CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 aprile 2018, n. 9121
Per abbandono del posto di lavoro è inteso il definitivo allontanamento (esempio: il dipendente che esce prima dell’orario di chiusura o che entra e, dopo aver timbrato il cartellino, si reca altrove per non più tornare in azienda)
L’allontanamento dal posto di lavoro è caratterizzato dalla temporaneità (il dipendente che si assenta per qualche minuto per andare al bar o che si reca in banca a prelevare una pensione per poi tornare in azienda)
Per il licenziamento del dipendente per allontanamento dal posto di lavoro devono realizzarsi le seguenti condizioni:
- oggettivo inteso come «totale distacco dal bene da proteggere»
- soggettivo, da intendersi quale «coscienza e volontà» dell’abbandono, «indipendentemente dalle finalità perseguite».
Per il licenziamento per abbandono del posto di lavoro occorre che da esso si concretizzi un pregiudizio all’incolumità delle persone o alla sicurezza dei beni (Cass. sent. n. 9840/2002 e Cass. sent. n. 23409/2017; n. 23378/2014; n. 18811/2012)
Licenziamento – Guardia giurata – Piantonamento antirapina – Mancato utilizzo del giubbotto antiproiettile – Abbandono del posto di lavoro senza giustificazioni
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 394/2015, depositata il 23 luglio 2015, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato a V.P. da S. S.p.A., con lettera del 22/11/2010, per non avere il dipendente – comandato in servizio di piantonamento antirapina, in data 9/10/2010, presso un’agenzia bancaria – indossato il giubbotto antiproiettile, come già in analoghe cinque occasioni precedenti, e per avere abbandonato il posto senza giustificazioni.
2. La Corte riteneva accertato il mancato utilizzo del giubbotto e peraltro sproporzionata la misura del licenziamento, sul rilievo che – come emerso dall’istruttoria – il lavoratore si era recato al bar di fronte, l’abbandono del posto realizzandosi, ad avviso della Corte, solo allorquando, per modalità e tempi, l’agente si allontani in modo da favorire eventuali intrusioni non controllate.
3. La Corte osservava poi come dovessero ritenersi dimostrate le altre mancanze contestate alla luce dei riscontri forniti dalle dichiarazioni testimoniali assunte nei due gradi di merito e della genericità dei rilievi mossi al riguardo dal lavoratore, con conseguente conferma delle relative statuizioni della sentenza di primo grado.
4. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza S. S.p.A. con quattro motivi, cui ha resistito il P. con controricorso, con il quale ha proposto ricorso incidentale affidato a due motivi.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, deducendo il vizio di cui all’art. 360 n. 3, la ricorrente si duole che la Corte di appello non abbia fatto corretta applicazione del primo comma dell’art. 2697 cod. civ. nonché del primo comma dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione alla dichiarata inattendibilità del teste I..
2. Con il secondo motivo, deducendo ancora il vizio di cui all’art. 360 n. 3, la ricorrente lamenta che la Corte sia incorsa nella violazione o comunque falsa applicazione dell’art. 2697, comma 1°, cod. civ. per avere tratto argomenti di prova dal materiale fotografico, acquisito al giudizio mediante l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio, in difetto, peraltro, della dimostrazione, che sarebbe stato onere del lavoratore fornire, della corrispondenza dello stato dei luoghi rappresentato con quello esistente al tempo del fatto oggetto di contestazione e della circostanza che dal bar fosse visibile l’ingresso della banca.
3. Con il terzo motivo, deducendo il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., nonché violazione o comunque falsa applicazione dell’art. 140 CCNL Vigilanza Privata, la società censura la sentenza di secondo grado per avere omesso l’esame di fatti decisivi ai fini della configurabilità dell’abbandono del posto di lavoro e per avere mancato di tenere conto che la condotta del P. era stata caratterizzata dalla coscienza e volontà di allontanarsi dalla postazione di servizio con la precisa intenzione di violare le direttive più volte ricevute in ordine alle modalità di svolgimento del piantonamento fisso antirapina.
4. Con il quarto motivo, deducendo violazione o falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 cod. civ., la ricorrente si duole che la Corte di appello, pur avendo accertato che, in data 9/10/2010, e cioè in occasione dell’episodio che aveva dato luogo al licenziamento, il lavoratore non indossasse il giubbotto antiproiettile e pur avendo ritenuto, come già il primo giudice, la fondatezza di cinque (su otto) precedenti disciplinari, relativi anche al mancato utilizzo del giubbotto, non sia poi giunta a dichiarare la legittimità del licenziamento disciplinare, trattandosi di fatti che, per la loro portata oggettiva e soggettiva, avrebbero determinato di per sé una valutazione di proporzionalità della misura inflitta.
