CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 febbraio 2019, n. 4079

Rispetto limiti di orario – Indennità speciale per il personale escluso – Correlati contributi previdenziali e assicurativi – Natura del contratto di lavoro concluso tra le parti

Fatti di causa

La Corte di Appello di Bologna, con sentenza nr. 98 del 2016, pronunciando sul gravame di M. R., in parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale di Reggio Emilia (nr. 614 del 2012), condannava la società R. C. S.c.a r.l. al pagamento di euro 42.483,75 a titolo di indennità speciale per il personale escluso dal rispetto dei limiti di orario, oltre accessori e correlati contributi previdenziali ed assicurativi; inoltre, dichiarava l’illegittimità del recesso dal contratto di lavoro a tempo determinato e, per l’effetto, condannava, altresì, la predetta società al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni percipiende nel periodo dal 15.5.2009 al 12.7.2010, comprensive dell’indennità speciale, oltre accessori; respingeva, per il resto, l’appello.

Per quanto rileva in questa sede, la Corte territoriale osservava come il contratto individuale non facesse alcun riferimento alla specifica causale di erogazione del «superminimo» sicché non vi erano le condizioni stabilite dal contratto collettivo per l’assorbimento, in esso, dell’indennità speciale riconosciuta al personale, come l’appellante, escluso dal rispetto dei limiti di orario.

Quanto alla natura del contratto di lavoro concluso tra le parti, lo stesso, per la Corte territoriale, era da ritenersi a tempo determinato, per aver le parti pattuito un termine finale, sia pure «incertus quando», collegato al completamento delle attività della consortile con sede in Reggio Emilia o della fase lavorativa relativa alla mansione di assunzione.

A giudizio della Corte d’appello, la risoluzione del rapporto era stata anticipata rispetto al termine come innanzi individuato. In tal senso orientavano le risultanze istruttorie che fissavano «quanto meno al dicembre 2010» la conclusione delle attività connesse al Controllo Qualità per le quali si era proceduto all’assunzione.

Tale accertamento fondava il diritto al risarcimento del danno, secondo i principi di diritto comune in materia di inadempimento, pregiudizio che la Corte liquidava in misura pari alle retribuzioni percipiende dal 15.5.2009 al 12.7.2010, momento in cui il lavoratore aveva trovato una diversa occupazione.

Avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione la R. C. S.c.a r.l., affidato a quattro motivi.

Ha resistito con controricorso M. R. con cui, a sua volta, ha proposto ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.

Ragioni della decisione

Esame del ricorso principale.

Con il primo motivo – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 cod.civ, degli artt. 1 e 3 della legge nr. 604 del 1966 nonché dell’art. 24 della legge nr. 223 del 1991.

La censura riguarda l’esegesi del contratto di lavoro concluso tra le parti ed, in particolare, l’accertamento della natura di contratto a tempo determinato.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente, sotto l’apparente violazione di norme di diritto, sollecita, nella sostanza, una differente interpretazione del testo contrattuale che costituisce, invece, attività riservata al giudice di merito ( cfr. Cass. ex plurimis nr. 11699 del 2013; Cass. nr. 4178 del 2007).

L’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto, incensurabile in sede di legittimità, se non per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 cod. civ. e segg., o per vizio di motivazione.

Tuttavia, per far valere il vizio di violazione di legge, occorre che la parte faccia puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione asseritamente violate e precisi in qual modo il giudice del merito se ne sia discostato ( ex plurimis, Cass. nr. 8296 del 2005), mentre, per denunciare il vizio di motivazione è necessario, secondo la formulazione dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ., ratione temporis applicabile, che sia dedotto l’omesso esame di un fatto storico, oggetto di discussione, e che abbia carattere decisivo, tale cioè che, laddove valutato, «avrebbe determinato un esito diverso della controversias- (Cass., sez. un. nr. 8053 del 2014).

Nessuna di queste evenienze è, invece, specificamente illustrata nel motivo scrutinato, limitandosi piuttosto la parte ricorrente ad assumere la diversa natura del contratto di lavoro intercorso tra le parti.

Sotto diverso profilo, deve anche osservarsi che il contratto di lavoro non è riportato integralmente (e neppure nei passaggi salienti ai fini del richiesto controllo) mentre colui che intenda dolersi dell’erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere imposto dall’art. 366, comma 1, nr. 6 cod. proc.civ. di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto, con la conseguenza che, in caso di violazione anche di uno soltanto di tali oneri, il ricorso (recte il motivo) è inammissibile (Cass. nr. 19048 del 2016).

Con il secondo motivo è dedotta -ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.- violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell’articolo 132 nr. 4 cod.proc.civ., per contraddittorietà o comunque illogicità della motivazione nonché dell’art. 6 della legge nr. 604 del 1966; la censura investe la decisione per aver la Corte territoriale, da un lato, affermato che la lettera dell’11 febbraio 2009, con la quale la società comunicava al lavoratore la cessazione rapporto di lavoro, non avrebbe configurato un «autonomo atto di recesso sovrapponentesi, in guisa di licenziamento, all’operatività dell’onginario termine contrattuale» e dall’altro, dichiarato nel dispositivo, che con la medesima lettera la società aveva comunicato il recesso anticipato.

