CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 ottobre 2019, n. 25677
Licenziamento – Impossibilità di ricollocazione del lavoratore in mansioni equivalenti o anche inferiori – Prova
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 3717/2017, pubblicata il 13 luglio 2017, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, esclusa la fondatezza della domanda di accertamento del diritto al superiore inquadramento e di pagamento delle conseguenti differenze retributive, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a G.C., con lettera 14/5/2010, dal Consorzio N. S.r.l. (in seguito N. S.r.l.) a motivo che le condizioni fisiche del lavoratore non ne consentivano l’ulteriore impiego nelle mansioni svolte e che non vi era possibilità, data la completezza dell’organico, di assegnarlo ad altre equivalenti.
2. La Corte ha ritenuto a sostegno della propria decisione che la società datrice di lavoro non avesse, pur essendone onerata, dato la prova della impossibilità di ricollocazione del lavoratore in mansioni equivalenti o anche inferiori – mansioni queste ultime che peraltro non gli erano state neppure prospettate – essendo stato il C. dichiarato inidoneo alla mansione specifica di fattorino addetto al recapito ma non anche allo svolgimento di altre mansioni compatibili con le sue condizioni di salute, secondo ciò che emergeva dal giudizio di inidoneità in atti.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società N. S.r.l. in liquidazione con tre motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso.
4. Il Fallimento L. S.r.l., già datore di lavoro del C. dal maggio 2007 al maggio 2009, prima dell’assunzione da parte di Consorzio N. S.r.l., è rimasto intimato.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 305, 291 e 435 cod. proc. civ. per avere la Corte autorizzato l’appellante a rinnovare la notifica del ricorso in riassunzione e del relativo decreto di fissazione di udienza, a seguito della dichiarazione di interruzione del processo per fallimento della L. S.r.l., nonostante che la notifica, effettuata presso il difensore del Consorzio N. S.r.l. nel primo grado di giudizio, anziché presso il nuovo procuratore già costituitosi in appello, dovesse ritenersi giuridicamente inesistente, e per avere trascurato di considerare che il ricorso e il decreto non erano stati neppure notificati nel rispetto del termine perentorio di venticinque giorni prima dell’udienza.
2. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 18 I. n. 300/1970, 3 e 5 I. n. 604/1966 e 1175 cod. civ. per avere la Corte di appello ritenuto che la società non avesse dato la prova, con riferimento all’intera struttura consortile operativa al tempo del licenziamento, dell’impossibilità di ricollocazione del lavoratore in mansioni equivalenti o anche inferiori presso una delle sedi del Consorzio, fornendo in proposito una illogica ricostruzione dei fatti e non considerando che, se l’onere della prova in materia di repechage è a carico del datore di lavoro, il lavoratore è comunque tenuto ad indicare possibili impieghi alternativi, in un’ottica di cooperazione secondo lealtà e buona fede.
3. Con il terzo motivo di ricorso viene dedotta ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. la nullità della sentenza o del procedimento per violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.), nonché dedotta la violazione degli artt. 1227, comma secondo, e 1223 cod. civ., per avere la Corte omesso di prendere in esame le eccezioni di aliunde perceptum e percipiendum e le relative istanze istruttorie, sebbene proposte con la memoria difensiva di primo grado e reiterate in sede di appello.
4. Il primo motivo è infondato.
5. La Corte di merito, infatti, autorizzando la rinnovazione della notifica, si è uniformata al principio, secondo il quale “in tema di riassunzione del processo, una volta eseguito tempestivamente il deposito del ricorso in cancelleria, il termine di sei mesi non svolge alcun ruolo nella successiva notifica dell’atto volta a garantire il corretto ripristino del contraddittorio, con la conseguenza che il vizio o la mancanza della notifica impongono al giudice di ordinarne la rinnovazione in applicazione analogica dell’art. 291 cod. proc. civ. entro un termine perentorio, il cui mancato rispetto determina l’estinzione del giudizio in base al combinato disposto degli artt. 291 ultimo comma e 307, 3 0 comma cod. proc. civ.” (Cass. n. 5348/2007).
