CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 febbraio 2019, n. 4076
Licenziamento – Criteri di scelta – L. n. 223/1991 – Vizi formali della comunicazione – Tutela indennitaria
Fatti di causa
1.1. Con ricorso ex art. 1, co. 47, l. n. 92/2014 al Tribunale di Verona Nicola Compri, dipendente con contratto a tempo indeterminato dal 6/1/2009 della G. s.r.l., inquadrato nel 4° livello – area C C2 del c.c.n.I. turismo, impugnava il licenziamento intimatogli dalla società in data 7/5/2013, ai sensi della l. n. 223/1991, per violazione dei criteri di scelta di cui all’art. 5 della medesima legge ed in via subordinata per violazione delle regole formali relative alle comunicazioni di cui alla procedura di licenziamento collettivo.
1.2. Il Tribunale, all’esito della fase sommaria, in parziale accoglimento del ricorso, dichiarava risolto il rapporto lavorativo intercorso con la G. s.r.l. e condannava la società al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Riteneva, in particolare, fondata la censura relativa ai vizi formali della comunicazione ex art. 4, co. 9, della I. 223/1991 considerando quest’ultima priva di una puntuale indicazione dei criteri di scelta previsti dalla legge e non idonea a rendere noti i motivi per cui la scelta doveva ricadere su taluni dipendenti e non su altri, oltre che priva di indicazioni sui criteri di natura tecnica, produttiva e organizzativa applicati e sfornita di una comparazione tra i dipendenti addetti all’area per la quale si era ravvisata l’eccedenza.
Dichiarava, quindi, inefficace tale comunicazione ed applicava la tutela indennitaria di cui all’art. 18, co. 5, l. n. 300/1970.
1.3. La pronuncia era confermata in sede di opposizione: evidenziava il Tribunale che al vizio formale non doveva necessariamente corrisponderne uno sostanziale per violazione effettiva dei criteri di scelta e che, nella specie, l’opponente non aveva dimostrato anche tale seconda violazione.
1.4. Il reclamo proposto dal Compri era respinto dalla Corte d’appello di Venezia.
La Corte territoriale respingeva, in particolare, il rilievo del reclamante secondo il quale l’inefficacia della comunicazione ex art. 4, co. 9, della l. n. 223/1991, avrebbe dovuto integrare una violazione dei criteri di scelta e non una mera violazione delle procedure, con la conseguente applicazione della più forte tutela di cui all’art. 18, co. 4, della l. n. 223/1991 e quindi della reintegrazione nel posto di lavoro.
Ritenevano, invece, i giudici del gravame meramente assiomatico affermare che la mancanza di esplicazione dei criteri di scelta si sarebbe per ciò solo riverberata, sul piano sostanziale, nella loro violazione.
Evidenziavano, poi, che una violazione di carattere formale non impediva il raggiungimento dello scopo dell’atto, cioè quello di mettere il lavoratore in condizione di sapere le ragioni per cui altri erano stati a lui preferiti nella scelta del personale da mantenere in servizio.
Sottolineavano, infine, che nessuna critica era stata sollevata avverso l’ordinanza sommaria che aveva ritenuto non contestato il dato circa la maggiore anzianità del dipendente C., escluso dalla lista degli esuberi, rispetto al Compri (che era anche celibe e senza figli).
2. Per la cassazione della sentenza ricorre Nicola Compri con un articolato motivo.
3. La G. s.r.l. resiste con controricorso.
4. La causa è stata rimessa all’udienza pubblica a seguito di ordinanza interlocutoria della Sesta Sezione civile adottata all’udienza camerale del 7.3.2018.
5. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1.1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia falsa applicazione dell’art. 4, co. 9, e dell’art. 5, co. 3, l. n. 223/1991 come modificato (il primo) e sostituito (il secondo) dall’art. 1, co. 44 e 46, della l. n. 92/2012 e conseguente falsa e/o omessa applicazione dell’art. 18, co. 4, della l. n. 300/1970 (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.). Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che la sola mancata esplicitazione dei criteri di scelta nella comunicazione finale della procedura di mobilità ex art. 4, co. 9, l. n. 223/1991 non implicherebbe necessariamente la loro violazione, essendo comunque consentito anche in sede giudiziale il positivo riscontro in ordine all’esistenza e alla corretta applicazione dei criteri.
