CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 giugno 2019, n. 15759
Prestazioni assistenziali – Pensione di invalidità civile – Assegno ordinario di invalidità – Incompatibilità
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato non ripetibile l’indebito assistenziale che l’Inps aveva rilevato nei confronti di M.T. per avere quest’ultimo percepito, per il periodo 2001/2004 contemporaneamente la pensione di invalidità civile e l’assegno ordinario di invalidità, tra loro incompatibili.
La Corte ha rilevato, con riferimento all’eccezione di prescrizione quantomeno parziale, che l’unica richiesta da parte dell’Inps era pervenuta l’8/5/2013; che con la precedente comunicazione del 4/3/2004 l’Inps, pur rappresentando l’entità dell’indebito, non ne aveva intimato il pagamento, ma anzi esplicitamente aveva rinviato a comunicazioni successive che avrebbero dovuto chiarire l’eventuale applicabilità di sanatorie e l’entità del residuo debito da corrispondere e che ,pertanto, tale comunicazione non era idonea ad imporre un pagamento con la conseguenza che dovevano ritenersi prescritti i ratei afferenti al periodo anteriore al maggio 2003.
Nel merito la Corte ha affermato l’inapplicabilità dell’art. 2033 cc, nonché delle disposizioni regolanti le diverse ipotesi di mutamento delle condizioni sanitarie o di quelle reddituali e dovendo invece trovare applicazione le disposizioni di cui alla L. n. 29/1977 art. 3 ter, della L. n. 291/1988 art. 3, comma 10, aventi riguardo alle condizioni generali di concessione dei trattamenti assistenziali. Ha rilevato, pertanto, che secondo tali norme gli organi preposti alla concessione dei trattamenti economici dovevano provvedere periodicamente a verificare la permanenza dei requisiti di godimento procedendo, se del caso, alla revoca con effetto dal primo giorno del mese successivo, senza ripetizione delle somme precedentemente erogate.
Secondo la Corte, pertanto, l’Inps non avrebbe potuto ripetere le somme erogate prima della comunicazione di indebito del marzo 2004.
2. Avverso la sentenza ricorre l’Inps con due motivi. Resiste il T.. Con ordinanza interlocutoria del 2/10/2018 la causa è stata rimessa dalla sesta sezione alla sezione ordinaria per la trattazione in pubblica udienza.
Ragioni della decisione
3. L’Inps denuncia violazione degli artt. 1219, 2943, 2934 cc per non avere la Corte ritenuto l’efficacia interruttiva della lettera del 2004. Rileva che la Corte ha confuso tra atto di costituzione in mora ed interruzione della prescrizione . Quest’ultima non deve consistere necessariamente in una richiesta o intimazione, ma può emergere anche da una dichiarazione con cui manifesti l’intenzione di esercitare un diritto.
4. Il motivo è infondato per le ragioni che seguono.
Questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di prescrizione e con riferimento alla idoneità degli atti ad acquisire efficacia interruttiva, che l’atto di interruzione della prescrizione non deve necessariamente consistere “in una richiesta o intimazione” (essendo questa una caratteristica riconducibile all’istituto della costituzione in mora), ma può anche emergere da una dichiarazione che, esplicitamente o per implicito, manifesti, puramente e semplicemente, l’intenzione di esercitare il diritto spettante al dichiarante, in tal guisa dovendosi interpretare estensivamente il disposto dell’articolo 2943, comma quarto, cod. civ., in sinergia ermeneutica con la più generale norma dettata, in tema di prescrizione, dall’articolo 2934 cod. civ.” Si è affermato, altresì, che il relativo accertamento costituisce indagine di fatto, riservata all’apprezzamento del giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità ove immune da errori giuridici e/o vizi logici (cfr Cass. n. 15766/2006, n. 19359/2007, n. 1166/2018).
Deve, dunque affermarsi che l’atto interruttivo, ai sensi dell’art. 2943 cc, pur non richiedendo l’uso di formule sacramentali quale quella della “intimazione”, deve essere tale da manifestare la chiara volontà del creditore di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato; il creditore, cioè, deve portare a conoscenza del debitore la sua volontà ,chiaramente manifestata, di voler far valere il proprio diritto.
