CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 settembre 2020, n. 18955
Indennità sostitutiva del preavviso di recesso – Risoluzione del rapporto per raggiunti limiti di età – CCNL Dirigenti delle Aziende industriali – Violazione di norme del contratto collettivo nazionale – Deduzione va accompagnata dalla trascrizione integrale delle clausole – Rapporto di lavoro privatistico – Escluse risoluzioni automatiche al compimento di determinate età ovvero con il raggiungimento di requisiti pensionistici
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 2329 del 2016, la Corte d’appello di Bari, in accoglimento dell’appello proposto da A.N. ed in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato F.A.L. S.r.l. (d’ora in avanti, per brevità FAL), al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso di recesso, oltre accessori di legge.
2. Il lavoratore, dirigente di FAL, con diritto alla pensione di vecchiaia dal 4.2.2009 (data del compimento del 65° anno di età) aveva ricevuto una prima nota del 26.3.2008, con la quale la Direzione del Personale di FAL comunicava la risoluzione del rapporto alla data del 30.6.2008 ed una successiva comunicazione del 14.1.2009 con la quale la società, in rettifica della prima, anticipava la risoluzione del rapporto alla data del 4.2.2009.
3. La Corte territoriale ha ritenuto sussistente l’obbligo datoriale al preavviso; ha osservato come l’art. 2118 cod. civ. non ponesse, al riguardo, limitazioni di sorta e che neppure l’art. 22 del CCNL Dirigenti delle Aziende industriali escludesse un tale obbligo in caso di risoluzione del rapporto per raggiunti limiti di età; ha osservato come inconferente fosse il richiamo all’art. 6 della legge nr. 54 del 1982 ed ha, infine, richiamato i principi della giurisprudenza di legittimità secondo cui, nell’ambito dei rapporti di lavoro privato, dovessero escludersi risoluzioni automatiche al compimento di certe età ovvero con il raggiungimento di requisiti pensionistici.
4. In merito al quantum, la Corte distrettuale ha osservato come il preavviso fruito fosse pari solo a 18 giorni (dal 14.1.2009 al 4.2.2009) e quindi non corrispondente a quello stabilito dalla contrattazione collettiva (12 mesi), con ogni conseguenza in termini di riconoscimento della relativa indennità per il periodo non accordato.
5. Avverso tale sentenza la s.r.l. FAL ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui ha resistito, con controricorso, il lavoratore.
6. Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’adunanza camerale, nella quale è stato disposto il rinvio a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza. L’A. ha depositato ulteriore memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, sono dedotte – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione dell’art. 6, ult. parte, della legge nr. 54 del 1982, dell’art. 2118 cod. civ., nonché dell’art. 23 CCNL dirigenti di aziende industriali produttrici di beni e servizi.
1.2. La decisione della Corte di appello di Bari è censurata per non aver applicato l’art. 6 della legge cit., essendosi il lavoratore avvalso dell’opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro dopo il conseguimento del diritto alla pensione. Si assume la non applicabilità dell’art. 2118 cod. civ., dovendo nella fattispecie operare la risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento del 65° anno di età e si deduce, infine, l’errata interpretazione dell’art. 23 CCNL.
2. Con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. – è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 437 cod. proc. civ., dell’art. 22, comma 6, CCNL dirigenti di aziende industriali produttrici di beni e servizi nonché dell’art. 2118 cod. civ.
2.1. Il motivo riguarda l’operata interpretazione della norma collettiva, resa conformemente alla tesi del lavoratore, come espressa in sede di appello alla pronuncia di primo grado: la parte ricorrente assume che la Corte non avrebbe potuto prendere in considerazione la proposta esegesi del testo contrattuale perché difforme da quella proposta in sede di difese in primo grado e ne contesta, comunque, la correttezza.
3. Con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360, comma 1, nr. 3 cod. proc. civ. – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 cod. civ., in relazione all’art. 23 CCNL dirigenti di aziende industriali produttrici di beni e servizi.
3.1. Secondo la società FAL, la sentenza non avrebbe correttamente valutato il preavviso di recesso comunicato sin dal 26.3.2008, che (tenuto conto di quello contrattualmente previsto) era stato quasi interamente fruito; con la nuova comunicazione del 14.1.2009, la FAL avrebbe solo anticipato la preavvisata risoluzione, sicché l’indennità di preavviso poteva, al più, riconoscersi per il periodo compreso tra il 4.2.2009 ed il 26.3.2009, data di compimento dei 12 mesi di preavviso o, in via ulteriormente subordinata, fino al 30.6.2009;
4. il primo motivo è, nel complesso, da respingere;
4.1. la censura nella parte in cui imputa alla sentenza di non aver applicato l’art. 6 di cui alla rubrica (che stabilisce la cessazione del rapporto senza obblighi di preavviso per le parti al raggiungimento della massima anzianità contributiva) involge, in realtà, la valutazione di specifiche questioni di fatto (relative appunto alle ragioni della prosecuzione del rapporto) che, attenendo al piano di una diversa ricostruzione della fattispecie concreta, non possono essere esaminate sotto il profilo del vizio di “sussunzione”.
4.2. La violazione di legge presuppone la sua deduzione non solo mediante puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Cass. 15.1.2015 n. 635), laddove non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità cfr. Cass. 640/2019).