1.2. Il motivo è infondato.
Tra gli ultimi approdi della giurisprudenza della S.C. in materia di licenziamento collettivo, nel regime di cui alla l. n. 92/2012 che ne ha raccordato la disciplina alla nuova articolazione delle tutele offerte dall’art. 18 St. lav. e riscritto il regime sanzionatolo applicabile anche in subiecta materia, vi è quello secondo cui l’omessa indicazione dei criteri di scelta o l’omessa indicazione delle modalità applicative dei criteri di scelta integrano violazioni procedurali che comportano la sola tutela indennitaria, non configurando (anche) violazione dei criteri di scelta (v. Cass. 13 giugno 2016, n. 12095; Cass. 2 febbraio 2018, n. 2587; Cass. 17 luglio 2018, n. 19010).
Infatti, va operata una netta distinzione tra “vizio formale” del procedimento e “Vizio sostanziale” consistente nella violazione dei criteri di scelta al fine di individuare le tutele previste dall’art. 5, co.
3, della legge n. 223/1991, secondo cui nel caso di violazione “meramente procedurale” (e così in particolare in caso di omessa o non puntuale comunicazione dei criteri e delle modalità applicative) si applica la tutela indennitaria stabilita dall’art. 18, co. 5, St. lav., essendo invece applicabile la tutela reale solo nel caso di violazione dei criteri di scelta applicati (che si verifica non già nell’ipotesi di incompletezza della comunicazione di cui all’art. 4, co. 9, bensì allorquando i criteri di scelta siano contra legem o, pur legittimi, siano stati però malamente adottati).
Anche il legislatore del 1991 aveva distinto i vizi attinenti alla procedura di messa in mobilità, che ne determinavano l’inefficacia, dalla violazione dei criteri di scelta, che ne determinavano l’annullabilità, pur avendo stabilito in entrambi i casi l’applicazione della tutela reale, quale unitariamente concepita dall’art. 18 St. lav. allora vigente.
Ai sensi dell’art. 5, co. 3, legge n. 223 del 1991, come sostituito dall’art. 1, co. 46, l. n. 92/2012, la violazione delle procedure (in coerenza con l’espressa previsione di una possibilità di sanatoria di tali vizi «ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo») viene ora sanzionata con l’obbligo del pagamento della indennità risarcitoria onnicomprensiva da un minimo di 12 ad un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione, così come prevista dal quinto comma del nuovo art. 18 (sanzione, dunque, equiparata a quella che colpisce il licenziamento individuale privo di giusta causa o di giustificato motivo, senza che, evidentemente, si ponga alcun problema di legittimità costituzionale trattandosi di scelta discrezionale del legislatore, non essendo costituzionalmente obbligata la tutela reale). Solo per la violazione della forma scritta rimane, come per il licenziamento individuale, la previsione dell’applicazione della tutela reintegratoria piena, quale regolata dal primo comma del nuovo testo dell’art. 18 St. lav. (giusta il rinvio ad esso operato dall’art. 5, co. 3, l. n. 223/1991, come novellato dall’art. 1, co. 46, l. n. 92/2012).
Resta invece ferma – nell’impianto della l. n. 92/2012 – la tutela reintegratoria (seppure nella versione depotenziata regolata dall’art. 18, co. 4, e prevista per l’ipotesi di ingiustificatezza qualificata del licenziamento individuale) per il caso di violazione dei criteri di scelta dei lavoratori licenziati ex art. 5 della legge n. 223/1991.
Il licenziamento intimato in violazione dei criteri (contrattuali o legali) di scelta, ancorché all’esito di una procedura svoltasi nel pieno rispetto degli obblighi di cui all’art. 4 della legge n. 223/1991, si risolve pur sempre in un atto di recesso individuale ingiustificato.
È invero possibile che tra la violazione formale e quella sostanziale vi sia anche una situazione intermedia ridondante nella violazione di un diritto di difesa (assolvendo, come è noto, la comunicazione ex art. 4, co. 9, l. n. 223/1991 sia alla funzione di porre le associazioni sindacali in condizione di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare sia a quella di assicurare ad ogni singolo lavoratore la previa individuazione di tali criteri ai fini della verificabilità dell’esercizio del potere del datore di lavoro), ma non è ciò che è accaduto nel caso in esame.
Nella specie, infatti, non è stato giammai dedotto dal ricorrente un pregiudizio per l’esercizio delle proprie ragioni in sede di verifica dei criteri di scelta applicati dal datore di lavoro ed anzi un accertamento in concreto del rispetto di tali criteri (pur a fronte di una comunicazione ex art. 4, co. 9, difettosa o non puntuale) vi è stato già nella prima fase del giudizio e non ha formato oggetto di reclamo.
3. Il ricorso va, quindi, rigettato.
4. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
5. Va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, co. 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
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