Sotto diverso profilo, il motivo investe l’affermazione secondo cui la domanda di risarcimento del danno da recesso anticipato non sarebbe soggetta al termine decadenziale di cui all’art. 6 della lege nr. 604 del 1966.

Il motivo è complessivamente infondato.

Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez.un., nr. 19881 del 2014; Cass., sez.un., nr. 8053 del 2014) la riformulazione dell’art. 360, primo comma, nr. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. nr. 83 del 2012 deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione; è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé.

Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione.

E’ stato, inoltre, precisato che di «motivazione apparente» o di «motivazione perplessa e incomprensibile» può parlarsi laddove essa non renda «percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice» (Cass., sez.un., nr. 22232 del 2016).

Evenienze queste che non si riscontrano nella sentenza impugnata perché la Corte territoriale ha spiegato in maniera assolutamente coerente come la comunicazione del febbraio del 2009 (sia pure dal contenuto ultroneo rispetto alle caratteristiche del rapporto) non avesse effetti novativi sul rapporto (nel senso cioè da trasformare il rapporto da rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato) sicché era da escludere che l’atto unilaterale di recesso potesse qualificarsi come licenziamento ( id est: recesso dal rapporto a tempo indeterminato), rappresentando piuttosto un recesso anticipato (ed illegittimo) dal contratto a tempo determinato, perché precedente alla sua naturale scadenza.

Coerentemente ha escluso l’applicazione della disciplina di cui all’art. 6 della legge nr. 604 del 1966 che postula la sussistenza di un atto di licenziamento.

Con il terzo motivo è dedotto – ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ. – omesso esame circa un fatto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti nonché – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 1227, co. 2, cod.civ.

La censura riguarda la statuizione di risarcimento del danno da commisurarsi alle retribuzioni percipiende in relazione al periodo compreso tra il 15.5.2009 ed il 12.7.2010; la parte ricorrente si duole che la Corte di appello non avrebbe considerato che nel febbraio e nel maggio del 2009 venivano avanzate al lavoratore proposte di assunzioni in altri cantieri.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.

La questione non è affrontata in sentenza e la parte non deduce se, come e quando la relativa questione fosse stata devoluta alla Corte di merito; qualora, infatti, con il ricorso per cassazione, siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del ricorso stesso, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare «ex actis» la veridicità di tale asserzione prima di esaminarne il merito (in argomento, ex plurimis: Cass. nr 25043 del 2015; nr. 23675 del 2013; nr. 4787 del 2012; nr. 3664 del 2006).

Con il quarto motivo, è dedotto – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ – . violazione degli artt. 1362 e ss. cod.civ. e dell’art. 132 nr. 4 c.p.c. nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ- omesso esame circa un fatto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione.

La censura riguarda la statuizione con cui la Corte di appello ha ritenuto che il superminimo pattuito nel contratto individuale di lavoro non assorbisse l’indennità speciale di non limite orario, di cui al CCNL per i dipendenti delle imprese edili.

Il motivo è inammissibile.

Come riportato dallo storico di lite, la Corte di appello ha osservato come il contratto collettivo condizionasse l’assorbimento dell’indennità al fatto che il superminimo venisse riconosciuto «in considerazione della particolare natura delle mansioni» e ritenuto che, nel contratto Individuale di lavoro, detto riconoscimento fosse sganciato dalla natura delle mansioni.

La censura, che si fonda sulla lettura non solo delle disposizioni del contratto collettivo ma anche delle clausole di quello individuale, incontra il limite dell’omessa trascrizione di queste ultime; valgono, allora, in relazione al contratto individuale, i rilievi di inammissibilità già esposti con riferimento al primo motivo; in ogni caso, non risulta il deposito integrale della copia del contratto collettivo (Cass., sez. un., nr. 20075 del 2009) o l’indicazione della sede processuale in cui detto testo è rinvenibile ( Cass., sez. un., nr. 25038 del 2013).

Esame del ricorso incidentale.

Con il ricorso incidentale è dedotta l’omessa pronuncia in merito alla domanda di regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale sia sulle somme spettanti a titolo di indennità speciale per il personale escluso dalla limitazione dell’orario di orario sia in relazione a quelle riconosciute per effetto dell’illegittima anticipata interruzione del rapporto di lavoro.

Il motivo è, in parte, infondato, per aver la Corte di appello, come riportato nello storico di lite, condannato la società R. C. S.c.r.l. al pagamento di somme a titolo di «indennità speciale per il personale escluso dal rispetto di limiti di orario» nonché ai « correlati contributi previdenziali e assicurativi»; la censura è, per il resto, inammissibile per difetto di specificità, non avendo il ricorrente incidentale trascritto il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e le relative conclusioni ( sono riportate unicamente le richieste formulate in sede di appello).

In conclusione vanno respinti il ricorso principale e quello incidentale.

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite del giudizio di legittimità.

Il rigetto dei ricorsi determina la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia del ricorrente principale che di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per II ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.