si rivela manifestamente insoddisfacente.
Il che si riverbera sulla conseguente statuizione in diritto, secondo cui <<ai fini delle imposte IRPEG ed IRAP il momento in cui l’impresa incassa il corrispettivo della cessione dell’immobile coincide con l’acquisizione del terreno, giacché il corrispettivo è rappresentato dal valore del terreno>>.
3.4. – Ciò perché, in tema di imposte sui redditi, alla formazione del reddito di impresa in un determinato periodo concorrono, secondo le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito, i ricavi per corrispettivi (anche se non ancora incassati) degli appalti ultimati nel medesimo periodo, e cioè quelli in cui è intervenuta (o si considera intervenuta) l’accettazione del committente, poiché è in quel momento che si perfeziona il diritto dell’appaltatore al corrispettivo, ai sensi dell’art. 1665 c.c.: pertanto, è onere dell’amministrazione finanziaria provare se e quando sia intervenuta l’accettazione da parte del committente (Cass. 5 maggio 2010, n. 10818). Laddove, sostiene la società, il collaudo statico dell’immobile oggetto del contratto, che riproduce in ricorso, è avvenuto il 21 aprile 2001.
3.5. – Il motivo va quindi accolto, con la cassazione per il profilo corrispondente della sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione per una nuova valutazione.
4. – L’accoglimento del motivo determina l’assorbimento del secondo motivo del ricorso principale, col quale la contribuente si duole della mancanza di motivazione della sentenza impugnata in ordine alle contestazioni concernenti l’aspetto sanzionatorio, basate sull’avvenuto versamento, sia pure in ritardo, dell’iva, che avrebbe dovuto sorreggere la sanzione prevista dall’art. 13 del d.lgs. n. 471/97, e non già le sanzioni contemplate per l’ipotesi dell’infedele registrazione e per l’inferiore dichiarazione d’imposta.
5. – Infondato è, invece, il terzo motivo del ricorso principale, col quale la contribuente lamenta exart. 360, 1° comma, n. 3,c.p.c., la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., perché sostiene che l’Amministrazione non abbia assolto l’onere della prova su di essa incombente in relazione all’omessa fatturazione del rimborso per l’acquisto dei sanitari, corrispondente al terzo rilievo della pretesa impositiva.
5.1. – Anzitutto, quanto al profilo concernente la violazione dell’art. 2697 c.c., dalla stessa prospettazione del motivo emerge che non si discute di riparto dei carichi probatori, disciplinato dalla norma invocata, sibbene dalla valutazione delle prove offerte.
5.2. – Inoltre, con riguardo al profilo inerente all’art. 115 c.p.c., va ribadito il consolidato orientamento di questa Corte (in espressione del quale vedi, tra varie, Cass. 10 giugno 2016, n. 11892), secondo cui la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli. Elementi, questi, estranei alla prospettazione del motivo di ricorso in questione.
La censura va quindi respinta.
6. – Col primo motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate aggredisce la statuizione della sentenza impugnata, che ha escluso la fondatezza della pretesa impositiva con riguardo alle prestazioni svolte dai fratelli P., piastrellista e idraulico, in relazione all’unità immobiliare della sorella G.P..
Come obiettato in controricorso dalla contribuente, peraltro, il profilo della censura concernente il vizio di motivazione della sentenza impugnata è inammissibile, perché non concerne fatti storici trascurati o travisati, bensì argomentazioni, inidonee a sorreggere la deduzione di vizio motivazionale (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21152).
6.1. – Inammissibile è altresì il secondo profilo della seconda censura, col quale l’Agenzia fa leva sulla violazione dell’art. 3, 3° comma, del d.P.R. n. 633/72, sostenendo che costituiscano prestazioni a titolo oneroso anche quelle compiute dal soggetto passivo per il proprio uso personale o familiare.
L’affermazione, se pure corretta in diritto, è del tutto irrilevante ai fini della pretesa impositiva, che concerne, come riportato in narrativa, l’affermata sottofatturazione di lire 40milioni di uno degli appartamenti venduti dalla contribuente, precisamente di quello di G.P., che avrebbe fruito delle prestazioni dei fratelli.
La stessa prospettazione del motivo, come esattamente rimarcato in controricorso dalla società, non concerne affatto la sottofatturazione operata dalla contribuente, ma l’omessa fatturazione da parte del piastrellista e dell’idraulico.
Circostanze, queste, che, anzi, concorrono a escludere la sottofatturazione della società costruttrice, poiché fornisce una spiegazione del prezzo ridotto rispetto a quello richiesto e ottenuto per gli altri appartamenti.
Il motivo va quindi respinto.
7. – Fondato è, invece, il secondo motivo del ricorso incidentale, col quale l’Agenzia si duole dell’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla contestazione concernente la contabilizzazione di passività inesistenti per lire 84.500.000.
Diversamente dalla formulazione del motivo precedente, difatti, l’Ufficio allega tre fatti storici, debitamente reiterati in appello, consistenti nell’importo della voce debiti del bilancio al 31 dicembre 2000, che comprendeva la posta contestata;
nell’avvenuto acquisto, nell’anno 1999, di un’area fabbricabile sempre da F. e G.S., che hanno dichiarato di aver ricevuto il prezzo concordato di lire 169.000.000 e nella successiva rivendita, nell’anno 2011, di una porzione di quei terreni per il corrispettivo di lire 54.000.000.
Fatti, questi, dei quali non v’è menzione in sentenza e che comunque sono idonei almeno potenzialmente a sorreggere la contestazione svolta dall’Ufficio.
Il che comporta il rigetto dell’eccezione d’inammissibilità sviluppata in controricorso e l’accoglimento del motivo, con assorbimento del terzo motivo di questo ricorso, che pur sempre concerne la medesima ripresa.
8. – In definitiva, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale e del secondo di quello incidentale, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai profili accolti, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione.
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso principale nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze; ne accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, nonché accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione.
Rigetta nel resto il ricorso principale e quello incidentale.
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