CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 febbraio 2021, n. 3672
Accordi contrattuali non firmati dal sindacato al quale i lavoratori erano iscritti – Applicazione del precedente CCNL – Vigenza sino alla stipulazione di un nuovo contratto – Successivo accordo di armonizzazione
Fatti di causa
1. Le parti odierne ricorrenti adivano il Giudice del lavoro del Tribunale di Viterbo per chiedere l’accertamento, nei confronti della Casa di Cura V.S. s.r.l., dell’inapplicabilità del CCNL sottoscritto in data 22 marzo 2012 tra AIOP e FISMIC Confsal, Si-CEL, FSE FIALS, UGL, nonché dell’ulteriore accordo integrativo sull’inquadramento del personale sottoscritto in data 11 giugno 2012, ciò in quanto tali accordi contrattuali non erano stati firmati dal sindacato UIL FPL al quale i lavoratori erano iscritti. Rivendicavano l’applicazione del precedente CCNL del 23.11.2004, che espressamente prevedeva la propria vigenza sino alla stipulazione di un nuovo contratto, circostanza non verificatasi nella specie.
2. Il Tribunale di Viterbo rigettava il ricorso e tale sentenza veniva confermata dalla Corte di appello di Roma, con sentenza n. 702/2018, sulla base dei seguenti argomenti:
a) è pacifico – e comunque documentalmente dimostrato – che la società V.S. fino al 30.6.2012 ha applicato, al proprio personale in servizio presso la residenza sanitaria assistenziale (RSA), il CCNL del 23.11.2004 per il personale dipendente delle strutture sanitarie private associate all’AIOP, ARIS e alla Fondazione D.G. (sottoscritto da numerose sigle sindacali, tra cui anche la UIL FPL) e il successivo accordo stipulato, ai soli fini economici, in data 15.9.2010;
b) parimenti pacifico è che, a decorrere dal 1.7.2012, a seguito di espressa comunicazione in tal senso effettuata dalla società il 29.6.2012, quest’ultima ha applicato ai propri dipendenti il CCNL per il personale dipendente delle RSA e delle altre strutture residenziali e socio assistenziali associate AIOP, sottoscritto in data 22.3.2012 dalla suddetta associazione datoriale con altre sigle sindacali, ma non dalla UIL FPL (contratto al quale detta sigla sindacale, unitamente ai lavoratori ricorrenti, avevano dichiarato di non aderire) e del successivo accordo di armonizzazione dell’11.6.2012;
c) come già ritenuto dal primo giudice, è legittima la disdetta del CCNL 23.11.2004: il primo comma dell’art. 4 di tale contratto prevedeva espressamente la sua applicabilità sino al 31.12.2005 per la parte normativa e sino al 31.12.2003 per la parte economica; la vigenza del CCNL 23.11.2004 era pertanto, alla data del 1.7.2012, ormai da tempo venuta meno, con conseguente venir meno di ogni vincolo temporale al mantenimento dei suoi effetti e conseguente applicabilità del principio di libera recedibilità previsto in materia contrattuale dall’art. 1373, secondo comma, cod. civ.; alla disposizione del secondo comma dell’art. 4, secondo cui il contratto avrebbe conservato la sua validità fino alla sottoscrizione del nuovo, va riconosciuto il limitato effetto di stabilire l’ultravigenza del CCNL, anche successivamente alla scadenza del termine contrattualmente previsto, sino alla stipulazione ad opera di una delle parti di un qualsivoglia nuovo contratto collettivo, non necessariamente con le stesse parti originariamente contraenti; una volta venuta meno la vigenza del precedente CCNL 23.11.2004, è legittima l’applicabilità del nuovo CCNL del 2012, contratto collettivo vigente a livello nazionale e al quale la società datrice aveva espressamente aderito;
d) neppure è fondata la censura della violazione del principio di irriducibilità della retribuzione sancito dall’art. 2103 cod. civ.: non sussiste un diritto al mantenimento del trattamento economico e normativo stabilito da un precedente CCNL, essendo invece legittima, in caso di successione di contratti collettivi, anche una modifica in peius del trattamento economico e normativo, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto del contratto individuale, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di regolamento, sicché esse non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 cod. civ.), con il limite del diritto quesito;
e) è qualificabile come diritto quesito, insuscettibile di essere pregiudicato da successive disposizioni contrattuali, solo il diritto perfetto già entrato definitivamente nella sfera patrimoniale del lavoratore, come il corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita e non invece la pretesa riferita a situazioni future o in via di consolidamento;
f) neppure si è verificata nel caso di specie la violazione del principio di irriducibilità della retribuzione sancito dall’art. 2103 cod. civ. e dall’art. 36 Cost., in ragione della clausola di salvaguardia, successivamente pattuita con l’accordo dell’11.6.2012, alla cui stregua il livello retributivo precedente è stato garantito dall’introduzione di un superminimo riassorbibile;