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha escluso che la comunicazione inviata dall’Inps contenesse la chiara volontà dell’Istituto mancando, infatti, della necessaria inequivocabilità. In particolare la Corte ha sottolineato che detta comunicazione ” di tenore perplesso” non era idonea ad imporre al debitore il pagamento della somma indicata proprio in ragione del rinvio fatto dall’istituto a successive comunicazioni che avrebbero dovuto chiarire l’eventuale applicabilità di sanatorie e l’entità del residuo da corrispondere. In questi termini, pertanto, le censure dell’Inps non possono trovare accoglimento per cui la sentenza impugnata si sottrae sul punto alle censure in fatto non risultando affetta da alcun vizio logico relativo ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
5. Con il secondo motivo l’Inps denuncia violazione dell’art. 2033 cc in relazione all’art. 9 L. n. 54/1982 (che sancisce incompatibilità tra pensione e assegno lamenta che erroneamente la Corte aveva ritenuto che la fattispecie fosse regolata dalle norme sull’indebito assistenziale che fanno riferimento alla mancanza dei requisiti di legge per il diritto a pensione – ovvero l’art. 3 ter d.l. 850/1976, conv. in L. n. 29/1977 e I’art. 3, comma 10, del D.L. n. 173/1988, conv. in L. n. 291/1988 – requisiti che nella specie sussistevano, essendosi, invece verificata l’incompatibilità tra le due prestazioni.
Osserva che nessuna specifica norma regolava la fattispecie, che pertanto doveva trovare applicazione l’art. 2033 cc non essendo possibile applicare analogicamente norme relative ad altre ipotesi.
5. Il motivo è fondato.
Il pensionato assume che doveva trovare applicazione la normativa concernente l’indebito in materia di prestazioni assistenziali in generale e che, pertanto, l’assistito poteva opporre all’ente erogatore dell’indennità, indebitamente percepita, il principio di irripetibilità delle somme incamerate precedentemente alla data di accertamento della carenza dei requisiti per il riconoscimento della provvidenza, una volta esclusa ogni sua responsabilità sulla erroneità del relativo provvedimento di erogazione e stante il generale principio di tutela dell’affidamento.
La Corte territoriale ha accolto la prospettazione del T. ed ha ritenuto di escludere l’applicabilità dell’art. 2033 cc individuando, invece, come criterio quello contenute nelle disposizioni della I. n. 29/1977 e della L. n. 291/1988 con riguardo alle concessioni in generale dei trattamenti assistenziali, con la conseguente irripetibilità delle somme riscosse dal pensionato.
6. Questa Corte ha evidenziato (cfr Cass. 28771/2018) che ” il regime dell’indebito previdenziale ed assistenziale presenta tratti eccentrici rispetto alla regola della ripetibilità propria del sistema civilistico e dell’art. 2033 c.c., in ragione dell’ «affidamento dei pensionati nell’irripetibilità di trattamenti pensionistici indebitamente percepiti in buona fede» in cui le prestazioni pensionistiche, pur indebite, sono normalmente destinate «al soddisfacimento di bisogni alimentari propri e della famiglia» (Corte Costituzionale 13 gennaio 2006, n. 1), con disciplina derogatoria che individua «alla luce dell’art. 38 Cost. – un principio di settore, che esclude la ripetizione se l’erogazione (…) non sia (…) addebitabile» al percettore (Corte Costituzionale 14 dicembre 1993, n. 431)”.
6. Si è altresì precisato che, in generale, «in tema di ripetibilità delle prestazioni assistenziali indebite (…) trovano applicazione, in difetto di una specifica disciplina, le norme sull’indebito assistenziale che fanno riferimento alla mancanza dei requisiti di legge in via generale» (Cass. 1 ottobre 2015, n. 19638; Cass. 17 aprile 2014, n. 8970; Cass. 23 gennaio 2008, n. 1446; Cass. 28 marzo 2006, n. 7048) e quindi, in sostanza, il d.l. 850/1976, art. 3-ter, convertito in L. 29/1977 (secondo cui «gli organi preposti alla concessione dei benefici economici a favore.., degli invalidi civili hanno facoltà, in ogni tempo, di accertare la sussistenza delle condizioni per il godimento dei benefici previsti, disponendo la eventuale revoca delle concessioni con effetto dal primo giorno del mese successivo alla data del relativo provvedimento») ed il d.l. 173/1988, art. 3, comma 9, convertito nella L. 291/1988 (secondo cui «con decreto del Ministro del Tesoro sono stabiliti i criteri e le modalità per verificare la permanenza nel beneficiario del possesso dei requisiti prescritti per usufruire della pensione, assegno o indennità previsti dalle leggi indicate nel comma 1 e per disporne la revoca in caso di insussistenza di tali requisiti, con decreto dello stesso Ministro, senza ripetizione delle somme precedentemente corrisposte» (risultando invece abrogata la L. 537/1993, che regolava l’indebito assistenziale all’art. 11, co. 4 e non applicabile, per eccesso del regolamento dalla delega di legge, l’art. 5, co. 5, d.p.r. 698/1994: sul tema v. in dettaglio, Cass. 7048/2006, cit.).
