CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 agosto 2021, n. 22759
Cartelle di pagamento – Ricorso – Rappresentanza e difesa dell’Agenzia Entrate-Riscossione – Condizioni
Fatti di causa
D.F.S.M. proponeva ricorso avverso 21 cartelle di pagamento (poi in sede di conclusioni rivolta al ruolo esattoriale di 19 cartelle di pagamento) e la CTP di Napoli con sentenza n. 7320/11/17 emessa dalla Sezione 11 lo dichiarava inammissibile. Secondo i primi giudici, era stata fornita valida prova della notifica delle cartelle gravate, ad eccezione della cartella 07120 140438218415000 ritenuta “di competenza dell’Autorità Giudiziaria ordinaria” e per la quale fissava termine per la riassunzione del giudizio.
La D.F. proponeva impugnazione lamentando l’erroneità della decisione limitatamente alle 18 residue cartelle. La CTR Campania respingeva l’appello. Quanto al motivo di gravame relativo alla pretesa nullità relativa alla costituzione in giudizio dell’Agente per la Riscossione, i giudici d’appello ritenevano che sussistesse legittimazione processuale (anche) del singolo ufficio finanziario, ovvero dell’Agente della riscossione, nei cui confronti era stato proposto il ricorso che, pertanto, poteva stare autonomamente in giudizio anche in assenza di una specifica investitura statutaria o di investitura statutaria dell’organo cui, in via ordinaria, spettava la legale rappresentanza dell’Ente. Quanto all’intervenuta notifica delle cartelle, la CTR riteneva che, dal combinato disposto dell’art. 32 e 58 d.lgs n. 546/1992, la documentazione depositata dall’ufficio fosse pienamente utilizzabile.
Infine, le copie fotografiche o fotostatiche avevano la stessa efficacia di quelle autentiche, se loro conformità era attestata dal pubblico ufficiale competente e non era disconosciuta d a controparte. Né vi erano state specifiche contestazioni, che inducevano a dubitare della provenienza o della conformità delle copie agli originali.
Proponeva impugnazione D.F.S.M..
Fissato all’udienza pubblica del 4 giugno 2021, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge n. 137 del 2020, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento in presenza del Procuratore Generale, che ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
Con il ricorso D.F.S.M. deduceva:
1) Violazione art. 360 c.p.c., co.l, n. 3, per carenza di legitimatio ad processum, violazione ex art. 11 d.lgs 546/92, art. 9 co. 1 d.lgs 156/2015 e del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c..
Secondo il ricorrente la CTR aveva errato nel l’affronta re questa assorbente questione di inammissibilità della costituzione in giudizio dell’ Agenzia delle Entrate – Riscossione – in quanto avvenuta per mezzo di un avvocato esterno investito di procura speciale. Ciò era in contrasto con l’art. 11 D.Lgs 546/92, cosi come riformato dall’art. 9, co. 1 D.Lgs 156/2015. Per effetto di tale carenza di legittimazione processuale, gli atti posti in essere dalla parte resistente sia, in primo che in secondo grado, non potevano essere validamente considerati e di conseguenza non risultava fornita la prova processuale della rituale notifica delle cartelle di pagamento impugnate.
2) Violazione art. 360 c.p.c. co. 1, n. 3 per irregolarità della documentazione depositata – violazione ex art. 32 d.lgs 546/1992.
L’ Agenzia delle Entrate – Riscossione, non costituendosi nel grado di appello aveva omesso di regolarizzare la documentazione prodotta tardivamente in I Grado, non effettuando pertanto nessun deposito documentale, comunque ammesso ai sensi dell’art. 58 D. Igs 546/92. In virtù di tale comportamento processuale si era verificata la violazione del termine perentorio, di cui all’art.32, co.l. Pertanto, tutti gli allegati prodotti non avrebbero potuto avere alcun ingresso in giudizio.
3) Violazione art. 360, co.l, n. 3, nella nuova formulazione introdotta dall’art. 54, co. I, lett. b) d.l. n. 83/12, per illegittima omissione di un fatto controverso relativamente allo specifico disconoscimento delle fotocopie ed al conseguente violazione del principio di non contestazione.
Il ricorrente evidenziava di aver specificamente disconosciuto, sia nel ricorso introduttivo, che nel verbale dell’udienza di trattazione in Commissione Tributaria Provinciale, nel successivo atto di appello e nella conseguente udienza di trattazione in Commissione Tributaria Regionale, la documentazione prodotta, contestando le fotocopie.
L’intimato si costituiva con controricorso. Il P.G. rassegnava conclusioni scritte.
Ragioni della decisione
Il primo motivo non è fondato. La giurisprudenza di questa Corte (sul punto Cass. S.C. n. 30008/2019) ha avuto modo di chiarire che, per la rappresentanza e la difesa in giudizio l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, impregiudicata la generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, si avvale: ” a) dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come riservati ad essa dalla Convenzione intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi dell’art. 43, comma 4, r.d. n. 1611 del 1933, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici; b) di avvocati del libero foro, senza bisogno di formalità, né della delibera prevista dall’art. 43, comma 4, r.d. cit. – nel rispetto degli articoli 4 e 17 del d.lgs. n. 50 del 2016 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi dell’art. 1, comma 5 del d.l. 193 del 2016, conv. in l. n. 225 del 2016 – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio. Quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura dello Stato o di indisponibilità di questa ad assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente ed implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità”.