g) la garanzia di irriducibilità della retribuzione si estende alla sola retribuzione compensativa delle qualità professionali intrinseche essenziali delle mansioni precedenti, ma non a quelle componenti estrinseche della retribuzione che siano erogate per compensare particolari modalità della prestazione lavorativa; ne consegue che il principio invocato dai reclamanti non è di per sé applicabile a quegli istituti (di cui all’atto di impugnazione) quali l’estensione dell’orario di lavoro settimanale, il numero di giorni di ferie o l’indennità di turno, in quanto istituti diretti a regolamentare le modalità della prestazione lavorativa ed estranei alle qualità professionali intrinseche della prestazione stessa;
h) neppure è condivisile la doglianza di parte appellante relativa alla diminuzione della retribuzione oraria conseguente alla modifica, a parità di retribuzione, dell’orario di lavoro settimanale, che il nuovo contratto ha portato da 36 a 38 ore settimanali, estensione comunque rientrante nell’ambito della nozione legale di orario di lavoro di 40 ore settimanali, così come individuata dall’art. 3, comma 1, d.lgs. 66/2003; la questione è estranea all’ambito di tutela dell’art. 2103 cod. civ. in quanto attinente al profilo della articolazione oraria della prestazione lavorativa ossia alle modalità del suo svolgimento, sulla quale può incidere la volontà delle parti sociali introducendo modifiche anche in peius;
i) non ricorrono neppure i profili di antisindacalità denunciati nell’atto di appello, atteso che la AIOP – associazione cui aderisce la società appellata – aveva più volte invitato le OO.SS., compresa sottoscrivere il nuovo contratto riservato al personale delle RSA, invito rifiutato, come si è detto. La società, aderendo alla predetta O.S. e a fronte di un contratto ormai scaduto e alla stipula di un nuovo contratto, ha dato attuazione ai sopra richiamati principi dell’ordinamento sindacale. Parimenti i lavoratori non possono vantare alcun diritto a vedere il loro rapporto regolato da un CCNL non più in vigore e sostituito da altra disciplina collettiva nazionale.
3. Per la cassazione di tale sentenza la UIL FPL Provinciale di Viterbo e i lavoratori indicati in epigrafe hanno proposto ricorso affidato a cinque motivi, cui ha resistito V.S. s.r.l.
4. Ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (“Per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione in udienza pubblica a norma degli articoli 374, 375, ultimo comma, e 379 del codice di procedura civile, la corte di cassazione procede in camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, salvo che una delle parti o il procuratore generale faccia richiesta di discussione orale”), la causa è stata decisa in udienza pubblica, avendo il difensore di parte ricorrente fatto richiesta di discussione orale.
5. Parte ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 378 cod. proc civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo parte ricorrente denuncia omesso esame (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc civ.) dell’eccezione di inapplicabilità del CCNL ai lavoratori non iscritti ad associazioni sindacali firmatarie. Assume che la sentenza si era limitata ad enunciare il principio per cui “l’applicazione del CCNL 22.3.2012 agli appellanti, anche se non iscritti ad una delle associazioni sindacali firmatarie di tale contratto collettivo non può ritenersi avvenuta in violazione dei noti e consolidati principi giurisprudenziali in materia di applicazione su base volontaria della contrattazione collettiva di diritto comune”. E’ assente qualsiasi argomento a sostegno dell’assunto per cui un contratto collettivo (di diritto comune) possa trovare applicazione anche nei confronti dei lavoratori non iscritti alle organizzazioni firmatarie.
2. Con il secondo motivo denuncia violazione o errata ricognizione di legge e accordi collettivi in punto di inapplicabilità del CCNL a lavoratori iscritti ad associazioni sindacali non firmatarie (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc civ.). Oltre al vizio di motivazione radicalmente carente, il giudizio espresso dalla Corte di appello non è conforme alla regola per cui il contratto, quale atto di autonomia negoziale, può vincolare solo i lavoratori iscritti al sindacato stipulante. Né potrebbe affermarsi l’assenza di un dissenso circa l’applicazione della nuova fonte contrattuale, posto che i lavoratori firmarono un atto di diffida alla struttura a non applicare il nuovo contratto collettivo peggiorativo, lesivo dei propri diritti.