4.3. La sentenza impugnata, infatti, non reca un tale accertamento di fatto, avendo considerato la peculiarità della risoluzione dei rapporti di lavoro dirigenziale, e precisa che proprio la società aveva con il suo comportamento confermato che il raggiungimento dei limiti di età, se abilitava il datore di lavoro a procedere al licenziamento “ad nutum”, non esonerava dal preavviso, in coerenza, in ultima analisi, anche con una corretta esegesi dell’art. 22 ccnl.
4.4. Ed invero, la critica che investe, invece, l’operata interpretazione della norma contrattuale è, in radice, inammissibile, risultando la disposizione riportata per sintesi del suo contenuto, mentre, quando sia denunziata, in ricorso, la violazione di norme del contratto collettivo nazionale, la loro deduzione deve essere accompagnata dalla trascrizione integrale delle clausole, al fine di consentire alla Corte di individuare la ricorrenza della violazione denunziata (cfr. Cass. nr. 25728/2013; nr. 2560/2007; nr. 24461/2005).
4.5. Per il resto, è il caso di osservare come la decisione enunci correttamente i principi di questa Corte che, sulla questione dei termini e delle modalità di risoluzione del rapporto in coincidenza con il raggiungimento dell’età per il conseguimento della pensione di vecchiaia e dell’esistenza o meno del diritto del lavoratore ad un periodo di preavviso, nell’ambito del rapporto di lavoro privatistico, (da ultimo, Cass. n. 521 del 2019) ha più volte statuito che la tipicità e tassatività delle cause d’estinzione del rapporto escludono risoluzioni automatiche al compimento di determinate età ovvero con il raggiungimento di requisiti pensionistici, diversamente da quanto accade nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni in tema di collocamento a riposo d’ufficio, al compimento delle età massime previste dai diversi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche stesse (Cass. nr. 14628 del 2010; Cass. nr. 26377 del 2008), sicché, in assenza di un valido atto risolutivo del datore di lavoro, il rapporto prosegue con diritto del lavoratore a percepire le retribuzioni anche successivamente al compimento del sessantacinquesimo anno di età (Cass. n. 9312 del 2014; Cass. n. 3237 del 2003; Cass. n. 3907 del 1999).
4.6. A ciò consegue che, nel campo dei rapporti di lavoro di natura privatistica, per la risoluzione del rapporto per limiti di età anagrafica del lavoratore, al datore di lavoro è imposto comunque l’obbligo di preavviso (Cass. n. 2339 del 2004; Cass. n. 5576 del 2001; Cass. n. 12890 del 2000; Cass. n. 10782 del 2000; Cass. n. 6396 del 1995).
5. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto, in disparte ogni considerazione in punto di non pertinente richiamo dell’art. 437 cod. proc. civ., e di mancanza di ogni preclusione in tema di deduzioni che incidono solo in termini di apprestamento di una linea difensiva, in relazione ai medesimi fatti originariamente allegati, i rilievi, che involgono interamente l’operata interpretazione della norma collettiva, incontrano i medesimi limiti già esposti con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 22 CCNL, oggetto del primo motivo.
6. Il terzo motivo è parzialmente fondato.
6.1. Come riportato nella parte in fatto, si legge in sentenza che il lavoratore, secondo le deduzioni di cui al ricorso introduttivo del giudizio, riceveva il 26.3.2008 una prima nota della Direzione del Personale FAL con cui gli veniva comunicata la risoluzione del rapporto al 30.6.2008; seguiva una successiva nota, del 14.1.2009, con cui la società in rettifica rendeva nota la cessazione dal servizio alla data del 4.2.2009 (data del compimento del 65° anno di età).
6.2. E’ pure accertato in sentenza (oltre ad essere pacifico tra le parti) che il preavviso, nel caso di specie, fosse di 12 mesi;
6.3. Infine, l’importo riconosciuto dalla sentenza impugnata è pari alla differenza tra quanto richiesto dal lavoratore, a titolo di intero preavviso non accordato (€ 86.272,36), e l’importo corrispondente al valore del preavviso fruito, individuato nel lasso di tempo intercorrente tra la comunicazione della risoluzione del rapporto di lavoro del 14.1.2009 e l’effettiva risoluzione (4.2.2009).
6.4. Come sostenuto dalla parte qui ricorrente, non può ritenersi che la seconda comunicazione abbia avuto effetti estintivi della prima, in quanto finalizzata solo alla anticipazione del termine, originariamente fissato, di cessazione del rapporto, ferma la manifestata volontà risolutiva, con salvezza degli effetti del primo atto negoziale (id est: il preavviso maturato dal 26.3.2008 al 4.2.2009) ; tuttavia, il termine applicabile nella fattispecie (12 mesi dal 26.3.2008) non risulterebbe interamente rispettato, con la conseguenza che andrebbe riconosciuta l’indennità in misura corrispondente al periodo non goduto, pari ad un mese e ventidue giorni (4.2.2009 – 26.3.2009).
6.5. Tale soluzione è coerente con quanto previsto dall’art. 1231 c.c. che esclude la novazione (e quindi in generale un fenomeno estintivo) in presenza di modifiche che riguardano l’apposizione e/o l’eliminazione di un termine.
6.6. In accoglimento del terzo motivo, la sentenza va, quindi, cassata per aver ritenuto inefficace il precedente preavviso e la causa va rimessa alla Corte designata come in dispositivo, per la quantificazione dell’indennità dovuta in applicazione dei principi affermati; il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo, rigettati gli altri, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.