6. L’ulteriore censura svolta con il motivo in esame è da intendersi assorbita e peraltro la relativa questione (mancato rispetto del termine perentorio di cui all’art. 435, comma 3, cod. proc. civ.) non risulta proposta nel giudizio di secondo grado, così da configurare una questione nuova e come tale inammissibile nella presente sede di legittimità (Cass. n. 907/2018, fra le molte conformi).
7. Il secondo motivo è inammissibile là dove la società ricorrente si duole di una illogica ricostruzione di fatto, in tema di ricollocazione del lavoratore, poiché, dietro lo schermo della denuncia di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, tende, nella sostanza della censura, a sollecitare una rilettura e un diverso apprezzamento del materiale di prova acquisito al giudizio e cioè il compimento di un’attività giurisdizionale estranea alla funzione assegnata alla Corte di legittimità ed invece propria esclusivamente del giudice di merito.
8. Il motivo è comunque infondato là dove pone un obbligo (od onere) di collaborazione a carico del lavoratore, avente ad oggetto l’indicazione di possibili impieghi alternativi in azienda, dovendosi ribadire l’ormai consolidato orientamento, per il quale “in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di repechage del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale, senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili, essendo contraria agli ordinari principi processuali una divaricazione tra i suddetti oneri” (Cass. n. 5592/2016; conformi: Cass. n. 12101/2016; n. 160/2017; n. 24882/2017).
9. Anche il terzo motivo non può trovare accoglimento. 10. Come più volte precisato da questa Corte, “in tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che invochi l’aliunde perceptum da detrarre dal risarcimento dovuto al lavoratore deve allegare circostanze di fatto specifiche e, ai fini dell’assolvimento del relativo onere della prova su di lui incombente, è tenuto a fornire indicazioni puntuali, rivelandosi inammissibili richieste probatorie generiche o con finalità meramente esplorative” (Cass. n. 2499/2017, fra le molte).
11. Nella specie tali oneri non risultano assolti, come emerge dal passo riportato delle memorie difensive in grado di appello del 20/11/2015 e del 30/12/2016 (cfr. ricorso per cassazione, p. 17), da cui emerge un richiamo generico e indistinto a “tutte le eccezioni e deduzioni negli atti di primo grado, nella prima memoria difensiva e nel presente atto anche di prova per testi”, senza chiarimento o precisazione di alcun genere né sul piano dell’allegazione, né su quello del contenuto della prova, con riferimento all’eccezione in oggetto.
12. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo nei confronti del lavoratore controricorrente.
14. Non ricorrono invece i presupposti per la liquidazione delle spese nei confronti del Fallimento L., rimasto intimato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio sostenute dal C., liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 18, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 12 febbraio 2020, n. 3475 - In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo «spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilità di "repechage" del dipendente licenziato, in quanto requisito…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 31451 depositata il 13 novembre 2023 - Spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilità di repêchage del dipendente licenziato, senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti…
- CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 749 depositata il 12 gennaio 2023 - In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova dell'esistenza del giustificato motivo oggettivo, che…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 settembre 2019, n. 23789 - In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il lavoratore ha l'onere di dimostrare il fatto costitutivo dell'esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato così…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 marzo 2021, n. 7360 - In materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilità di repéchage del dipendente licenziato, in quanto requisito di…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 28 gennaio 2020, n. 1889 - In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova dell'esistenza del giustificato motivo oggettivo, che include…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Processo tributario: i dati tratti da server non c
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 7475 deposi…
- Le liberalità diverse dalle donazioni non sono sog
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 7442 depositata…
- Notifica nulla se il messo notificatore o l’
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5818 deposi…
- Le clausole vessatorie sono valide solo se vi è ap
La Corte di Cassazione, sezione II, con l’ordinanza n. 32731 depositata il…
- Il dipendente dimissionario non ha diritto all’ind
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 6782 depositata…