3. Con il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 2103 cod. civ. e art. 36 Cost.e del principio di irriducibilità della retribuzione (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.). Il passaggio da 36 a 38 ore settimanali, incidendo sull’ammontare della retribuzione oraria, costituisce violazione del suddetto principio. Né il datore, in difetto di accordo, può aumentare l’orario di lavoro.
4. Con il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 4, secondo comma, CCNL 23.11.2004 (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc civ.) con riguardo alla dichiarazione di sopravvenuta perdita di efficacia del CCNL del 2004, in quanto la clausola di ultravigenza contenuta nel secondo comma del predetto articolo prevedeva come termine finale del contratto soltanto la stipula di un nuovo contratto tra le parti.
Richiama, a sostegno del motivo, altra pronuncia del giudice di merito (Tribunale di Viterbo chiamato a pronunciare sulla medesima questione) secondo cui la disdetta del CCNL Sanità privata 2002-2005, peraltro relativa alla sola parte RSA, comunicata da AIOP con lettera del 17 aprile 2012 alle OO.SS. originariamente firmatarie, e la conclusione, tra parti diverse dalle prime stipulanti e non rappresentative, del CCNL per le RSA, nel vigore del contratto unitario rimasto efficace per il personale ordinario, appare integrare un esercizio della facoltà di recesso unilaterale del contratto collettivo non consentito e non legittimo, anche per violazione dell’obbligo giuridico di buona fede, e che assume una particolare consistenza controparte originaria sia costituita, come nel caso di specie, dai sindacati maggiormente rappresentativi.
Specificamente, quanto al recesso unilaterale operato dalla parte datoriale, la Corte di appello ha citato principi normativi e giurisprudenziali che non si attagliano alla fattispecie, in quanto relativi a contratti collettivi privi della previsione di un termine di durata. Nel caso in esame, le parti non hanno omesso di stabilire un termine, né hanno espresso la volontà che il contratto avrebbe avuto una durata indeterminata, ma hanno previsto un termine di durata.
5. Con il quinto motivo denuncia violazione di legge (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc civ.) nella parte in cui la sentenza ha escluso la antisindacalità della condotta datoriale sull’assunto che la UIL FPLO era stata più volte invitata al tavolo delle trattative e che ciononostante non aveva inteso sottoscrivere il contratto. Con tale soluzione si avalla una condotta antisindacale, lesiva della esplicazione della libertà sindacale dei lavoratori e delle prerogative della associazione.
6. E’ fondato il quarto motivo, con assorbimento dei restanti.
7. In merito alla questione della durata e dell’efficacia del contratto collettivo del 2004, occorre premettere, in via generale, il principio più volte affermato da questa Corte, sin da Sezioni Unite n. 11325 del 2005, secondo cui i contratti collettivi di diritto comune, costituendo manifestazione dell’autonomia negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti, atteso che l’opposto principio di ultrattività sino ad uno nuovo regolamento collettivo – secondo la disposizione dell’art. 2074 cod. civ. – in contrasto con l’intento espresso dagli stipulanti, ponendosi come limite alla libera volontà delle organizzazioni sindacali, violerebbe la garanzia prevista dall’art. 39 Cost.
8. Con tale pronuncia le S.U., nel risolvere un contrasto di giurisprudenza, hanno confermato l’orientamento prevalente secondo cui la disposizione dell’art. 2074 cod. civ. – sulla perdurante efficacia del contratto collettivo scaduto, fino a che non sia intervenuto un nuovo regolamento collettivo – non si applica ai contratti collettivi post-corporativi che, costituendo manifestazione dell’autonomia negoziale privata, sono regolati dalla libera volontà delle parti cui soltanto spetta stabilire se l’efficacia di un accordo possa sopravvivere alla sua scadenza; la cessazione dell’efficacia dei contratti collettivi, coerentemente con la loro natura pattizia, dipende quindi dalla scadenza del termine ivi stabilito.
