CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 giugno 2018, n. 15308
Licenziamento per giusta causa – Reiterata mancata frequentazione dei corsi di formazione per apprendisti – Obbligo – Non sussiste
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza resa pubblica il 5/5/2016, in riforma della pronuncia resa dal Tribunale della stessa sede, dichiarava l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato in data 28/10/2014 dalla S.I. s.r.l. nei confronti di J.A.F. e condannava la società alla reintegra del lavoratore ed al pagamento di un’indennità risarcitoria nella misura di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ai sensi del comma 4 art. 18 L. 300/70 nella versione di testo applicabile ratione temporis.
La Corte distrettuale, nel pervenire a tali conclusioni, argomentava che il quadro istruttorio delineato in prime cure non consentiva di ritenere dimostrata la fondatezza degli addebiti formulati da parte aziendale e consistiti nella reiterata mancata frequentazione dei corsi di formazione per apprendisti ai quali era stato ripetutamente iscritto.
I testimoni escussi, non avevano infatti reso dichiarazioni idonee a dimostrare né la sussistenza di un obbligo di frequentazione di detti corsi, né la corretta informazione da parte datoriale, in ordine alle date in cui sarebbero stati tenuti, insussistente dovendo quindi ritenersi il fatto posto a base del licenziamento.
La cassazione di tale decisione è domandata dalla S.I. s.r.l. sulla base di tre motivi.
La parte intimata non ha svolto attività difensiva.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione al comma primo dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
Si deduce che la Corte di merito abbia errato nella identificazione dell’oggetto del giudizio, ritenendo vi fosse ricompresa anche la mancata sottoscrizione degli inviti a partecipare ai corsi, laddove la contestazione era limitata alla omessa frequenza di due corsi per lavoratori apprendisti.
2. Il secondo motivo prospetta omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. Ci si duole che la Corte territoriale, sul presupposto di dover giudicare in ordine al rifiuto del lavoratore di ricevere l’invito a partecipare ai corsi piuttosto che alla mancata partecipazione ad essi, abbia disposto malgoverno delle prove, travisando la deposizione del teste C., ritenendola insufficiente a dimostrare l’assunto della parte datoriale.
3. Con il terzo motivo la società lamenta, sempre ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c., che la Corte abbia ritenuto insufficienti le prove fornite dalla società pur potendo e dovendo assumerne altre, essendo stati indicati altri tre testimoni.
4. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi siccome connessi sono privi di fondamento.
Deve al riguardo considerarsi che il nuovo testo dell’art. 360 cod. proc. civ. n. 5 applicabile alla fattispecie ratione temporis, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
La parte ricorrente deve dunque indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22/9/2014 n. 19881, Cass. sez. un. 7/4/2014 n. 8053). Nella riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 è dunque scomparso ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (seppur cambiato d’ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà. Ciò a supporto della generale funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris.
In questa prospettiva, proseguono le Sezioni Unite-, la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare la nullità della sentenza per “mancanza della motivazione”.
Pertanto, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale violazione di legge costituzionalmente rilevante attiene solo all’esistenza della motivazione in sè, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.
5. Nella specie il ricorrente si limita a proporre una diversa lettura ed interpretazione dei dati acquisiti al giudizio, non consentita nella presente sede di legittimità, per quanto sinora detto.
L’iter motivazionale che innerva l’impugnata sentenza, non risponde infatti ai requisiti dell’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità.
La Corte distrettuale ha infatti proceduto ad una approfondita ricognizione del quadro probatorio delineato in prime cure, rimarcando che non era stata fornita dalla parte datoriale, che di tanto era onerata, la prova della avvenuta consegna al lavoratore, della lettera di invito a partecipare al corso di formazione del 29/9/2014.
Non essendo stata dimostrata l’avvenuta conoscenza da parte del destinatario, dell’obbligo di partecipazione al corso di formazione, né il rifiuto di ricevere la lettera di invito per la partecipazione al corso medesimo; considerato che il motivo di licenziamento era da identificare esclusivamente nel presunto rifiuto di accedere alla formazione secondo le modalità descritte, insussistente doveva ritenersi il fatto posto a base del licenziamento.
6. Per le considerazioni esposte, il ricorso va, pertanto, respinto.
Nessuna statuizione deve pronunciarsi in ordine alle spese del presente giudizio, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
Occorre, infine, dare atto della sussistenza, a carico dei ricorrenti, delle condizioni richieste dall’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, per il versamento a titolo di contributo unificato dell’ulteriore importo pari a quello versato per il ricorso principale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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