7. Nella fattispecie in esame, tuttavia, la soluzione adottata dalla Corte d’appello secondo cui devono trovare applicazione le regole di cui ai citati d.l. 850/1976, art. 3-ter, convertito in L. 29/1977 850/1976, e d.l. 173/1988, art. 3, comma 9, convertito nella L. 291/1988 non può trovare accoglimento, dovendo, invece, le prestazioni erogate al T. essere assoggettate alla regola generale dell’indebito di cui all’art. 2033 cod. civ., difettando regole specifiche applicabili alla fattispecie, né potendo applicarsi, in via analogica, quelle richiamate dalla Corte territoriale.
8. E’ pacifico, come risulta dallo stesso ricorso, che nel caso di specie l’Inps ha richiesto la restituzione delle somme corrisposte indebitamente in quanto, in base all’art. 9 L. n. 54/1982, l’assegno mensile di cui all’art. 13 L. n. 118/1971 è incompatibile con la pensione diretta di invalidità e che, poiché le due prestazioni erano state erogate contemporaneamente, l’Istituto aveva agito per la ripetizione.
9. Come correttamente rilevato dall’Istituto non si tratta di mancanza originaria o sopravvenuta di uno dei requisiti previsti dalla legge per il riconoscimento del diritto a pensione. A riguardo va richiamato quanto affermato da questa Corte (cfr. da ultimo ord. n 15304/2016)secondo cui le situazioni di incompatibilità, come quella in esame, non comportano l’irriconoscibilità del diritto ai trattamenti dichiarati incompatibili. Le incompatibilità non costituiscono un requisito ostativo all’insorgenza del diritto, ma devono solo essere verificate in sede di erogazione della prestazione e comportano semplicemente la facoltà dell’interessato di optare per il trattamento economico più favorevole, rilevando, dunque, solo nella fase successiva all’insorgenza del diritto.
La condizione della mancata percezione di altro trattamento, pertanto, si pone come elemento esterno alla prestazione goduta che costituisce ostacolo non al suo riconoscimento, bensì all’erogazione della stessa in presenza della percezione di altro analogo trattamento.
10. Va affermato , dunque, che nella fattispecie difetta una specifica disciplina derogatoria ,non potendo trovare applicazione in via analogica quella applicata dalla Corte territoriale, avente riferimento all’insussistenza originaria o sopravvenuta dei requisiti prescritti dalla legge dovendo, conseguentemente, applicarsi il principio generale di cui all’art. 2033 cod. civ. in materia di indebito oggettivo che è applicabile all’ipotesi in cui sia stata accertata, come nella fattispecie, l’insussistenza della condizione di erogabilità della prestazione consistente nella mancata percezione di altro trattamento incompatibile secondo il dettato legislativo.
11. Va, altresì, sottolineato che la ratio che disciplina il particolare regime di favore in tema di ripetibilità dei trattamenti pensionistici illegittimamente percepiti non opera nella presente fattispecie in cui il pensionato continua a godere di uno dei due trattamenti (cfr.per un caso analogo Cass. 5059/2018 secondo cui “In materia di prestazioni assistenziali indebite, nell’ipotesi di erogazione dell’indennità di accompagnamento in difetto del requisito del mancato ricovero dell’assistibile in istituto di cura a carico dell’erario, trova applicazione non già la speciale disciplina dell’indebito previdenziale, bensì quella ordinaria dell’indebito civile di cui all’art. 2033 c.c.”).
12. Pertanto, una volta accertata la contemporanea erogazione delle due prestazioni nell’arco dello stesso periodo di tempo ed escluso che potesse ingenerarsi nell’assistito l’affidamento sulla liceità dell’erogazione dei ratei di tale indennitari ricorso va accolto.
La sentenza impugnata deve essere cassata ed il giudizio rinviato alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.
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