5. Con il primo motivo del proprio ricorso incidentale il lavoratore censura la sentenza impugnata per avere, in violazione o con falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione al comma primo dell’art. 115 cod. proc. civ. e all’art. 5 I. n. 604/1966, ritenuto legittime cinque precedenti sanzioni disciplinari, malgrado la società non avesse fornito al riguardo, e come necessario, una prova precisa e rigorosa.
6. Con il secondo motivo, e con riferimento allo stesso capo di sentenza, il lavoratore si duole, deducendo violazione o falsa applicazione dell’art. 2106 cod. civ., che la Corte non abbia valutato, al fine di ritenere illegittime le sanzioni, il difetto di proporzionalità di esse in rapporto ai fatti contestati.
7. Quanto al ricorso principale, si osserva ciò che segue.
8. La Corte di appello ha ritenuto che l’abbandono del posto di lavoro da parte della guardia particolare giurata, tenuto conto della peculiarità del servizio di piantonamento, deve intendersi “realizzata solo quando, per modalità e tempi, l’agente si allontani favorendo eventuali intrusioni non controllate” (cfr. sentenza, p. 2, terzo capoverso).
9. In tal modo il giudice di appello non si è conformato al principio di diritto, secondo il quale “la fattispecie dell’abbandono del posto di lavoro, di cui all’art. 140 del CCNL Istituti di vigilanza privata del 2 maggio 2006, presenta una duplice connotazione, oggettiva, per cui, dovendosi identificare l’abbandono nel totale distacco dal bene da proteggere, rileva l’intensità dell’inadempimento agli obblighi di sorveglianza, e soggettiva, consistente nella coscienza e volontà della condotta di abbandono indipendentemente dalle finalità perseguite e salva la configurabilità di cause scriminanti, restando irrilevante il motivo dell’allontanamento” (Cass. n. 15441/2016).
10. Ne consegue che è fondato, e deve essere accolto, il terzo motivo del ricorso della società, nella parte in cui denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 140 CCNL di settore, ove è prevista, fra le ipotesi di licenziamento per giusta causa, la fattispecie di “abbandono del posto di lavoro”.
11. Risulta parimenti fondato il quarto motivo del ricorso principale.
12. Ed invero il giudice di appello, mentre ha accertato che nel corso del servizio il lavoratore non indossava il giubbotto antiproiettile e mentre ha confermato la statuizione di primo grado in ordine alla legittimità di cinque (su otto) precedenti sanzioni disciplinari richiamate nella lettera di contestazione (con la precisazione che tali sanzioni erano state irrogate “prevalentemente” a causa del “mancato uso del giubbotto”), non si è attenuto al consolidato orientamento di legittimità, per il quale “in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza”; con la conseguenza che “spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo” (cfr., fra le molte, Cass. n. 2013/2012).
13. Il primo e il secondo motivo del ricorso principale restano assorbiti.
14. Il ricorso incidentale non può trovare accoglimento.
15. In primo luogo, si rileva che il ricorrente non si è confrontato con quella parte della sentenza impugnata in cui la Corte ha ritenuto che “sulle sanzioni disciplinari” l’appellante avesse dedotto “motivi del tutto generici” (cfr. sentenza, p. 2, 4° capoverso), non avendo formulato alcuna censura sul punto.
16. E’ poi da considerare che tanto il primo, come il secondo motivo del ricorso in esame, tendono, nella sostanza delle rispettive censure, ad una rilettura e nuova valutazione del materiale di prova, difforme da quella della sentenza impugnata, là dove il giudice di appello ha ritenuto dimostrati i fatti posti a fondamento delle precedenti sanzioni sulla base delle dichiarazioni testimoniali assunte nel primo e nel secondo grado di giudizio: e cioè sollecitano un accertamento di fatto che è palesemente estraneo ai compiti assegnati dall’ordinamento alla Corte di legittimità ed è, invece, prerogativa esclusiva del giudice di merito.
17. Consegue da quanto sopra che l’impugnata sentenza della Corte di appello di Firenze n. 394/2015, in accoglimento del terzo e del quarto motivo del ricorso principale, deve essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla stessa Corte in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame della fattispecie, si atterrà ai principi di diritto sopra richiamati sub 9 e 12.
P.Q.M.
Accoglie il terzo e il quarto motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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