CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 dicembre 2018, n. 32082
Accertamento – Istanza di rimborso delle maggiori imposte – Fondo Integrativo – Trattamento più favorevole – Contenzioso tributario
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate, con tre motivi, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 1102/25/2016, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia il 21.03.2016.
Ha riferito che G.G. aveva inoltrato istanza di rimborso delle maggiori imposte che il contribuente assumeva fossero state indebitamente trattenute dall’Inps sulla pensione integrativa erogata negli anni dal 2007 al 2011 dal Fondo Integrativo per il personale ex Enpas, di cui alla l. n. 70 del 1975, a fronte del trattamento più favorevole spettantegli per effetto dell’art. 11, co. 6, del d.lgs. n. 252 del 2005. Al silenzio rifiuto della Amministrazione era seguito il contenzioso, esitato dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo con l’accoglimento della domanda e la condanna della Agenzia al rimborso di € 36.635,63. La sentenza del giudice regionale, adito dalla Amministrazione, aveva rigettato l’appello.
La ricorrente censura la pronuncia:
con il primo motivo per violazione o falsa applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per aver dichiarato inammissibile l’eccezione di parziale decadenza dal diritto al rimborso ex art. 38 cit., sollevata per la prima volta in appello dalla Amministrazione;
con il secondo motivo per violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., perché erroneamente il giudice regionale ha ritenuto provato il diritto al rimborso sulla circostanza che l’Amministrazione non avesse contestato i conteggi ed i documenti allegati dal contribuente in primo grado;
con il terzo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 53, co. 1, del d.P.R. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 11 del d.lgs. n. 252 dl 2005, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per avere la sentenza erroneamente riconosciuto l’applicabilità al contribuente dell’art. 11, co. 6, del d.lgs. n. 252 del 2005.
In conclusione ha chiesto la cassazione della sentenza.
Si è costituito il contribuente, che con riferimento ai primi due motivi di ricorso ha chiesto la declaratoria di inammissibilità perché censurati per violazione di norma di diritto sostanziale e non, come correttamente doveva, di norma processuale, e nel merito per l’infondatezza dei motivi medesimi. Ha poi sostenuto l’infondatezza del terzo motivo e la carenza di legittimazione passiva dell’INPS, cui il ricorso era stato anche notificato.
All’udienza pubblica del 13 aprile 2018, dopo la discussione, il P.G. e le parti hanno concluso. Ha partecipato alla discussione anche l’INPS, invocando la propria carenza di legittimazione passiva. La causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
Preliminarmente va riconosciuta la carenza di legittimazione passiva dell’INPS, trattandosi di controversia che ha ad oggetto esclusivamente il rapporto fiscale tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria, laddove l’INPS, gestione ex INPDAP, si era limitato alle trattenute fiscali quale sostituto d’imposta, senza con questo costituire parte di un contenzioso relativo all’entità del debito fiscale.
Nel merito il primo motivo è inammissibile.
La ricorrente lamenta che il giudice d’appello abbia ritenuto inammissibile l’eccezione di decadenza (parziale) dalla richiesta di rimborso ex art. 38 cit., perché sollevata per la prima volta in sede d’appello. Sostiene invece che trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti essa fosse rilevabile anche in grado di appello. Il motivo è inammissibile perché la questione è stata denunciata sotto il profilo della violazione di norma di diritto laddove essa andava sussunta nella violazione di norme processuali.
Il secondo ed il terzo motivo possono invece essere trattati unitariamente perché entrambi finalizzati a censurare la sentenza sul piano delle argomentazioni giuridiche portate a sostegno della decisione, e in particolare perché il giudice d’appello avrebbe ritenuto per un verso non contestati i conteggi e la documentazione allegata dal contribuente, così da reputare validi, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., i presupposti su cui il contribuente avrebbe fondato le sue ragioni; per altro verso ha sostenuto che l’appello della Amministrazione si sarebbe limitato a riproporre le medesime ragioni addotte in primo grado, senza tuttavia alcuna specifica critica alla motivazione della pronuncia appellata, così violando i principi di cui all’art. 342 c.p.c.
Del secondo motivo la difesa del contribuente eccepisce l’inammissibilità perché l’Amministrazione ha invocato l’error in iudicando e non quello in procedendo.
L’eccezione, così come formulata, non è corretta, perché è reiterato il principio secondo cui l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, né la loro valenza probatoria la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è riservata al giudice (Cass., sent. n. 12748 del 2016; ord. n. 6606 del 2016), sicché non può ritenersi che essa vada sussunta nel vizio di norma processuale.
E tuttavia le due critiche mosse alla sentenza sono parimenti inammissibili.
Con esse infatti l’Amministrazione ha lamentato che dalla mancata contestazione dei conteggi proposti dal contribuente il giudice d’appello ha desunto la prova della correttezza degli stessi e dei presupposti giuridici su cui le istanze del contribuente si fondavano. Ma con ciò l’Amministrazione ha mosso una critica alla valutazione delle prove, che andava correttamente sussunta nel vizio motivazionale. E a tal fine si è affermato che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c. opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass., sent.. n. 23940 del 2017).
Parimenti, la seconda critica, con la quale l’Agenzia, sotto il profilo della violazione di diritto, si duole che il giudice d’appello abbia confermato la sentenza di primo grado per non aver sviluppato adeguatamente le censure mosse alle statuizioni della pronuncia della commissione provinciale, in violazione dell’art. 53, co. 1, del d.P.R. n. 546 del 1992, non coglie nel segno. La sentenza, dopo aver ritenuto che il motivo di impugnazione non destinerebbe critiche specifiche alla sentenza di primo grado, afferma che <<nella odierna fattispecie l’assunto dell’appellante si traduce in una mera affermazione contraria al predetto ed incontestato dato di fatto, ossia che la controversia concerne la tassazione del trattamento pensionistico erogato dal “Fondo di previdenza per il personale dell’Inps” ed al connesso principio di diritto di cui alla richiamata sentenza della Cassazione, n. 26181/2011, laddove si afferma che ….>>.
La critica mossa dalla Agenzia era diretta al percorso argomentativo della sentenza del giudice regionale, nel quale il riferimento a precedenti giurisprudenziali costituiva solo la cornice del predetto percorso logico. Tant’è che nella pronuncia non vi sono riferimenti specifici alla disciplina normativa, avendo già dedotto quel giudice che dalla mancata contestazione dei conteggi allegati dal contribuente poteva desumersi la prova che le modalità di calcolo della tassazione avanzati dal G. fossero corrette.
Ne discende che anche sotto questo aspetto il vizio denunciabile era sempre e solo il vizio di motivazione.
In conclusione il ricorso va rigettato.
La peculiarità delle questioni rende corretta la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara il difetto di legittimazione passiva dell’INPS; dichiara il ricorso inammissibile; compensa le spese del giudizio.
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