Fatte queste premesse, il Protocollo di intesa tra Avvocatura dello Stato e Agenzia di Riscossione n. 36437 del 5 luglio 2017, prevede espressamente, con riferimento al Contenzioso afferente l’attività di riscossione che (punto 3.4.1) “l’Avvocatura assume il patrocinio dell’Ente nei seguenti casi: – azioni risarcitone (con esclusione di quelle radicate innanzi al Giudice di Pace anche in fase di appello); – azioni revocatorie, di simulazione e ogni altra azione ordinaria a tutela dei crediti affidati in riscossione; – altre liti innanzi al Tribunale Civile e alla Corte di Appello Civile, nelle ipotesi in cui sia parte anche un ente difeso dall’Avvocatura dello Stato; – liti innanzi alla Corte di Cassazione Civile e Tributaria.”.
Prevede, inoltre, (punto n.3.4.2) che L’Ente sta in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti o di avvocati del libero foro, iscritti nel proprio Elenco avvocati, nelle controversie relative a: liti innanzi al Giudice di Pace (compresa la fase di appello); liti innanzi alle Sezioni Lavoro di Tribunale e Corte d’Appello; liti innanzi alle Commissioni Tributarie.
Pertanto, trattandosi di legittimazione per lite innanzi a Commissione Tributaria, non vi è difetto di legittimazione dell’Agenzia delle Entrate Riscossione.
Riguardo al secondo motivo di ricorso che censura la sentenza d’appello laddove ha omesso di rilevare la tardività della produzione documentale effettuata dall’Agente della Riscossione , in quanto avvenuto meno di venti giorni prima dell’udienza di trattazione dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale e non reiterata in appello in ragione della contumacia dell’odierna resistente, si rileva che questa Corte ha stabilito che «in tema di contenzioso tributario, il giudice d’appello può fondare la propria decisione sui documenti tardivamente prodotti in primo grado, purché acquisiti al fascicolo processuale in quanto tempestivamente e ritualmente prodotti in sede di gravame entro il termine perentorio di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 32, comma 1, di venti giorni liberi prima dell’udienza, applicabile in secondo grado stante il richiamo, operato dall’art. 61 del citato decreto, alle norme relative al giudizio di primo grado» (Cass. Civ. n. 24906/2018).
Pertanto, se la documentazione è stata acquisita, ancorché tardivamente, al fascicolo di primo grado, questa, (una volta trasmesso il fascicolo alla Commissione Tributaria Regionale), può essere posto a fondamento della decisione assunta in sede di gravame. Infatti, una volta ammessa (‘utilizzabilità in appello dei documenti depositati in primo grado oltre il termine ex art. 32, comma primo, d.lgs. n. 546/1992, non avrebbe senso escludere che la Commissione Tributaria Regionale possa decidere sulla scorta di essi, solo perché la parte è rimasta contumace in sede di gravame.
Va, anche, ribadito che, nel processo tributario, che in tal senso si distingue dal processo civile ordinario di cognizione, i fascicoli di parte sono inseriti in modo definitivo nel fascicolo di ufficio, ai sensi dell’art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, sino alla sentenza passata in giudicato e, quindi, le parti non hanno facoltà, come nel giudizio civile, di ritirare i rispettivi fascicoli di parte in sede di precisazione delle conclusioni, ai sensi degli artt. 168 e 169 cod. proc. civ. Poiché, dunque, nel processo tributario i fascicoli di parte restano inseriti, in modo definitivo, nel fascicolo d’ufficio sino al passaggio in giudicato della sentenza, la documentazione ivi prodotta è acquisita automaticamente e “ritualmente” nel giudizio di impugnazione (Cass. n. 5429/2018).
Pertanto la documentazione depositata tardivamente dall’Agenzia nel giudizio di primo grado, proprio in ragione di quanto previsto dall’art. 25 del d.lgs. n. 546 del 1992, deve ormai considerarsi entrata automaticamente nel procedimento di appello e ben poteva essere utilizzata dai giudici di appello ai fini della decisione. Pertanto, il motivo deve ritenersi non fondato.
Con il terzo motivo del ricorso, la ricorrente lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’omesso esame di fatto decisivo relativamente al disconoscimento delle fotocopie prodotte in giudizio dalla Agenzia, asseritamente effettuato nel ricorso introduttivo e in udienza di trattazione innanzi alla CTP e nel successivo atto di appello. In particolare, afferma di avere contestato le fotocopie ex adverso prodotte, vedendosi negare il legittimo diritto a prendere visione degli originali o, quantomeno, di copie conformi, cosa alla quale lo stesso agente di riscossione si era sempre sottratto.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto la parte non trascrive nè la parte di ricorso introduttivo in cui avrebbe operato questo disconoscimento, nè il motivo di appello in cui avrebbe lo reiterato: a fronte di ciò l’Agenzia trascrive quella parte di ricorso introduttivo ove si evince che il contribuente ha chiesto una esibizione ex art. 210 c.p.c. delle cartelle esattoriali.
La parte deduce che la questione è stata oggetto di appello, ma qualora si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, il ricorso è inammissibile se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, in modo da consentire la verifica che le questioni sottoposte non siano nuove e di valutare la fondatezza dei motivi senza dover procedere alesarne dei fascicoli d’ufficio o di parte.
Conclusivamente tutti i motivi vanno rigettati. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3.000,00, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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