9. Il contratto collettivo del 23.11.2004 aveva previsto, al primo comma dell’art. 4, che “il presente contratto si riferisce per la parte normativa al periodo dall’1.1.2002 al 31.12.2005, per la parte economica al periodo dall’1.1.2002 al 31.12.2003 (salvo che nel testo contrattuale non siano previste decorrenze diverse)” e, al secondo comma dell’art. 4, che “in ogni caso, il presente contratto conserva la sua validità fino alla sottoscrizione del nuovo CCNL”.
10. Poiché la “scadenza” del contratto non può che essere quella fissata specificamente e chiaramente dalle parti collettive, la previsione della perdurante vigenza fino alla nuova stipulazione ha il significato della previsione, mediante la clausola di ultrattività, di un termine di durata, benché indeterminato nel “quando”, atteso che il contratto collettivo di diritto comune è regolato dalla libera volontà delle parti, che possono in tal modo regolare gli effetti del contratto scaduto quanto al termine di efficacia previsto nella prima parte della stessa norma.
11. La Corte di appello ha invece richiamato principi e precedenti giurisprudenziali che fanno riferimento a fattispecie diverse, quelle in cui manca un termine di durata o nelle quali le parti abbiano espressamente previsto una durata indeterminata: è noto infatti che, non essendo applicabile la disciplina prevista dal codice civile per i contratti corporativi e, in particolare, la norma dell’art. 2071, ultimo comma, cod. civ., relativa all’obbligo di determinare la durata del contratto, sussiste la possibilità che un contratto collettivo sia stipulato senza indicazione del termine finale; la mancata indicazione non implica che gli effetti del contratto perdurino nel tempo senza limiti, atteso che – in sintonia con il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 ed in coerenza con la naturale temporaneità dell’obbligazione – deve riconoscersi alle parti la possibilità di farne cessare l’efficacia, previa disdetta, anche in mancanza di un’espressa previsione legale, non essendo a ciò di ostacolo il disposto dell’art. 1373 cod. civ., che contempla il recesso unilaterale nei contratti di durata quando tale facoltà è stata introdotta dalie parti, senza nulla disporre per il caso di mancata previsione pattizia al riguardo (Cass. nn. 4507 del 1993, 1694 del 1997, 6427 del 1998, 14827 del 2002, 18508 del 2005, 27198 del 2006, 19351 del 2007; v. pure Cass. 18548 del 2009);
12. è stato pure affermato che, a seguito della naturale scadenza del contratto, collettivo, in difetto di una regola di ultrattività del contratto medesimo, la relativa disciplina non è più applicabile, e il rapporto di lavoro da questo in precedenza regolato resta disciplinato dalle norme di legge, salvo che le parti abbiano inteso, anche solo per facta concludenza, proseguire l’applicazione delle norme precedenti (v. Cass. n. 20784 del 2010; n. 19252 del 2013).
13. Tuttavia, tali principi non possono regolare un’ipotesi, come quella in esame, in cui la clausola di ultrattività ha previsto un termine finale correlato ad una nuova negoziazione, secondo il principio generale nelle obbligazioni da contratto per cui il criterio distintivo tra termine e condizione va ravvisato nella certezza e/o nell’incertezza del verificarsi di un evento futuro che le parti hanno previsto per l’assunzione di un obbligo o per l’adempimento di una prestazione, per cui ricorre l’ipotesi del termine quando detto evento futuro sia certo, anche se privo di una precisa collocazione cronologica, purché risulti connesso ad un fatto che si verificherà certamente (cfr. Cass. n. 4124 del 1991). La locuzione “fino alla sottoscrizione del nuovo CCNL” sta a indicare la volontà delle parti originariamente stipulanti a vincolarsi al contenuto del contratto sottoscritto fino alla nuova negoziazione e sottoscrizione. La volontà di esprimere un termine finale è chiaramente enunciata dalle parti contraenti.
14. Ritiene dunque il Collegio che – diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello – la presente fattispecie sia diversa da quella, esaminata di recente da Cass. n. 28456 del 2018 e n. 23105 del 2019, della mancata indicazione di un termine di scadenza del contratto collettivo di diritto comune, per la quale vale il principio secondo cui le parti sono libere di recedere unilateralmente, salva la valutazione dell’idoneità del singolo atto ad assumere valore di disdetta.
15. L’accoglimento del quarto motivo ha carattere assorbente di ogni altra questione, poiché gli ulteriori profili postulano la validità della disdetta unilaterale avvenuta prima del verificarsi del termine finale, questione che spetterà al giudice di rinvio riesaminare alla stregua dei principi sopra indicati.
16.Si designa quale giudice di rinvio la Corte di appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
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